8.2.12

Il mito di Sandokan. Fonti e forme (di Sergio Campailla)

Sabato 4 dicembre 2010, il “Tuttolibri” de “La Stampa”, nell’imminenza del centenario salariano, pubblicava uno stralcio che qui riprendo dall’acuta introduzione di Sergio Campailla alla riedizione, Newton Compton, di Tutte le avventure di Sandokan. (S.L.L.)
Il cosmo salgariano è perennemente attraversato da brividi, popolato da animali che sono creature sacrali, energie di una creatività primordiale: le tigri del Bengala, gli elefanti con la loro poderosa massa d’urto lanciati in corsa nella foresta vergine, il pitone da cui Tremal-Naik si salva stando aderente a terra con rigidità cadaverica per non farsi avvolgere dalle mortali spire, il cobra-capello, il bis cobra, i bufali, i rinoceronti, gli sciacalli, i bozza gri, i gaviali, gli axis, i kirrik...
Salgari svolge il suo gioco illusionistico esibendo a piene mani apparizioni di un bestiario meraviglioso o da incubo. Per quanto riguarda poi la flora, la giungla è un labirinto inesauribile di manifestazioni incantate: ecco le colossali arenghe saccarifere, i cavoli palmisti, i pombo che producono arance grosse come la testa d’un bambino, i mangostani, gli upas che sotto la corteccia occultano il veleno che non perdona, e ancora i pipal, i palas, i palmizi tara...
Questa mitologia ha le sue formule magiche e, naturalmente, ha i suoi eroi, le colonne portanti dell’edificio, che sono Sandokan e Yanez. Questa coppia è genetica, esprime le tendenze fondamentali della fantasia salgariana, i due protagonisti stanno insieme non solo come amici ma in un rapporto di differenza e complementarietà necessarie, come Don Chisciotte e Sancho Panza, come il Gatto e la Volpe, come - perché no? - il forzuto Bud Spencer e lo scanzonato Terence Hill.
Sandokan, che compare come un dio in cima alla rupe di Mompracem nel balenio della tempesta, è un uomo dotato di superpoteri, un superuomo, che però conserva un legame con l’animalità elementare: è la Tigre della Malesia, è una tigre assetata di sangue, che vede sangue, che sparge sangue; ne Le Tigri di Mompracem combatte corpo a corpo con la tigre vera e ne dedica la pelle all’amata per cavalleresco omaggio. È febbrile e spesso farneticante, proclama la sua invulnerabilità, ad ogni istante inneggia a se stesso come a un’ineluttabile forza della natura. Può soccombere, ma non morire: a lui sono legati eventi eccezionali, come la resurrezione e il risveglio in mare dopo aver inghiottito un liquido che dà la morte apparente; e la lotta col pesce martello, durante una nuotata notturna con l’angoscia degli squali alle calcagna. È un pirata terribile, che semina distruzione e raccoglie e dissipa tesori immensi, ma è anche un vendicatore, della sua famiglia e del suo popolo.
Salgari così coglie i vantaggi della trasgressione - egli sa che bisogna mettersi dall’altra parte, dalla parte proibita - e insieme della giustizia superiore: Sandokan è un vendicatore contro i Thugs malefici, contro il perfido rajah dell’Assam, ma al di sopra di tutto contro l’imperialismo inglese e olandese. Diversamente da Kipling, Salgari inalbera la bandiera anticoloniale e si schiera dalla parte dei perdenti. Alla fine de Le due tigri la vicenda personale di Sandokan si innesta e culmina nell’avvenimento storico dell’insurrezione indiana del 1857 e nel capitolo vergognoso dell’assedio di Delhi: «Povera Delhi! Quanto sangue! Qui l’esercito inglese lascerà il suo onore».
Ma il superuomo Sandokan procede per automatismi, non ha facoltà di autocontrollo, e il suo controllo si chiama Yanez de Gomera, il suo opposto, il personaggio ironico e flemmatico, che fuma l’eterna sigaretta nelle situazioni disperate, potentissimo anche lui ma scaltro come Ulisse. Yanez è un grande attore: si traveste da ufficiale di marina, da lord, da ambasciatore, suscita universale simpatia ed escogita i trucchi più rocamboleschi. Sandokan è di alta casta bornese, mentre Yanez è portoghese e in tal modo riscatta l’Europa e, una volta tanto al di sopra dei pregiudizi e conflitti di razza, tra loro sono «fratellini».
Un’altra concessione filoeuropea timidamente patriottica nel personaggio della fanciulla dai capelli d’oro, la Perla di Labuan, quella giovanissima Lady Marianna di cui Sandokan si innamora perdutamente, che è inglese sì, ma di madre italiana e lei stessa nata sotto il bel sole di Napoli. Del resto, già la bella Elena aveva scatenato la guerra di Troia; e già Romeo aveva scoperto quanto possa essere seducente Giulietta, nella faida tra Montecchi e Capuleti. Una più consistente concessione nazionalistica nel Corsaro Nero, cavaliere di Ventimiglia, e in Jolanda sua figlia.
Sulla sponda opposta stanno le figure del male: lord Guillonk e lord James Brooke, il capo dei Thugs, Suyodhana, e il figlio di Suyodhana, che servono a mettere in moto la macchina e a tenere alta la tensione narrativa ed emotiva. Tuttavia bene e male talora si stancano di farsi la guerra e celebrano degli armistizi, i personaggi hanno atti reciproci di magnanimità che ricordano i cavalieri ariosteschi, lord Guillonk si scopre parente di Sandokan e abbraccia platealmente il «nipote», il figlio di Suyodhana getta i panni di sir Moreland ma alla fine de Il Re del Mare rinuncia alla sua vendetta per amore della figlia del nemico.
Yanez è l’attore più metamorfico, ma tutti sono un po’ attori, si travestono, si inseguono e si assomigliano. Non mancano esempi di teatro nel teatro: laddove Ada è pazza per il trauma subito, e Sandokan per guarirla ricorre all’espediente di sceneggiare la sequenza degli eventi che hanno determinato quella pazzia; e l’altro episodio, di clamorosa imitazione shakespeariana, in Alla conquista di un impero, in cui Yanez, da attore trasformatosi in regista amletico, fa recitare alla compagnia di teatranti, dinanzi agli occhi del perverso Sindhia, la scena raccapricciante del tiranno che per impadronirsi del potere stermina tutti i membri della propria famiglia.

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