6.5.15

La fine del mercante europeo (Giuseppina Ciuffreda)

Negli anni Novanta del ventesimo secolo si è conclusa l’epopea millenaria del mercante europeo. Gli atti finali sono stati la nascita di un’Organizzazione mondiale del commercio che ha annullato regole sociali e ambientali e l’aver abolito la separazione tra banca commerciale e banca d’investimento, misura che proteggeva dalla speculazione. [...]
La costruzione del mercante operoso è stata laboriosa. Lo storico Giacomo Todeschini sottolinea il ruolo in apparenza paradossale dei francescani, autori a partire dal 1200 di un’analisi raffinata della ricchezza e della povertà che ha stabilito differenze sottili ma sostanziali tra usura e giusto interesse, arricchimento e volontà di arricchirsi, ricchezza immobilizzata e distribuita, necessario e superfluo, povertà personale e beni con cui esercitare la carità verso i poveri. Il mercante ne esce benedetto, perché non accumula ma fa girare il denaro e indica il valore delle cose d’uso quotidiano stabilendone il prezzo, offrendo così un servizio fondamentale per la vita economica del Comune. La ricchezza può essere quindi merito per il Paradiso perché chi più ha molto può dare. E Giotto ne fa le lodi nella cappella degli ambiziosi banchieri Scrovegni, a Padova (Chiara Frugoni).
Il passaggio dalla riflessione tormentata sulla ricchezza all’esaltazione dell’arricchirsi, dai viaggi annosi dei Polo ai miliardi spostati in pochi secondi via computer, muta il mercante-banchiere che «poteva contribuire alla costruzione di una società cristiana» nel Signore dell’Universo stile Gekko narrato da Tom Wolfe.
È stato un percorso avventuroso e drammatico: mercanti che fecero grandi Firenze, Genova, Venezia e le Fiandre, predatori del Nuovo Mondo, austeri calvinisti impazziti per i tulipani, funzionari delle Compagnie delle Indie in cerca di spezie, imperialisti alla Cecil Rhodes, imprenditori della Rivoluzione industriale, predatori multinazionali, speculatori finanziari esperti di derivati, hedge fund, vendite allo scoperto e assalti agli Stati. La civiltà mercantile culmina nel mondo dove tutto è merce. Non più utili alla società, i mercanti accumulano per sé stessi distruggendo persone e natura. È il tempo della cultura, o meglio, della cultura-coltura. Ritorno alla terra. Nel caos contemporaneo i soggetti dinamici, frattali di un ordine in fieri più vicino alla realtà umana e naturale, sono gli attivisti eco-solidali e gli intellettuali pratici, i creativi animati da altruismo e cooperazione, le loro pratiche.
Abbiamo bisogno di innovazioni che non scavino «la stessa miniera» (Gorge Corm), di prenderci cura l’uno dell’altro, di sobrietà, bellezza, giustizia ed equità, di aria acqua terra pulite, di buon cibo e mercati locali. Desiderio di un mondo che si occupi del suolo che frana e non dello spread che sale.


“il manifesto”, venerdì 2 dicembre 2011

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