4.5.15

Caducità (Sigmund Freud)

Non molto tempo fa, in compagnia di un amico silenzioso e di un poeta già famoso nonostante la sua giovine età, feci una passeggiata in una contrada estiva in piena fioritura. Il poeta ammirava la bellezza della natura intorno a noi ma non ne traeva gioia. Lo turbava il pensiero che tutta quella bellezza era destinata a perire, che col sopraggiungere dell'inverno sarebbe scomparsa: come del resto ogni bellezza umana, come tutto ciò che di bello e nobile gli uomini hanno creato o potranno creare. Tutto ciò che egli avrebbe altrimenti amato gli sembrava svilito dalla caducità cui era destinato.
Sappiamo che da un simile precipitare nella transitorietà di tutto ciò che è perfetto possono derivare due diversi moti dell'animo. L'uno porta al doloroso tedio del mondo del giovane poeta, l'altro alla rivolta contro l'apparente dato di fatto. No! è impossibile che tutte queste meraviglie della natura e dell'arte, del mondo della nostra sensibilità e del mondo esterno, debbano veramente finire nel nulla. (...)
Ma questa esigenza di eternità è troppo chiaramente un risultato del nostro desiderio per poter pretendere a un valore di realtà: ciò che è doloroso può pur essere vero. Io non sapevo decidermi a contestare la caducità del tutto e nemmeno a strappare un'eccezione per ciò che è bello e perfetto. Contestai però al poeta pessimista che la caducità del bello comporti un suo svilimento.
Al contrario, un aumento di valore! Il valore della caducità è un valore di rarità nel tempo. La limitazione della possibilità di godimento ne aumenta la preziosità. Era incomprensibile, dissi, che il pensiero della caducità del bello dovesse turbare la nostra gioia al riguardo. Quanto alla bellezza della natura, essa ritorna, dopo la distruzione dell'inverno, nell'anno nuovo, e questo ritorno, in rapporto alla durata della nostra vita, lo si può dire un ritorno eterno. Nel corso della nostra esistenza, vediamo svanire per sempre la bellezza del corpo e del volto umano, ma questa breve durata le aggiunge un nuovo incanto. 
(...) Potrà venire un tempo in cui i quadri e le statue che oggi ammiriamo saranno caduti in pezzi, o una razza umana dopo di noi che non comprenderà più le opere dei nostri poeti e dei nostri pensatori, o addirittura un'epoca geologica in cui ogni cosa vivente sulla terra sarà scomparsa: il valore di tutta questa bellezza e perfezione è determinato soltanto dal suo significato per la nostra sensibilità viva, non ha quindi bisogno di sopravviverle e per questo è indipendente dalla durata temporale assoluta.
Mi pareva che queste considerazioni fossero incontestabili, ma mi accorsi che non avevo fatto alcuna impressione sia sul poeta che sull'amico. Questo insuccesso mi condusse a ritenere che un forte fattore affettivo intervenisse a turbare il loro giudizio (...) L'idea che quella bellezza fosse effimera faceva presentire ai due esseri sensibili il lutto per la sua fine, e poiché l'anima rifugge istintivamente da tutto ciò che è doloroso, essi avvertivano nel loro godimento del bello l'interferenza pertubatrice del pensiero della sua caducità.
Per lo psicologo il lutto è un grande enigma, uno di quei fenomeni che non si possono spiegare ma ai quali si riconducono altre cose oscure. Noi ci rappresentiamo di possedere una certa quantità di capacità d'amare - che chiamiamo libido - la quale agli inizi dello sviluppo è rivolta al proprio Io. In seguito, ma in realtà molto presto, la libido si distoglie dall'Io per rivolgersi agli oggetti, che noi in tal modo, per così dire, accogliamo nel nostro Io. Se gli oggetti sono distrutti o vanno perduti per noi, la nostra capacità di amare (la libido) ritorna libera. Può prendersi altri oggetti come sostituti o tornare temporaneamente all'Io. Ma perché questo distacco della libido dai suoi oggetti debba essere un processo così doloroso non lo comprendiamo.


Da «Caducità», in Saggi sull'arte, la letteratura, il linguaggio, trad. di S. Daniele, Boringhieri 1969.

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