Di Voltaire si
ripresentano tre "racconti filosofici": nella "biblioteca
del viaggiatore" dell'editore Passigli, Zadig, insieme a
Micromegas (pagg. 92, lire 6.000), nella versione di Renzo
Frattarolo; e l'immancabile Candide tradotto da Maria Moneti
(Il melangolo, pagg. 159, lire 20.000), con due saggi di Jean
Starobinski, "Voltaire e l'infelicità umana" e
"L'itinerario di Candido", uniti dal titolo Voltaire o
della rivolta. Zadig è del 1747, Micromegas del
'52, Candide del '59. Voltaire li aveva pubblicati fra i
cinquantatre e i sessantacinque anni. Anticipati da qualche episodio
delle Lettres persanes e della Histoire vèritable di
Montesquieu, questi racconti-pamphlets di Voltaire rappresentano la
forma più adatta e congeniale per divulgare brillantemente idee
filosofiche e spunti polemici.
Il protagonista di Zadig
è un giovane di Babilonia, ricco, generoso, saggio, tollerante,
dotto, convinto che "l'amor proprio è un pallone gonfio di
vento, da cui, a pungerlo, escon tempeste". Ma con tutte queste
ottime qualità, Zadig è perseguitato continuamente dal destino, in
una altalena di fortune e sventure. Nel primo capitolo Zadig ama,
riamato, la bella Semira e la salva da valoroso in un tentativo di
rapimento; ma una volta guarito da una ferita all'occhio sinistro,
viene a sapere che la ragazza si è sposata col mancato rapitore
pensando che Zadig rimanesse guercio. E' il tema dell'incostanza
delle donne che avrà altre conferme, ma sarà alla fine contraddetto
dalla fedeltà a Zadig della regina Astarte. Costretto a fuggire da
Babilonia, finito schiavo in Egitto, dopo aver rischiato di arrostire
a fuoco lento, Zadig riesce sempre a salvarsi grazie alla sua
intelligenza e al suo coraggio, concludendo tutta una serie di
peripezie col ritorno a Babilonia come re e sposo di Astarte.
Il viaggio è la grande
scuola dei personaggi di Voltaire: così Micromegas si sposta dalla
stella Sirio a Saturno e, insieme al segretario dell'Accademia di
Saturno, esplora il globo terrestre. Si tratta sempre di viaggi
filosofici nei quali Zadig concilia i seguaci di religioni diverse
nel nome dell'Essere superiore e il gigantesco Micromegas conversa
con gli uomini infinitamente piccoli sull'anima e la materia.
Con Candide la
narrazione assume un ritmo indiavolato, quel ritmo da "gran
cinematografo mondiale", da "giro del mondo in ottanta
pagine" che incantava Italo Calvino. Dalle stampe galanti di
Pangloss alle prese con la cameriera nel boschetto e di Candide con
Cunegonda dietro il paravento - avventure finite nella sifilide di
Pangloss e nei calci nel sedere a Candide cacciato dal castello,
nell'inevitabile scambio di miele e assenzio - si passa ai viaggi a
precipizio su tutta la faccia della terra finché i protagonisti del
romanzo si ritrovano a vivere nella fattoria e nel giardino del
"migliore dei mondi possibili".
A queste pubblicazioni si
aggiunge l'Odalisca nella collana del "Cigno nero"
di Lucarini (pagg. 63, lire 8.000), con una postfazione di Franco
Cuomo. "Opera tradotta dal turco", stampata anonima nel
1779, fu attribuita a un Voltaire ottantaduenne nell'edizione del
'96, anche se il dubbio è lecito. Non è un racconto filosofico, ma
poco più di un manualetto di pratiche erotiche. Un lettore più
esperto di me potrebbe scoprire cosa ha realmente combinato l'eunuco
negro Zulphicara con la dolcissima Zeni, date le sottili
contraddizioni della storia sullo sfondo del solito Oriente
immaginario prediletto dagli scrittori francesi del Settecento.
Diceva Vittorio Alfieri
che di Voltaire lo "allettavano singolarmente le prose", ma
non i versi: che, anzi, lo "tediavano"; lo sistemò
comunque fra i ventitre più grandi poeti antichi e moderni del suo
scherzoso Ordine di Omero. A sua volta, Leopardi considerava
Voltaire più filosofo che poeta; e Manzoni si ricordò di lui
riflettendo su qualche aspetto della questione della lingua,
infastidendosi anche per le sue "così inconsiderate sentenze"
sulle "cose di Shakespeare". In apparenza non è facile
reperire tracce precise e frequenti di Voltaire nella cultura
italiana fra Sette e Ottocento; ma certi modi eleganti di diffondere
grani di filosofia attraverso la letteratura nell'Italia fra i due
secoli, "l' un contro l' altro armato", riportano ad una
origine illuministica, e quindi anche a Voltaire.
Se l'autore di Candide,
come ha rilevato Giovanni Macchia, realizzò "il grande sogno"
di una cultura "portatile", dando vita, "intorno al
blocco di alcune opere fondamentali", ad una "quantità di
operine minori, di pamphlets, di articoli", di "mèlanges",
"dialoghi, diatribes, pensieri, note, osservazioni", anche
nella cultura italiana dalla fine del Settecento si è verificato
nell'influenza illuministica qualcosa di simile. Non si
spiegherebbero altrimenti la Notizia intorno a Didimo Chierico
del Foscolo e i Detti memorabili di Filippo Ottonieri del
Leopardi. Del resto, nelle leopardiane Operette morali si
trovano precisi riferimenti a Voltaire: come provano, fra l'altro, La
scommessa di Prometeo e il Dialogo della natura e di un
islandese. Per restare al primo Ottocento italiano, nella Roma
dei sonetti del Belli, secondo Gadda, "riverberi di luce
voltairiana, dopo la rapina profanatrice, sembrano mordere, come
granchi lasciati dietro dal riflusso, l'alluce petroso dei Santi
consunti".
Non mancano segni di una
certa reviviscenza di Voltaire in questi anni; e, se "la nostra
è un' epoca di enciclopedie e di tascabili", come osserva
Macchia, "in questo campo Voltaire ha molto da insegnarci".
Un suo riflesso è negli svelti romanzi fantastici di Calvino
giovane; e il più noto dei personaggi allegorici di Voltaire
riappare nel Candido di Sciascia, confermando il detto di
Montesquieu che un' opera originale "ne fa quasi sempre nascere
cinque o seicento altre, queste servendosi della prima come i
geometri si servono delle loro formule".
“la Repubblica”, 20
febbraio 1986
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