Il nostro debito, la
nostra gratitudine nei confronti di Cortázar sono tali, che gli
dobbiamo almeno questo: legare il suo nome indissolubilmente alla
letteratura fantastica. Perciò avanzo una modesta proposta: che in
omaggio a lui e alla sua verde creaturina immaginaria, il cronopio
venga adottato universalmente come unità di misura del fantastico.
Si dovrebbe insomma calcolare in cronopi la caratura di
qualsiasi opera letteraria, plastica, pittorica o anche e perché no
musicale, che attinga all'ambito fantastico.
Faccio degli esempi:
quanti cronopi in Poe? Quanto è cronopio Hoffmann? Quanti
nano-cronopi in Stephen King? E Borges? Dovrebbe essere obbligatorio,
sulla fascetta dei libri fantastici, indicarne il valore fantastico
in cronopi. «Leggete Kafka: ben 12.000 gigacronopi disponibili!!!»
Plusvalore
fantastico
Non ho dubbi che tale
valore esista e che possa esprimersi «oggettivamente». Come il
cesio, tristemente radioattivo, l’elemento fantastico, in
letteratura, emana cronopi. Felicemente. Altrimenti detta, la
cronopiezza si potrebbe definire la forza ’propulsiva' del
fantastico. Qualcosa che sprigiona un’energia commensurabile, come
i cavalli fiscali. E che straripa dalla riga alla vita. «E’
meraviglioso, - ha detto Julio Cortazar parlando del fantastico - è
meraviglioso vedere le estrapolazioni inconsce o subconsce che si
operano nello spirito del lettore. Il che vuol dire fino a che punto
questo genere di letteratura è fecondo, contrariamente a quanto
pensano i materialisti che ti dicono che bisogna scrivere sulla
realtà di tutti i giorni e sul destino dei popoli. Questa
letteratura è molto più feconda perché fa nascere in ciascun
individuo una serie di risonanze. In una parola, e lo dico senza
alcuna vanità, arricchisce il suo lettore.»
Le applicazioni di questo
plusvalore fantastico possono essere infinite. Douglas Adams in un
romanzo di fantascienza assai cronopio (e non è detto assolutamente
che la fantascienza sia cronopia, cioè fantastica, per definizione),
titolato Ristorante al termine dell’universo, ha immaginato
che le astronavi del futuro si muovano tramite Equazioni di
Improbabilità: cioè che l’energia motrice di quegli enormi
bus intergalattici scaturisca non dagli atomi della materia
soggiogata, ma dalla fantasia dei navigatori. Anche un altro
grandissimo cronopio, Karl Marx, ha congetturato qualcosa di simile,
nella sua teoria della forza lavoro e in quella del «feticcio della
merce». C’è anzi un punto cronopissimo del Capitale in cui
si dice che un tavolo, considerato come merce, «di fronte a tutte le
altre merci si mette a testa in giù e sgomitola grilli molto più
mirabili che se cominciasse spontaneamente a ballare». Pochi
ricordavano questo passo, anche prima del muro. Il fantastico rivela
l’altro lato delle cose. E Cortázar ha sempre testimoniato e
combattuto per questa definizione del fantastico: una potenza
critico-dialettica, un’energia propulsiva tutta proiettata sul
futuro, vero riscatto dal tragico destino delle cose: che è il loro
esser così e non altrimenti. Parole nuove e fantasia al servizio
della rivoluzione totale, per sovvertire linguaggio e realtà della
civiltà occidentale. Com’è nata questa utopia cronopia? Cortázar
non si è vergognato di raccontare, in più di una circostanza, come
ebbe la prima intuizione dell’esistenza dei cronopi.
Genesi di una idea
Riassumo la versione che
ne ha dato a Omar Prego in un libro (Julio Cortázar, Entretiens
avec O.P., Gallimard, 1986) illuminante in più di una direzione.
Lo scrittore, da poco esule a Parigi, va una sera al Teatro degli
Champs Elisées. «Durante l’intervallo tutti sono usciti per
fumare, e (...) mi sono ritrovato all’improvviso in un teatro
vuoto. Io ero seduto e improvvisamente ho veduto - come la visione
che puoi avere quando chiudi gli occhi o quando evochi qualcosa e la
vedi nel tuo ricordo - ho visto allora fluttuare nella sala degli
oggetti di color verde, una specie di palloncini verdi che facevano
evoluzioni intorno a me. Nello stesso momento m’è venuta l’idea
che erano dei cronopi. La parola e la visione mi sono venuti
simultaneamente».
Più tardi, nello stesso
teatro, Louis Armstrong si esibì in un concerto jazzistico. Cortázar
lo salutò con trasporto come il più grande dei cronopi. Superata
una fase iniziale, mitologica e contraddittoria, il cronopio ha preso
forma definitiva nella saga delle Storie di Cronopios e di fama: è
un esserino verde che quando si accorge che il suo orologio va
indietro, non lo ricarica, ma s’intristisce al limite dell’inedia
e del suicidio. Mentre i fama, squalli-doni, camminano per il Corso
alle undici e venti, lui li segue, disgraziato, umido e annichilito,
alle undici e un quarto.
Sulla punta di un
dito
Il cronopio, in ogni
situazione del reale, è totalmente inadeguato: «Bagna il
cronopietto il suo biscotto con le sue lacrime naturali». Questa
inadeguatezza ci avvicina a un altro segreto del fantastico. Cortázar
l’ha detto in qualche modo, parlando di sé: fantastici si diventa
nell’infanzia, quando si sperimenta l’inaudita riccchezza delle
parole rispetto alla tediosa ripetitività del reale. «Io non ero
nato per accettare le cose come sono», ha raccontato. Questo senso
di ribellione è costitutivo dei grandi rivoluzionari come dei grandi
letterati. Perciò, la sua carriera di scrittore Cortázar l’ha
cominciata da bambino, e nel modo più fantastico possibile:
tracciando nel vuoto parole, frasi, e piccoli racconti - scrivendo
con la punta del dito sul foglio invisibile impermeabile e
inscalfibile, della realtà. Borges forse direbbe: per un dio, o per
gli innumerevoli dei, quelle parole sono ancora lì, leggibili.
Forse gli dei tollerano
che il mondo persista e l’universo sopravviva solo per quello che i
bambini hanno scritto nel vuoto, e che hanno dimenticato da adulti.
Mentre loro, gli dei, possono leggerlo ancora. Forse il mondo è
magicamente protetto da quei pochi ghirigori... Ma il Gran Cronopio
Borges non è Cortázar, Cronopio dei Cronopi... L’idea che tutto
sia concatenato, che tutto sia leggibile solo alPinterno di una
costellazione in cui realtà, sogno e fantasia si mescolano, in
Borges è pura letteratura e - infine - una burla. Per Cortázar,
invece, questa idea è ben più dolorosa, più stupefatta, più
carica di risonanze misteriose. Perciò lo sentiamo più’ vicino.
Perciò lo sentiamo ancora più fantastico e cronopio. Ci manchi,
Julio e: Buena Salenas, cronopio cronopio.
“il manifesto”, 25
febbraio 1995
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