30.5.15

Alexis Piron. Un nemico per Voltaire (Yannick Nexon)

La statua dedicata ad Alexis Piron a Dijon in una cartolina del Primo Novecento
Chi si ricorda di Alexis Piron? Figlio di un farmacista di Digione, poeta dialettale a tempo perso, amante della buona tavola, fu, come suo padre, un buon cristiano, cioè un uomo di principi, e di conseguenza antifilosoflco. Alunno ribelle dei gesuiti, Alexis Piron sbuffava di fronte a ogni vocazione imposta: non divenne né farmacista, né prete, né uomo di legge, nonostante gli studi in diritto. Preferiva le cene ben innaffiate e le battute dei vecchi compagni di scuola. Intorno al 1710 scrisse un'Ode a Priapo, di una pornografia senza pari, che avrebbe senza dubbio rovinato la sua carriera se non l'avesse prontamente sconfessata riuscendo a mettere, almeno per il momento, a tacere la cosa. Nel 1719, a trent'anni, andò a Parigi dove sopravvisse alla meno peggio facendo lo scribacchino. Nel salotto di Madame de Mimeure incontrò la sua futura moglie, Mademoiselle de Bar, una donna decisamente brutta ma dotata di spirito salace. E fu nel medesimo salotto che, per la prima volta, Piron incontrò Voltaire, scoprendo, fin dall'inizio, di non sopportarlo affatto. Sentimento, del resto, ampiamente ricambiato.
Tutto opponeva i due uomini: Piron, dall'allegria spontanea e maliziosa, detestava il gracile Voltaire, l'ipocondriaco dittatore del buon gusto, capace magari di essere blasfemo, ma non di ridere di un motto arguto, e che, fatto molto grave, «non si nutre che di decotti e acqua minerale». Timido e del tutto privo di buone maniere, Piron mal si adattava alla vita dei salotti parigini dove invece trionfava il suo nemico, ma in privato il suo spirito era inesauribile: piuttosto morire che non fare più epigrammi.
Je dis vrai, foi d'homme de bien,
Foi de gentilhomme ordinaire
De chambellan et de chrétien
Pour toi dire, fot de Voltaire
Nel 1722, in nome del monopolio dei teatri ufficiali (l'Opera e il Théàtre Francaise), fu proibito ai teatrini delle fiere la rappresentazione di pièces in cui agisse più di un personaggio. Piron raccolse la sfida e scrisse l'Arlequin Deucalion, che lo rese velocemente famoso. In quest'operina non risparmiava gli attacchi all'Opera, agli attori francesi e allo stesso Voltaire. Ma la vera gloria sarebbe giunta solo se Piron avesse potuto trionfare al Théàtre Française che però Voltaire, nel timore che la sua fama venisse oscurata, monopolizzava con la sua abbondante produzione. Dopo due insuccessi, fu necessario un anno perché Piron riuscisse, nonostante gli intrighi di Voltaire, a mettere in scena una nuova opera, il Gustave Wasa, che, essendo moderna e piacevolmente animata, riscosse un buon successo. L'odio tra i due uomini cresceva; è un aneddoto riportato da Piron a far luce sui loro rapporti nel 1732. Entrambi si trovavano a corte, Piron, nascosto in un angolo, scrutava Voltaire che «si rotolava come un pisello in mezzo a gruppi di ragazzotte in modo assai comico. Quando mi vide disse: "Ah, buongiorno, mio caro Piron, che fate a corte? Io ci sono da tre settimane, l'altro giorno è stata recitata la mia Marianne, presto sarà recitata Zaire, a quando il vostro Gustave? Come state?... Ah, signor duca, un momento, vi cercavo!" Tutto ciò detto a rotta di collo e lasciandomi come un fesso. Così stamattina, avendolo incontrato, l'ho fermato dicendogli: "Molto bene signore e pronto a servirvi." Vedendolo interdetto, gli ho ricordato come il giorno prima mi avesse lasciato sulla domanda "Come state?"».
Nel 1738, in Métromanie, Piron inserì un episodio realmente accaduto che aveva fatto ridere tutta Parigi alle spalle di Voltaire. Uno sconosciuto poeta, per farsi pubblicare sul "Mercure" rivolse, sotto lo pseudonimo di Antoinette Malcrais de la Vigne, epistole galanti a Voltaire che, blandito nel suo amor proprio, rispose. Una volta svelato l'inganno, per evitare il ridicolo, Voltaire fece appello a tutto il proprio humour, ma nei salotti già si sghignazzava alle sue spalle e quando venne a sapere che Piron avrebbe messo in scena la cosa, il filosofo si aspettò il peggio. La commedia, in realtà ha valore solo per questo spunto satirico: l'atmosfera è da buoni sentimenti, non ci sono cattivi e tutti in fondo finiscono per cedere alle ragioni del cuore. Nella pièce, tramite il protagonista, un poeta di belle speranze, Piron rievoca gli anni dei suoi entusiasmi giovanili, dei suoi primi fallimenti teatrali, della sua vocazione poetica, mantenuta viva a dispetto delle critiche e delle difficili condizioni materiali. Ma dato che il successo di quest'opera rimase isolato, Piron nel 1741 decise di rinunciare al teatro.
Convinto a presentare la sua candidatura all'Académie Francaise, gli fu assicurato l'appoggio della marchesa diPompadour. Ma non meno fedeli dei suoi amici, i suoi tanti nemici colsero al volo l'occasione: fu sufficiente leggere al re la famosa Ode a Priapo perché il posto venisse dato a Buffon. In seguito, benché fosse diventato cieco e avesse totalmente smesso di scrivere, la sua reputazione ancora gli permetteva di ricevere Goldoni e Rousseau oltre a nuovi amici come Cazotte o Rigoley de Juvigny, il futuro e-ditore delle sue opere complete. Benché avesse scritto solo l'Ode a Priapo, per tutta la sua vita Piron si vide attribuire numerosissime opere erotiche. Egli invano smentiva, invano si affannava a pubblicare poemi religiosi: la sua reputazione di pornografo si era per sempre affermata: Saint-Beuve dirà che «tra persone perbene, è disdicevole parlare a lungo di Piron».
Piron mori nel 1773, a ottantatré anni, deluso da un secolo dominato dall'empietà. La sua opposizione ai filosofi, all'anglomania, alle novità letterarie, l'avevano relegato dalla parte dei perdenti. Il suo storico nemico lo seppellì con queste parole: «Piron? L'ho visto a mala pena tre volte in vita mia». La posterità non è meno maligna, per noi Piron rimane, innanzitutto, il nemico di Voltaire.


“Storia e dossier”, anno IX gennaio 1994

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