Quando arrivò l'Aids tra
la gente di chiesa si affermò la tesi che, se non la sua origine,
almeno la sua diffusione era conseguenza della libertà sessuale e
dei suoi eccessi. A dare voce ufficiale al bigottismo fu nel 1986 un
principe della Chiesa cattolica, il cardinale Siri, in una intervista
a “Il Sabato”, settimanale che all'epoca fiancheggiava “Comunione
e Liberazione”, il movimento che più esaltava la verginità
prematrimoniale e la fedeltà sessuale tra coniugi.
Siri trovò su “la
Repubblica” una risposta pungente, ove Beniamino Placido
splendidamente condiva laica indignazione con laica ironia. Una
paginetta che qui riporto e raccomando alla lettura. (S.L.L.)
Il cardinale Giuseppe Siri (Genova, 1906 - 1989) seduto. Si vedono, in piedi, due guardie del suo corpo consacrato |
Il cardinale Siri ha
ragione. L'ho sempre pensato. Qualche volta l'ho anche detto (in
privato). Non l'ho scritto perché impedito dal consueto e comune
senso del pudore. Il Cardinale Siri ha ragione quando dice l'ha detto
in una intervista che apparirà su “Il Sabato”, e che i giornali
hanno ampiamente anticipato che l'Aids è venuto perché ce lo siamo
meritato. E' venuto per punirci dei nostri peccati: per castigare il
nostro permissivismo morale (soprattutto sessuale).
L'Arcivescovo di Genova
ha ragione. E tutti i laici in buona fede dovrebbero dargliene atto.
Ha ragione, però, per ragioni diverse anzi, opposte a quelle che ha
addotto. Ci siamo meritati ampiamente l'Aids, non perché abbiamo
troppo profittato del periodo di permissivismo sessuale che è ormai
(e purtroppo) alle nostre spalle. Perché ne abbiamo approfittato
troppo poco.
Consideriamo i fatti.
L'umanità non ha mai avuto un buon rapporto con la sessualità.
Quando ha voluto immaginarsela serena e solare, ha dovuto collocarla
in una mitica età dell'oro: ovviamente immaginaria; ovviamente
inesistente. Nel Medioevo per non andare tanto lontano fu proprio la
Chiesa ad applicare all'Eros la sua minacciosa sessuofobia: che forse
è sostanza del Cristianesimo. Forse ne è solo un accidente
inspiegabile, un incidente di percorso. Poi venne, piano piano, il
Rinascimento: propiziato da galantuomini come Boccaccio, Chaucer,
Lorenzo de' Medici (“Quant'è bella giovinezza...”). Ma si era
appena aperto uno spiraglio primaverile quando zac arrivò la
sifilide. Ne cantò (e lamentò) l' avvento Girolamo Fracastoro, in
un poemetto in esametri latini, Syphilis, sive de morbo gallico,
che fa bella mostra di sé adesso, nella Mostra veneziana dedicata ad
Arcimboldo. E' del 1530. Quindi possiamo fare un po' di conti. Dal
1530 alla seconda Guerra Mondiale corrono circa quattrocento anni.
Per quattro secoli uomini e donne hanno trepidato, prima di
accoppiarsi: per paura della sifilide, per paura di maternità non
volute. Poi, improvvisamente, miracolosamente, quarant'anni di pace.
Gli antibiotici
spazzarono via le malattie veneree. La pillola mise a disposizione
della donna uno strumento per controllare la maternità. Uomini e
donne potevano incontrarsi liberamente, serenamente. Per svolgere le
loro reciproche curiosità sentimentali. E sessuali, naturalmente.
Incontrarsi e dirsi addio, come in un romanzo di Kormendi;
incontrarsi e dirsi arrivederci, come in una canzone di Rascel.
Incontrarsi, comunque. Senza dover chiedere il permesso prima,
durante o dopo all'Ufficiale di Stato Civile. Senza doversi
scambiare, prima, il certificato liberatorio della Usl competente per
territorio. Come accadrà, invece, d'ora in poi.
L'hanno fatto? L'abbiamo
fatto? Non abbastanza. Ci siamo fatti irretire da vecchie paure.
Abbiamo consentito che tornassero vecchi fantasmi. Qualche volta
abbiamo persino biascicato che quella sessualità solo perché
liberata era anche alienata. L'umana capacità di dire sciocchezze
laiche o ecclesiastiche è inesauribile. Allora Colui che ci aveva
dato quei quarant'anni per fare il nostro Esodo, per uscire dalla
cattività d' Egitto, s'è scocciato. Ed ha detto: è così? Non vi
piace la libertà? V'è venuta a noia la sessualità? E allora vi
riporto sotto l' imperio di qualche Faraone sessuofobico. Non
d'Egitto, magari. Ma di Genova. Lei ha ragione, Cardinale Siri. Cioè
ha torto marcio.
“la Repubblica”, 26
marzo 1987
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