La statua dedicata ad Alexis Piron a Dijon in una cartolina del Primo Novecento |
Chi si ricorda di Alexis
Piron? Figlio di un farmacista di Digione, poeta dialettale a tempo
perso, amante della buona tavola, fu, come suo padre, un buon
cristiano, cioè un uomo di principi, e di conseguenza
antifilosoflco. Alunno ribelle dei gesuiti, Alexis Piron sbuffava di
fronte a ogni vocazione imposta: non divenne né farmacista, né
prete, né uomo di legge, nonostante gli studi in diritto. Preferiva
le cene ben innaffiate e le battute dei vecchi compagni di scuola.
Intorno al 1710 scrisse un'Ode a Priapo, di una pornografia
senza pari, che avrebbe senza dubbio rovinato la sua carriera se non
l'avesse prontamente sconfessata riuscendo a mettere, almeno per il
momento, a tacere la cosa. Nel 1719, a trent'anni, andò a Parigi
dove sopravvisse alla meno peggio facendo lo scribacchino. Nel
salotto di Madame de Mimeure incontrò la sua futura moglie,
Mademoiselle de Bar, una donna decisamente brutta ma dotata di
spirito salace. E fu nel medesimo salotto che, per la prima volta,
Piron incontrò Voltaire, scoprendo, fin dall'inizio, di non
sopportarlo affatto. Sentimento, del resto, ampiamente ricambiato.
Tutto opponeva i due
uomini: Piron, dall'allegria spontanea e maliziosa, detestava il
gracile Voltaire, l'ipocondriaco dittatore del buon gusto, capace
magari di essere blasfemo, ma non di ridere di un motto arguto, e
che, fatto molto grave, «non si nutre che di decotti e acqua
minerale». Timido e del tutto privo di buone maniere, Piron mal si
adattava alla vita dei salotti parigini dove invece trionfava il suo
nemico, ma in privato il suo spirito era inesauribile: piuttosto
morire che non fare più epigrammi.
Je dis vrai, foi
d'homme de bien,
Foi de gentilhomme
ordinaire
De chambellan et de
chrétien
Pour toi dire, fot de
Voltaire
Nel 1722, in nome del
monopolio dei teatri ufficiali (l'Opera e il Théàtre Francaise), fu
proibito ai teatrini delle fiere la rappresentazione di pièces
in cui agisse più di un personaggio. Piron raccolse la sfida e
scrisse l'Arlequin Deucalion, che lo rese velocemente famoso.
In quest'operina non risparmiava gli attacchi all'Opera, agli attori
francesi e allo stesso Voltaire. Ma la vera gloria sarebbe giunta
solo se Piron avesse potuto trionfare al Théàtre Française che
però Voltaire, nel timore che la sua fama venisse oscurata,
monopolizzava con la sua abbondante produzione. Dopo due insuccessi,
fu necessario un anno perché Piron riuscisse, nonostante gli
intrighi di Voltaire, a mettere in scena una nuova opera, il Gustave
Wasa, che, essendo moderna e piacevolmente animata, riscosse un
buon successo. L'odio tra i due uomini cresceva; è un aneddoto
riportato da Piron a far luce sui loro rapporti nel 1732. Entrambi si
trovavano a corte, Piron, nascosto in un angolo, scrutava Voltaire
che «si rotolava come un pisello in mezzo a gruppi di ragazzotte in
modo assai comico. Quando mi vide disse: "Ah, buongiorno, mio
caro Piron, che fate a corte? Io ci sono da tre settimane, l'altro
giorno è stata recitata la mia Marianne, presto sarà
recitata Zaire, a quando il vostro Gustave? Come
state?... Ah, signor duca, un momento, vi cercavo!" Tutto ciò
detto a rotta di collo e lasciandomi come un fesso. Così stamattina,
avendolo incontrato, l'ho fermato dicendogli: "Molto bene
signore e pronto a servirvi." Vedendolo interdetto, gli ho
ricordato come il giorno prima mi avesse lasciato sulla domanda "Come
state?"».
Nel 1738, in Métromanie,
Piron inserì un episodio realmente accaduto che aveva fatto ridere
tutta Parigi alle spalle di Voltaire. Uno sconosciuto poeta, per
farsi pubblicare sul "Mercure" rivolse, sotto lo pseudonimo
di Antoinette Malcrais de la Vigne, epistole galanti a Voltaire che,
blandito nel suo amor proprio, rispose. Una volta svelato l'inganno,
per evitare il ridicolo, Voltaire fece appello a tutto il proprio
humour, ma nei salotti già si sghignazzava alle sue spalle e quando
venne a sapere che Piron avrebbe messo in scena la cosa, il filosofo
si aspettò il peggio. La commedia, in realtà ha valore solo per
questo spunto satirico: l'atmosfera è da buoni sentimenti, non ci
sono cattivi e tutti in fondo finiscono per cedere alle ragioni del
cuore. Nella pièce, tramite il protagonista, un poeta di
belle speranze, Piron rievoca gli anni dei suoi entusiasmi giovanili,
dei suoi primi fallimenti teatrali, della sua vocazione poetica,
mantenuta viva a dispetto delle critiche e delle difficili condizioni
materiali. Ma dato che il successo di quest'opera rimase isolato,
Piron nel 1741 decise di rinunciare al teatro.
Convinto a presentare la
sua candidatura all'Académie Francaise, gli fu assicurato l'appoggio
della marchesa diPompadour. Ma non meno fedeli dei suoi amici, i suoi
tanti nemici colsero al volo l'occasione: fu sufficiente leggere al
re la famosa Ode a Priapo perché il posto venisse dato a
Buffon. In seguito, benché fosse diventato cieco e avesse totalmente
smesso di scrivere, la sua reputazione ancora gli permetteva di
ricevere Goldoni e Rousseau oltre a nuovi amici come Cazotte o
Rigoley de Juvigny, il futuro e-ditore delle sue opere complete.
Benché avesse scritto solo l'Ode a Priapo, per tutta la sua
vita Piron si vide attribuire numerosissime opere erotiche. Egli
invano smentiva, invano si affannava a pubblicare poemi religiosi: la
sua reputazione di pornografo si era per sempre affermata:
Saint-Beuve dirà che «tra persone perbene, è disdicevole parlare a
lungo di Piron».
Piron mori nel 1773, a
ottantatré anni, deluso da un secolo dominato dall'empietà. La sua
opposizione ai filosofi, all'anglomania, alle novità letterarie,
l'avevano relegato dalla parte dei perdenti. Il suo storico nemico lo
seppellì con queste parole: «Piron? L'ho visto a mala pena tre
volte in vita mia». La posterità non è meno maligna, per noi Piron
rimane, innanzitutto, il nemico di Voltaire.
“Storia e dossier”,
anno IX gennaio 1994
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