21.2.12

Io e i gatti (di Osvaldo Soriano)

Il giorno in cui sono nato, c'era un gatto che aspettava dall'altro lato della porta. Mio padre fumava in cortile, a Mar del Piata. Mia madre dice che è stato un parto difficile, alle quattro e venti del pomeriggio d'un giorno d'estate. Il sole spaccava la terra. I giovani Borges e Bioy Casares se ne stavano da quelle parti, a Los Troncos, impegnati a creare le storie allucinate di don Isidro Parodi. A Borges i gatti gli andavano dietro. In una delle sue foto più belle, sta insieme a Maria Kodama, che ne tiene uno tra le braccia; Borges lo accarezza come un amico.
A me, un gatto ha portato la soluzione per Triste, solitario y final. Era nero, con lo sguardo deciso, molto simile a Taki, la gatta di Chandler. Un altro, el Negro Veni, mi ha tenuto compagnia nell'esilio ed è morto a Buenos Aires. Ce n'è stato uno, di nome Peteco, che mi ha tratto d'impaccio molte volte nei giorni in cui stavo scrivendo La resa del leone. Vivevo insieme a una ragazza allergica ai gatti, e poco dopo ci siamo separati. A Parigi, mentre lavoravo a L'occhio della patria, in un quinto piano inaccessibile, mi è apparso un gatto equilibrista che camminava lungo i tubi delle grondaie. Per sentirmi più sicuro di me, ho messo un gatto nero all'inizio e uno rosso alla fine di Un'ombra ben presto sarai. Per dirla in parole povere: ci sono gatti in tutti i miei romanzi. Sono uno di loro, pigro e distaccato. Anche se non ho mai imparato le finezze della specie. In questo stesso momento, una delle mie gatte si sta lavando le zampe distesa sulla tastiera, e devo scostarla con delicatezza per poter continuare a scrivere.

da Educazione sentimentale in Ribelli, sognatori e fuggitivi, Einaudi, 2003

1 commento:

Marina ha detto...

Bello!SEi degno di essere Accademico dei gatti magici!

Marina Alberghini

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