Chissà perché, ma a me, leggendo in questa storia esemplare del parroco di Brescello, non è venuto in mente don Camillo, ma il Cardinale Ruffini, che a Palermo, ancora negli anni 60, mentre le cosche e la Dc saccheggiavano la città, soleva dire che la cosiddetta "mafia" era normale delinquenza e che tutto quello che si raccontava sul potere mafioso era una calunnia contro il popolo siciliano. (S.L.L.)
Donato Ungaro |
“Licenziato,
disarmato ma alla fine ho vinto io”
Non è mafia solo
uccidere le persone, è mafia anche togliere la dignità agli uomini.
È mafia anche mettersi al servizio di un imprenditore che con la
mafia, secondo un prefetto, conduce affari; mafia è fare dei favori
– magari inconsapevolmente – alla mafia, quella vera.
La mia storia è banale.
È la storia di un vigile urbano di un paesino reso famoso dai film
di Peppone e don Camillo, che si mette in testa di diventare
giornalista. Incontra un certo Roccuzzo, uno dei picciotti di quel
Pippo Fava direttore de I Siciliani ucciso dalla mafia catanese; e
inizia a scrivere per la “Gazzetta di Reggio”. Scrive, il
vigile-cronista, di una mega-centrale elettrica dell’Ansaldo da
costruire su terreni agricoli comprati per pochi soldi, terreni che
prima del rogito – però – diventano area industriale grazie alla
variante approvata dall’amministrazione. Un guadagno straordinario,
con l’Ansaldo ora pronta a pagare i terreni fior di milioni; ma al
vigile-cronista giunge una voce raccapricciante: secondo un medico,
troppa gente a Brescello muore di tumore.
La redazione della
“Gazzetta di Reggio” scrive un articolo dove vengono denunciate
le impressioni del medico condotto: dal municipio arrivano strali e
minacce al vigile-cronista. Ansaldo rinuncia a costruire la centrale
e l’imprenditore rimane con i terreni “novelli” industriali
senza un compratore. Il sindaco di Brescello, Ermes Coffrini,
licenzia il vigile-cronista. L’Ausl conduce un’indagine e scrive
che negli ultimi 7 anni il 45 per cento degli uomini è morto per
tumore. Solo impressioni?
Intanto l’imprenditore
scava abusivamente sabbia nel Po, arrivando a deviare il corso del
fiume. L’ex vigile, ora solo cronista, filma una draga mentre scava
nelle acque del Po e Le Iene ci fanno una puntata, con la Procura che
acquisisce le immagini. Una domenica mattina qualcuno taglia le gomme
all’auto dell’ex vigile: proprio davanti alla caserma dei
carabinieri! La cosa si ripete dopo un po’, di notte.
Il procuratore del
tribunale di Reggio Emilia, Italo Materia, invita il cronista a
sporgere denuncia: non dai carabinieri del suo paese ma direttamente
da lui.
L’imprenditore,
intanto, invita il cronista a passare da casa sua: «Ho un bel tatami
– mi dice Claudio Bacchi –, vieni che sistemiamo le cose da
uomini».
Antonio Roccuzzo nel
frattempo lascia la “Gazzetta di Reggio”: e la “Gazzetta di
Reggio” lascia a casa l’ex vigile, ora solo cronista. Lui si
trasferisce a Bologna e, oltre a fare il tranviere, scrive per Piazza
Grande.
La Bacchi riceve
un’interdizione dal prefetto di Reggio Emilia, per legami con la
mafia: non voglio immaginare, a questo punto, chi avrebbe potuto
costruire la mega centrale Turbogas di Brescello. Forse, dico forse,
le stesse imprese finite nel gorgo dell’operazione Aemilia delle
scorse settimane, con un imprenditore edile, Alfonso Di Letto,
accusato di avere legami con la ‘ndragheta e che è stato
intercettato mentre “discute” di politica con un consigliere
comunale di Brescello, Maurizio Dall’Aglio, il quale era stato
invitato insieme ad altri consiglieri tra cui il sindaco Ermes
Coffrini, a recarsi in Portogallo per visionare una centrale Turbogas
già costruita dalla Ansaldo.
Tutto mentre l’attuale
sindaco di Brescello, un Coffrini junior figlio del Coffrini senior
che mi licenziò nel 2002, definisce improvvidamente «…una brava
persona…» il signor Francesco Grande Aracri, suo concittadino
condannato in via definitiva per mafia. A fargli l’eco, il parroco
brescellese, che in chiesa grida: «Brescello non è mafiosa». Dopo
un paio di mesi gli elicotteri dei carabinieri volavano all’alba
sulla parrocchia brescellese, per arrestare gli ‘ndraghetisti.
Nella mia storia
semplice, quasi banale, la mafia non ha ucciso. E nessun brigadiere
ha eliminato il suo superiore. Nessun parroco si traveste da
“capo-stazione”.
L’unico a rimetterci
sono stato io, Donato Ungaro; ci ho rimesso il posto di vigile
urbano. E di cronista, perché la Gazzetta mi ha lasciato a casa.
Sono stato così
semplicemente disarmato, perché togliere il lavoro a una persona è
privarlo della propria dignità; che è l’unica vera arma civile di
un Uomo. L’unica cosa per cui valga la pena di combattere.
Da “I Siciliani nuovi
on line”, marzo 2015
Nessun commento:
Posta un commento