Eleonora Duse |
L’arte e il mercato vivono spesso nell’immaginario italico in una relazione complicata, in cui il secondo addendo della somma viene messo tra parentesi, non considerato. Un utile saggio di Francesca Simoncini, studiosa dello spettacolo dell’Ottocento, propone un capitolo basilare di questa vicenda, interessante in specie da leggere oggi, tra tagli dissennati del governo e mutazioni generali del sistema di finanziamento dello spettacolo. Eleonora Duse capocomica (Le Lettere, pp. 242, € 25,00) racconta, della Divina attrice, quell’aspetto che di solito viene tenuto in disparte o ritenuto, al più, una sorta di prezzo da pagare per la propria espressione. Fino dalla giovinezza la possibilità di patrocinare autori non ovvii passa proprio invece da una non comune capacità di amministrarsi, dall’equilibrio spesso raggiunto tra azzardo e repertorio.
A questo si dové in primo luogo se fu in grado di sostenere il Giovanni Verga di Cavalleria Rusticana, da molti non ritenuto idoneo alla rappresentazione, passando poi a Maeterlinck e Gorkij, per approdare trionfalmente a Gabriele D’Annunzio, a cui votò la sua voce e i suoi conti in banca, coprendo il disavanzo della Francesca Da Rimini, acme di una visione della scena come luogo di evocazione di altre epoche, meno connesse all’economia e per ciò proprio rovinose da ricreare. Il materiale epistolare presentato dall’autrice è conservato presso la Biblioteca del Burcardo di Roma
ed era stato studiato a lungo da Gerardo Guerrieri per la sua incompleta ricerca sull’attrice, a cui aveva atteso per buona parte della sua vita. In primo luogo spiccano le missive a Ettore Mazzanti, amministratore di compagnia, figura centrale dell’universo dusiano. A lui vanno i primi pareri dati sui copioni che le giungevano, per volontà dei vari agenti, come il potente Re Riccardi, che e inviava sempre testi datati, prevedibili, poco interessanti.
Leggere questi materiali è come assistere a una continua sequenza di finte, attacchi, parate: la gestione dei contratti è spesso tortuosa, si inceppa su quelle che sembrano apparenti stravaganze e che invece sono necessarie mosse per ottenere ingaggi migliori.
L’attrice protesse sempre la sua compagnia, i cui membri le votarono, quasi sempre, fedeltà, come Enif Robert – che fu poi scrittrice sotto l’egida di Marinetti – raccontò benissimo ripercorrendo gli ultimi anni di frenetiche tournées in una sua memoria. I piani si infrangono spesso contro i repentini cambiamenti di salute, gli improvvisi abbattimenti, che alimentavano il magistero artistico di Foscarina, come D’Annunzio volle vederla ne Il fuoco. Una sacra cortigiana, intenta a celebrare riti magnifici e sfinenti, il cui ingrediente principale era quella che l’attrice indicava come «la vergogna» di andare in palcoscenico, ovvero il rischio di inventare sempre, anche a confronto con i testi meno stimolanti e con le occasioni più prevedibili.
alias 4 giugno 2011
Nessun commento:
Posta un commento