Negli anni Novanta del
ventesimo secolo si è conclusa l’epopea millenaria del mercante
europeo. Gli atti finali sono stati la nascita di un’Organizzazione
mondiale del commercio che ha annullato regole sociali e ambientali e
l’aver abolito la separazione tra banca commerciale e banca
d’investimento, misura che proteggeva dalla speculazione. [...]
La costruzione del
mercante operoso è stata laboriosa. Lo storico Giacomo Todeschini
sottolinea il ruolo in apparenza paradossale dei francescani, autori
a partire dal 1200 di un’analisi raffinata della ricchezza e della
povertà che ha stabilito differenze sottili ma sostanziali tra usura
e giusto interesse, arricchimento e volontà di arricchirsi,
ricchezza immobilizzata e distribuita, necessario e superfluo,
povertà personale e beni con cui esercitare la carità verso i
poveri. Il mercante ne esce benedetto, perché non accumula ma fa
girare il denaro e indica il valore delle cose d’uso quotidiano
stabilendone il prezzo, offrendo così un servizio fondamentale per
la vita economica del Comune. La ricchezza può essere quindi merito
per il Paradiso perché chi più ha molto può dare. E Giotto ne fa
le lodi nella cappella degli ambiziosi banchieri Scrovegni, a Padova
(Chiara Frugoni).
Il passaggio dalla
riflessione tormentata sulla ricchezza all’esaltazione
dell’arricchirsi, dai viaggi annosi dei Polo ai miliardi spostati
in pochi secondi via computer, muta il mercante-banchiere che «poteva
contribuire alla costruzione di una società cristiana» nel Signore
dell’Universo stile Gekko narrato da Tom Wolfe.
È stato un percorso
avventuroso e drammatico: mercanti che fecero grandi Firenze, Genova,
Venezia e le Fiandre, predatori del Nuovo Mondo, austeri calvinisti
impazziti per i tulipani, funzionari delle Compagnie delle Indie in
cerca di spezie, imperialisti alla Cecil Rhodes, imprenditori della
Rivoluzione industriale, predatori multinazionali, speculatori
finanziari esperti di derivati, hedge fund, vendite allo scoperto e
assalti agli Stati. La civiltà mercantile culmina nel mondo dove
tutto è merce. Non più utili alla società, i mercanti accumulano
per sé stessi distruggendo persone e natura. È il tempo della
cultura, o meglio, della cultura-coltura. Ritorno alla terra. Nel
caos contemporaneo i soggetti dinamici, frattali di un ordine in
fieri più vicino alla realtà umana e naturale, sono gli
attivisti eco-solidali e gli intellettuali pratici, i creativi
animati da altruismo e cooperazione, le loro pratiche.
Abbiamo bisogno di
innovazioni che non scavino «la stessa miniera» (Gorge Corm), di
prenderci cura l’uno dell’altro, di sobrietà, bellezza,
giustizia ed equità, di aria acqua terra pulite, di buon cibo e
mercati locali. Desiderio di un mondo che si occupi del suolo che
frana e non dello spread che sale.
“il manifesto”,
venerdì 2 dicembre 2011
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