Questo Dialogo breve
sul socialismo tra Vittorio Foa
e lo storico Andrea Ricciardi, fu pubblicato negli Annali
della Fondazione La Malfa (volume XXII 2007, Rubbettino, aprile 2008,
pp. 311-319) a cura di Ricciardi. E' reperibile in rete in alcuni
siti collegati al Circolo Rosselli (ad esempio “duemila ragioni”).
(S.L.L.)
Vittorio Foa negli anni 60 del Novecento |
FOA
Dopo il crollo del Muro
di Berlino e la caduta del comunismo, mi pare che si sia pensato
molto al PCI, alla sua storia, alle sue battaglie politiche, ai suoi
errori, al peso dello stalinismo, e poco alla specificità del
socialismo italiano, alle scelte del PSI in varie stagioni del
Novecento. Penso in particolare a Nenni, il dirigente politico di
maggior peso per molti decenni, l’uomo che più ha dettato la linea
del partito a partire dagli anni Trenta per circa quarant’anni. E’
una figura che mi ha sempre incuriosito, anche riflettendo sugli anni
in cui era repubblicano e lottava al fianco di Mussolini, che allora
era un socialista rivoluzionario. Nenni è stato tante cose, un po’
come il PSI. Mi pare importante riflettere sui socialisti italiani e
il secolo scorso, magari per provare a cogliere alcune tendenze di
lungo periodo, orache si può ragionare più a freddo. Cosa ne pensi?
RICCIARDI
Penso che una profonda
riflessione storica sul PSI sarebbe quasi necessaria, c’è ancora
molto da capire. I socialisti sono stati per molti anni al governo,
ma hanno anche fatto una dura opposizione tra il 1947 e il 1962
teorizzando un’alternativa di sistema e, in sostanza, rifiutando il
riformismo ispirato alle socialdemocrazie europee. La centralità del
PCI nella storia del movimento operaio italiano, almeno dal 1948, ha
forse impedito un’analisi attenta in particolare su come il PSI
pensava il socialismo. Qualcuno ha finito per credere che i
socialisti avessero intrapreso fin dall’inizio della storia
repubblicana la strada “giusta” rispetto ai comunisti perché non
erano così legati all’URSS, avevano una diversa concezione della
democrazia e, quindi, cercavano un’alternativa più credibile al
capitalismo rispetto ai comunisti. Tuttavia, guardando al Novecento
nel suo complesso e non solo al secondo dopoguerra, le cose non
stanno proprio così. Quali sono, secondo te, i nodi principali da
affrontare?
FOA
La prima cosa che mi
viene in mente è il biennio rosso. Dopo la rivoluzione d’ottobre,
in Italia i socialisti guardavano alla Russia e, anche dopo la
nascita del PCd’I, la maggioranza del partito era in mano ai
massimalisti e non ai riformisti. Da noi non accadde come in Francia,
a Tours alla fine del 1920 i comunisti conquistarono la maggioranza e
fu la SFIO a operare la scissione dal PCF. A Livorno, invece, i
comunisti rimasero minoranza rispetto al PSI. Ma io mi chiedo:
esisteva una grande differenza di prospettiva politica tra il PCd’I
e il PSI all’inizio degli anni Venti? I riferimenti internazionali
e il sogno della rivoluzione di classe non accomunavano i due
massimalismi?
RICCIARDI
Credo che, in sostanza,
fosse proprio così. Oggi possiamo dire che le differenze tra i due
partiti non erano così centrali, anche se allora qualche
significativa divisione si manifestò, per esempio sui tempi di
realizzazione della rivoluzione in Italia. Si può aggiungere che la
maggior parte dei massimalisti non intendeva comunque rinunciare a
una specifica identità socialista, pur rifiutando la pratica
riformista. Infatti i riformisti ruppero con il PSI proprio
nell’ottobre del 1922, quando nacque il PSU di Turati e Matteotti.
Alla vigilia della marcia su Roma, la sinistra era divisa in tre
tronconi. Un problema che ritornerà spesso nel corso del Novecento…
FOA
Mi ha colpito che alcuni
bravi studiosi, penso in particolare a Paul Ginsborg, abbiano
recentemente paragonato il biennio rosso al 1968-1969, assimilando
così il primo dopoguerra agli anni della contestazione. Ma io non
credo che il paragone sia calzante. Il ’68 non rappresentò
semplicemente il tentativo di concretizzare il sogno della
rivoluzione comunista, fu qualcosa di profondamente diverso e, in un
certo senso, di più ampio perché non riguardò solo la classe
proletaria e il mondo dell’industria dell’Italia settentrionale.
Rappresentò una cesura col passato sul piano ideologico-politico,
economico, socio-culturale e interessò il complesso della società
attraversando le classi. Partendo dall’università, vennero messi
in discussione i valori fondanti del vivere civile, entrarono in
crisi usi e costumi che apparivano consolidati, vennero discussi i
rapporti tra i sessi e la dimensione femminile, il ruolo dei giovani
e il rapporto con le vecchie generazioni. Una cosa un po’ diversa
da quella che era avvenuta negli anni Dieci, non ti pare?
RICCIARDI
Sono d’accordo, il ’68
è figlio di un contesto del tutto diverso da quello di inizio secolo
e non lo si può in alcun modo interpretare come un nuovo tentativo
di promuovere in Italia una rivoluzione comunista, questa mi pare
un’interpretazione quasi riduttiva. Tornando agli anni Venti e al
rapporto tra PCd’I e PSI, durante il fascismo le differenze di
strategia e di identità tra comunisti e socialisti si ampliarono. I
socialisti manifestarono una concezione dell’Aventino diversa da
quella dei comunisti che, dopo la fondazione della Concentrazione
Antifascista, non vi aderirono e anzi, seguendo la linea tracciata
dal VI Congresso del Comintern, arrivarono ad accusare i socialisti
di essere addirittura socialfascisti. In quegli anni la distanza tra
i due partiti era notevole, forse esisteva una specificità del PSI
rispetto al PCd’I.
FOA
Sì, è vero che nella
seconda metà degli anni Venti PCd’I e PSI erano distanti, e i loro
rapporti non migliorarono di certo dopo l’unificazione socialista
del 1930. Ma poi ci fu il VII Congresso del Comintern. Venne la
stagione dei fronti popolari e, al di là della Francia, bisogna
pensare soprattutto alla Spagna, dove PCd’I e PSI si ritrovarono
allineati. Perché Nenni, di fronte ai massacri del 1937 e alle
uccisioni di trockijsti e anarchici da parte degli stalinisti, di
fatto solidarizzò con i comunisti? Quando, in un secondo tempo,
venne chiesto a Longo cos’era successo a Barcellona nel maggio di
quell’anno così drammatico, alludendo alla morte di Nin, Berneri e
ad altre uccisioni soprattutto di militanti del POUM e del sindacato
anarchico, Longo rispose candidamente che non ricordava nulla di
particolare… Ma io ricordo bene il contenuto di un articolo
pubblicato allora da Nenni sul “Nuovo Avanti”, io ero in carcere
e lo lessi anni dopo. Non un dubbio, né un critica. In quel momento,
esisteva una specifica identità socialista?
RICCIARDI E’ difficile
dirlo, il problema esiste e, in effetti, se ne è parlato poco,
concentrando l’analisi su un aspetto che pure era centrale: la
raggiunta unità antifascista. La priorità allora era proprio
questa, mantenere l’unità del movimento operaio e lottare contro
il fascismo e i suoi alleati. I temi scomodi, che potevano
rappresentare un problema, venivano forse accantonati quasi per non
“turbare” un’armonia raggiunta a fatica. Anche la battaglia per
il socialismo e i suoi contenuti politico-economici rimanevano
inevitabilmente sullo sfondo. Fu così anche dopo il 1941 quando, con
l’attacco tedesco all’URSS, le forze antifasciste comuniste e non
comuniste si ritrovarono insieme per combattere Mussolini e Hitler.
FOA Forse sì, ma le cose
cambiarono dopo la guerra? Perché Nenni ruppe con Saragat nel 1946?
Il fascismo era stato battuto, il PSIUP aveva preso più voti dei
comunisti nelle elezioni per l’Assemblea Costituente, Nenni disse
che non pensava di essere in maggioranza nel partito e, nonostante
questo, volle l’alleanza con il PCI. A distanza di tanto tempo, non
me lo spiego.
RICCIARDI Può darsi che
Nenni, politico passionale e grande oratore, fosse stato un po’
illuso dalle grandi manifestazioni di piazza e dal clima di unità
che si respirava tra le masse. Una scelta forse influenzata dal
“profumo di vittoria” del socialismo, la lotta di classe era
ancora una variabile fondamentale.
FOA E’ possibile. E
comunque non tutti i vertici del PSI, al di là di Saragat, avevano
la stessa concezione del rapporto con i comunisti. C’era chi non
era convinto delle liste uniche, basti pensare a Lombardi. Certo non
era facile ipotizzare una vera rottura con i comunisti anche perché,
al di là degli obiettivi ultimi del socialismo, eravamo tutti
impegnati in battaglie politico-sindacali molto concrete che potevano
essere condotte solo dall’interno della sinistra. Mi ricordo di
quando noi azionisti entrammo nel PSI, mi chiedo cosa pensassimo
veramente del socialismo. In realtà in noi c’era soprattutto
l’idea di continuare a fare politica (io ero già un sindacalista
più che un militante di partito) e di stare a sinistra. Il PSI
rappresentava un’opportunità da cogliere per continuare a pensare
a una società nuova, per provare a costruirla nel tempo. Il PSLI era
una cosa un po’ diversa, a un certo punto ci eravamo chiesti se era
il caso di seguire Saragat e non Nenni, ma di fatto i
socialdemocratici erano collocati quasi in un campo avverso e, come
ho detto altre volte, chi rompeva pubblicamente con l’URSS, in
particolare durante la fase iniziale della guerra fredda, rischiava
di essere letteralmente “occupato” dagli americani. Noi volevamo
evitare che questo avvenisse. Riscossa Socialista (Jacometti,
Lombardi, Santi, Pieraccini e io) cercò un’altra strada, ma il
varco era troppo stretto e Nenni, già nel 1949, riconquistò il
partito dando inizio alla fase stalinista del PSI, una brutta pagina.
Per alcuni anni il dibattito interno al partito fu praticamente
assente. Lombardi, nonostante il ruolo nei Partigiani della Pace, di
fatto fu emarginato dopo lo scontro con Morandi e Basso pagò un
prezzo molto alto. Forse allora avremmo potuto costruire un’intesa
più solida, il nostro rapporto personale è sempre stato buono ma
evidentemente ci rivolgevamo a contesti diversi: Basso era un
intellettuale che si occupava molto della dottrina, io ero un
sindacalista che viveva più a contatto con le masse e forse nella
politica cercava altre cose. Anche guardando a quella fase, il
problema dell’identità socialista rimane. In che cosa la linea
della segreteria socialista differiva dalla proposta comunista? Nenni
e Togliatti non rimasero molto vicini, anche dopo il 1953, diciamo
fino al 1955? Torno a chiedermi se, almeno fino all’inizio della
destalinizzazione, esistesse una specificità socialista nel pensare
un’alternativa al capitalismo.
RICCIARDI
Penso che ritorni il tema
dell’unità. Anche chi, come Lombardi, non poteva certo essere
tacciato di simpatie staliniste, preferì forse rimandare il problema
della ricostruzione di un’identità socialista per salvaguardare la
prospettiva di un’alternativa al capitalismo. Credo che per tutti
voi fosse difficile pensare a un diverso mondo possibile senza la
collaborazione del PCI, i lavoratori a cui vi rivolgevate in quel
momento non avrebbero capito una rottura in seno al movimento
operaio. Inoltre è difficile vedere nei particolari un quadro mentre
si stanno combattendo battaglie molto concrete, alcune cose
inevitabilmente si possono cogliere in un secondo momento. Lo hai
detto anche tu: o da una parte, con tutte le contraddizioni del caso,
o lontano dal socialismo, di fatto nel campo avverso. E poi insisto:
la costruzione della democrazia e la tutela dei diritti dei
lavoratori erano cose molto concrete, che poco avevano a che fare con
l’URSS e gli obiettivi ultimi del socialismo.
FOA
E’ vero, però mi
chiedo se avremmo potuto fare di più. Quando Krusciov denunciò i
crimini di Stalin, Nenni, durante una riunione di vertice del
partito, disse che eravamo stati presi in giro. Io mi alzai e dissi
che questo poteva valere per la maggioranza dei socialisti ma non
certo per tutti i dirigenti. Indicai me stesso, Lombardi, Pertini,
Basso e lo stesso Nenni, spiegai che non era così importante
conoscere tutti i particolari della realtà sovietica, bastava molto
meno per capire che quel sistema non funzionava. Per anni, basti
pensare a Nenni ma non solo, anche i vertici del PSI hanno pensato
che l’URSS e il comunismo fossero riformabili.
RICCIARDI
Tuttavia, dopo il ’56,
la situazione progressivamente mutò. I socialisti autonomisti
vinsero nel partito e si costruì, sia pure a fatica, il
centro-sinistra. Il PSI, rispetto ai comunisti, si ritagliò non solo
uno suo spazio di manovra, modificando in concreto i rapporti con DC,
PSDI e PRI, ma ridiscusse anche il valore della democrazia dando al
sogno socialista un diverso contenuto politico. Si può parlare di
una nuova identità del PSI?
FOA
Non lo so, non ne sono
così sicuro. E’ vero che si aprì una nuova stagione ma, con quel
quadro politico, c’era veramente uno spazio per la costruzione del
socialismo? Quando facemmo la scissione e fondammo il PSIUP, compimmo
senz’altro un grave errore perché finimmo per indebolire la
prospettiva di un’alternativa, non per favorirla come volevamo. Da
una parte lasciammo da solo Lombardi e cancellammo la possibilità di
un cambio nella linea della segreteria (Santi o lo stesso Lombardi
avrebbero forse potuto ottenere il consenso della sinistra e
sostituire Nenni); dall’altra frenammo il rinnovamento
ideologico-politico del PCI che, infatti, non voleva la scissione. Ma
l’idea che la DC non potesse consentire al PSI di lavorare per
affermare il socialismo per legge non era sbagliata, così come era
vero che la gestione interna del partito non era proprio un esempio
di democrazia. Io, non da solo, pensavo che il socialismo si dovesse
rinnovare perché potesse sopravvivere il sogno di un’alternativa,
non guardavo all’URSS come riferimento ma non potevo concepire
un’alleanza con la DC.
RICCIARDI
Forse gli eventi del 1964
rappresentano un altro dei nodi centrali per riflettere sulla
politica del PSI e sull’identità socialista.
FOA
E’ così, mi sono
chiesto tante volte perché Nenni accettò di far nascere il II
Governo Moro e, per quanto la paura del colpo di Stato possa essere
stata una variabile importante, continuo a ritenere che Nenni non ci
credesse fino in fondo e non pensasse solo alla solidità delle
istituzioni democratiche. Le pressioni che giunsero dalla DC e dai
poteri forti furono enormi, ma penso che Nenni abbia avuto anche
altre buone ragioni per seguire Moro, senza trascurare un certo
opportunismo politico. Se Nenni fosse uscito dal governo, Moro, con
Segni consenziente, avrebbe potuto giocare la carta delle elezioni
anticipate. Il PSI si sarebbe trovato in grande difficoltà
innanzitutto perché rompere con la DC avrebbe significato dare
ragione alla sinistra scissionista, sarebbe stato come dire che fare
le riforme e realizzare una politica di sinistra era impossibile con
il partito cattolico: in fondo era quello che sosteneva il PSIUP, al
di là di quello che abbiamo detto sull’opportunità di fare la
scissione. Il problema politico esisteva: accettare un
ridimensionamento del programma ma, così facendo, non essere
costretti a rivedere la scelta di fondo del centrosinistra
rovesciando una linea portata avanti per anni, oppure insistere
sull’attuazione delle tanto evocate riforme di struttura, come
voleva Lombardi, e rompere con la DC, dando però implicitamente
ragione alla sinistra socialista. La scelta della prima opzione mi
riporta al problema dell’identità socialista: a metà degli anni
Sessanta, anche prima dell’unificazione con il PSDI del ’66,
esisteva una specificità del PSI nella ricerca del socialismo?
RICCIARDI Penso che, in
realtà, nessuno avesse ben presente i caratteri del socialismo che
sognava. Nel momento in cui, pur con tutte le incertezze e le
contraddizioni che tu stesso hai affrontato, il modello sovietico
veniva rifiutato e la socialdemocrazia veniva interpretata come una
soluzione insufficiente, sia Nenni e De Martino, sia Lombardi, sia
Basso, sia la sinistra sindacale in cui tu eri collocato cercava una
strada. Si sapeva con chiarezza che cosa non era socialismo, ma forse
non si capiva bene che cosa era e poteva essere il socialismo. Penso
che molti di voi avessero coscienza dell’esistente, elaborassero
analisi e avanzassero critiche estremamente lucide al sistema. Ma, al
di là dell’URSS e del modello scandinavo, non esisteva qualcosa di
concreto a cui ispirarsi. L’amore per la Cina verrà dopo e,
comunque, si parlerà ancora di comunismo…
FOA
E’ una bella analisi,
penso che tu abbia ragione. Noi cercavamo il socialismo ma in realtà
non sapevamo bene cosa fosse anche se capivamo bene contro cosa
lottare. Per quanto mi riguarda, credo che la dimensione di
sindacalista mi avesse condotto su un terreno diverso dalla politica
parlamentare in senso stretto. Le “spinte dal basso” erano, per
me come per altri, importanti perché allargavano i confini
dell’azione di partito e, in qualche modo, rappresentavano la
democrazia diretta. Un modo diverso di interpretare la politica nella
società, non solo “la stanza dei bottoni” evocata da Nenni. Solo
in un secondo tempo, come ho detto in altre occasioni, mi sono
accorto che la democrazia diretta è sì uno strumento fondamentale
di crescita di una società ma funge soprattutto da stimolo per il
buon funzionamento della democrazia rapprsentativa, non si può
sostituire ad essa.
RICCIARDI
Dunque il socialismo come
ricerca di un diverso mondo possibile – ritorna Lombardi – senza
però poter chiudere il cerchio…
FOA
Forse è così, anche se
queste istanze hanno portato anche a risultati concreti, dentro e
fuori dalle fabbriche.
RICCIARDI
E comunque anche i
socialisti meno “radicali” di te non sono riusciti a raggiungere
l’obiettivo di costruire una valida alternativa al capitalismo.
Hanno rafforzato la democrazia contribuendo all’attuazione,
peraltro parziale, della Costituzione repubblicana ma forse, e torno
al punto che hai posto, effettivamente non hanno affermato
un’identità socialista veramente riconoscibile.
FOA
Mi viene in mente Craxi.
Penso che Craxi abbia avuto il coraggio di dichiarare che il
collettivismo era finito, che bisognava valorizzare l’individuo e
rinnovare il socialismo attraverso il definitivo abbandono del
leninismo e della prospettiva di un’alternativa al capitalismo.
Proudhon era solo un pretesto, da un lato per distinguersi dai
comunisti anche sul piano delle radici storiche e dall’altro per
dire che bisognava fare i conti con l’economia di mercato,
accettare la modernità senza inseguire chimere. Era un’intuizione
giusta, poi però la politica che ne derivò non fu all’altezza
delle basi di partenza.
RICCIARDI
Il dibattito su Craxi è
in corso, secondo me prevalgono di gran lunga le ombre sulle luci. E’
vero che l’intuizione di cui hai parlato era giusta e che l’azione
di Craxi fu coraggiosa ma, a proposito di identità socialista, non
mi pare che possiamo ricordare quella stagione come una fase di vero
rinnovamento del PSI. Non che Craxi sia stato l’unico responsabile
della crisi del partito, credo anzi che certi problemi siano derivati
da scelte compiute diversi anni prima della sua segreteria, tuttavia
è con Craxi che il PSI crolla. Al di là di ciò che è emerso con
Tangentopoli, il socialismo italiano degli anni Ottanta ha prodotto
davvero una svolta storica positiva? Il collettivismo venne
opportunamente abbandonato, ma in nome di che cosa? A me sembra che
la riscoperta dell’individuo abbia prodotto soprattutto il trionfo
dell’individualismo. Se fosse stato veramente sposato il modello
socialdemocratico, sarebbe stato necessario innanzitutto risanare la
politica e razionalizzare la spesa pubblica per favorire un vero
Welfare State e non uno stato assistenziale basato sul
clientelismo, un sistema che non ha rappresentato (e non rappresenta)
il socialismo in alcuna variante, né la tanto evocata democrazia
compiuta. Le riforme istituzionali furono agitate ma non furono
realizzate, il modello elettorale venne modificato contro il parere
di Craxi e la maggioranza del PSI. Il debito pubblico, dopo il 1983,
salì alle stelle e la lotta all’inflazione, condotta con grande
vigore, ottenne dei risultati senza in realtà scalfire i poteri
forti e mettere in discussione le rendite. Non credo che bastino
Sigonella, la battaglia per gli euromissili e un periodo di feeling
con gli intellettuali, tutto sommato breve, per pensare a Craxi come
a uno statista moderno e vincente che ha saputo ridare fiato al
socialismo. La crescita elettorale del PSI ci fu, anche se non fu
proprio travolgente, ma i consensi non giunsero da sinistra bensì
dal centro. E’ vero che il PDS entrò nell’Internazionale
Socialista anche perché i vertici del PSI lo vollero, ma dubito che
si potesse pensare di rinnovare la sinistra prima entrando in rotta
di collisione con il PCI di Berlinguer e la maggioranza della CGIL,
poi scegliendo la destra democristiana come interlocutore di governo
in barba a ogni prospettiva politica riformista. Sulla gestione
interna del partito, basti pensare a Lombardi e al suo polemico
abbandono della presidenza del partito nel 1980 a soli due mesi
dall’elezione, o al documento degli intellettuali dell’ottobre
1979, che già parlava di “gestione personale” del partito da
parte del segretario e che venne firmato, tra gli altri, da
intellettuali del calibro di Bobbio, Amato, Ruffolo, Coen, Cafagna,
Giugni e Guiducci, quasi tutti vicini a Giolitti. Forse, per quanto
paradossale possa sembrare, fu proprio la morte di Nenni a salvare
Craxi. Il partito si ricompattò nel ricordo del leader scomparso e,
dopo l’accordo con Signorile, Craxi nel 1981 si alleò con Manca e
De Michelis. Era molto abile e determinato. Anche tu, con Giolitti,
Arfé e altri, nella seconda metà degli anni Ottanta pensasti a una
ridefinizione del socialismo senza sposare in alcun modo la linea di
Craxi. C’era un’altra strada che non fosse il ritorno al passato?
FOA
Non è facile rispondere,
certamente quello che dici su Craxi e l’identità socialista degli
anni Ottanta è difficile da negare anche perché c’era chi, senza
volere un ritorno all’ortodossia marxista, chiedeva effettivamente
una linea politica alternativa all’alleanza di ferro con la DC e
un’altra gestione interna del partito. Mi ricordo bene
dell’amarezza di Lombardi, profondamente deluso anche da una parte
della sua corrente. Però anche il PCI di Berlinguer si dimostrò
inadeguato a confrontarsi con i nuovi scenari nazionali e
internazionali, non credi? L’eurocomunismo non fu un’altra
illusione?
RICCIARDI Sì, Berlinguer
forse non era un uomo molto moderno e credo che mai abbia smesso di
essere comunista, anche dopo lo strappo con Mosca. Il fallimento
dell’eurocomunismo mi pare un’altra prova della difficoltà, per
non dire impossibilità, di trovare un’altra via tra sistema
sovietico e socialdemocrazia. Però Berlinguer era amato da molta
gente, non solo dai comunisti, perché, al di là degli errori
politici e della rigidità che mostrava, aveva un’idea alta della
politica. La “diversità”, su cui tanto insistette, poteva
effettivamente essere una forzatura e urtare la sensibilità dei
socialisti, ma la questione morale non era certo una sua invenzione
propagandistica, era un problema enorme dell’Italia che, purtroppo,
è rimasto tale e si presenta di continuo sotto varie forme. Ogni
volta che il socialismo ha saputo incidere sulla realtà italiana,
questo è avvenuto tenendo ben presente il valore dell’onestà
materiale e intellettuale, gli esempi sarebbero tanti, a cominciare
dall’età giolittiana. Senza questa tensione etica, anche
accettando il compromesso che è parte integrante della politica,
credo che ogni ridefinizione dell’identità socialista, anche per
il futuro, sarebbe inconsistente. La governabilità può essere un
valore, soprattutto nei momenti in cui le istituzioni democratiche
appaiono indebolite, lo si è visto negli anni Sessanta e Settanta.
Ma io credo che la politica abbia bisogno anche di altri valori.
FOA
Mi chiedo se Craxi
avrebbe potuto rimanere fermo una legislatura dopo i quattro anni in
cui aveva governato e, in un certo senso, “aspettare” i comunisti
rinunciando al legame di ferro con la DC.
RICCIARDI Non penso che
Craxi sia stato un uomo molto paziente da un punto di vista politico,
era carismatico e intraprendente ma poco disposto ad aspettare e
forse un po’ troppo innamorato di se stesso. E poi non era facile
prevedere cosa sarebbe accaduto nel 1989, anche se i segnali non
mancavano. Pensando al presente, ritieni che il socialismo, guardando
in particolare all’Italia e alla nascita del Partito Democratico,
abbia un futuro?
FOA
La distanza tra poveri e
ricchi sembra essere aumentata, quindi la necessità di lottare
contro l’ingiustizia sociale e per l’estensione dei diritti
civili e politici è sentita in tutto il mondo, forse stanno
cambiando le forme di lotta. Bisogna ripensare molte cose,
ridiscutere i meccanismi di inclusione nella società di chi vive ai
margini. Il richiamo al socialismo del secolo scorso può essere
importante, ma non è sufficiente. Quanto all’Italia, ho il
vantaggio di non fare più politica attiva da tempo e di non dover
sempre prendere posizione su tutto quello che accade giornalmente.
Faccio molti auguri al Partito Democratico, ma sono un po’
perplesso.
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