Da sinistra Francis Crick e James Watson |
Il primo testo, che è la
ristampa di un libro, risaputamente «grande», La doppia elica:
trent'anni dopo, Garzanti 1982), è scritto vivacissimo di
Watson, e narra proprio della grande «scoperta» che un ornitologo
«pentito» e un fisico logorroico fecero, bruciando sulla linea
d'arrivo il quotatissimo rivale americano Linus Pauling. Un titolo —
poi abortito — di questo libro-racconto fu Base pairs,
grazioso doppio senso traduciblle sia come «Coppia di basi»
(l'essenza della «visione» di scala ritorta a doppia elica, intuita
proprio come complementarità stereochimica delle coppie di basi che
costituiscono i pioli della scala) come «Quella sporca coppia»
(epiteto riferibile ai due scopritori).
E il racconto di questo
storico rapporto di coppia scientifica scorre tutto d'un fiato,
piacevole quanto un buon romanzo d'avventura. Ma di questo libro va
ricordata soprattutto l'importanza nella storia della divulgazione
scientifica, dato che esso in origine venne addirittura «ricusato»
dalla Harvard Università Press per la quale fu scritto, e nonostante
la notorietà dell'autore, il che provocò scandali e (si dice)
dimissioni. Né — a ripensarci — diversamente poteva essere,
considerato il clima sommesso e apparentemente asettico della scienza
degli anni cinquanta e sessanta. Possibile dare alle stampe il libro
di un premio Nobel che si rallegrava pubblicamente e per iscritto del
fatto che sua sorella «si fidanzasse» con il figlio di un collega,
dato che così lui avrebbe potuto rapidamente rifornirsi
d'informazioni scientifiche, trasmesse su «corsia preferenziale»?
Dove sarebbe andata a morire l'etica di tutta una corporazione, da
sempre ritenuta immolarsi con distacco e onestà al progresso delle
conoscenze dell'umanità?
Ma il libro usci lo
stesso, sia pure a puntate, su una rivista. E subito fu rissa. In
questa riedizione, curata dal noto biologo molecolare Gunther Stent,
assieme alla riproposizione del testo originale, c'è anche la
raccolta assolutamente non accessoria di una ventina di recensioni
dei saggi del tempo. Trent'anni dopo, c'è anche chi recensisce i
recensori. Qui viene il bello.
Anche il testo di Francis
Crick, che il compare Watson ci .cura «non aver mai visto in evna di
modestia» esce nel «Saggi Rossi» di Garzanti. Collana brillante
quindi per scelte, e accurata per formulazioni e che , a dal primi
titoli sembra collocarsi molto in alto nell'Olimpo (non poi così
tanto olimpionico) della letteratura scientifica italiana.
Nel suo L'ordine
della vita, Crick riproponi almeno per la terza volta
nella storia della scienza l'ipotesi della «Panspermia guidata»,
cioè di un'origine extraterrestre della vita terrestre: ipotesi
costruita su dati biochimici, astronavi vettrici, considerazioni
probabilistiche di Enrico Fermi.
Ma quello che c'è di
realmente originale (e di piacevolmente utile) nel libro non è tanto
l'esposizione di questa ipotesi, che lo stesso Crick si chiede se sia
«scienza autentica o soltanto una forma di fantascienza neanche
troppo fantasiosa». Sono le considerazioni, e le riflessioni magari
riproposte fra le righe o nascoste dall'ironia di chi, sulla vita di
laboratorio, la sa evidentemente molto lunga, e che fanno di questo
libro un manualetto ottimo di filosofia naturale del nostri tempi.
Il lettore scoprirà così
che la sua vita è meno spessa di una virgola del libro che sta
leggendo, se in esso una parola vale 1500 anni. E oltre che per la
brevità dell'umana esistenza, resterà stupito (mai abbastanza) del
nostro relativismo sensoriale, che tanto goffi ci rende
nell'intendimento del fenomeni naturali. Anche se «il mondo vicino a
noi è denso di oggetti», «la nostra stima intuitiva della loro
distanza dipende soprattutto dalla loro grandezza apparente e dalle
loro interrelazioni visuali». Per questo «è molto più difficile
stimare la distanza di un oggetto non familiare che vaga nella
solitudine di un cielo blu e sereno». Senza leggi di prospettiva
fisico-fisiologiche e allo stesso tempo rappresentazioni «mentali»,
mal potremmo capire che la luna è più grande di una mongolfiera.
Ci possiamo addentrare
con la mente a misurare la dismisura, in un viaggio siderale verso
l'infinitamente piccolo. Lasciamo i nostri occhi, che sanno scorgere
una pulce (un millimetro), e il microscopio ottico, che arriva a
farci vedere i microbi (un millesimo di millimetro); vediamo «in
nanometri» (milionesimi di millimetro) con il microscopio
elettronico, gli spazi tra atomi nei composti organici. Viaggiamo in
un'atmosfera vagamente kubricklana, tra i mille milioni di molecole
che contiene una goccia d'acqua. Ci proviamo a muovere i psicosecondi
(milionesimi di milionesimo di secondo). Ma come gestire questi tempi
e questi spazi, «superare questa difficoltà, cosi connaturata alla
condizione umana»? «Dobbiamo calcolare e ricalcolare, anche se solo
in modo approssimativo, per controllare e ricontrollare le
impressioni iniziali; finché lentamente, col tempo, con applicazione
costante, il mondo reale, il mondo dell'immensamente piccolo
dell'immensamente grande non diviene familiare».
“la talpa libri – il
manifesto”, ritaglio senza data, ma 1983
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