Sulla rivista “La Scrittura” Anno I, N.2, della Primavera 1996, a cura del Centro Studi landofiani, sotto il comune titolo Due formule vennero pubblicati due “brani dispersi” di Tommaso Landolfi, di cui qui propongo il secondo con il suo titolo originale (il primo s’intitolava Formula delle pazienze). I due testi risalgono agli anni Trenta ed è datata 12 giugno 1937 una lettera a Giacomo De Benedetti perché li pubblicasse su “Il Meridiano di Roma”, in cui li chiama “moralità”. Andrea Cortellessa che nella rivista li commenta invita ad interpretare il finale sulla “disorganizzazione dell’anima” non solo e non tanto in chiave giocosa. (S.L.L.)
CHIASMA DELLA TIMIDEZZA.
La cupa ed oscura tragedia della timidezza sta nel fatto che il timido e perennemente sproporzionato alle sue contingenze.
Di necessità quest'infelice parla correntemente il francese solo con se stesso in camera sua, ovvero con persona la cui ignoranza in quella lingua sia ben provata (meglio nel secondo caso per motivi laterali); gradatamente lo parla sempre meno bene per quanto meglio lo conosce il suo interlocutore (seguendo dunque secondo inversa ragione la curva delle attitudini di lui); non lo parla affatto o lo parla ignobilmente con un nativo di Francia.
Analogamente, nei confronti d'un qualunque essere umano (e magari animale se non vegetale) il timido si ritrova in condizioni tanto peggiori, quanto maggiore è il suo desiderio di procacciarsi la simpatia e la considerazione dell'essere medesimo; ciò non soltanto perché il timido è implicitamente un orgoglioso, ma anche perché costantemente aspira all'altrui considerazione come alla cosa che con più grande fatica gli riesce d'ottenere.
Si vedano ad esempio i suoi rapporti con le donne. Su quella per cui la pressione x sarebbe più che sufficiente egli esercita una pressione x + n, e, per converso, su quella che richiederebbe almeno una pressione y non esercita che una pressione y - n. 1 due casi estremi o limite sono rappresentati dalla seguente formulazione generale:
necessità di pressione 0 - pressione esercitata ∞
necessità di pressione ∞ - pressione esercitata 0.
Eppure basterebbe una semplice inversione perché tutto si rimettesse per il suo verso! Non è, infatti, che manchino le cariche d'energia necessarie a una risoluzione soddisfacente, ed è appunto questa coscienza che rende così tormentoso il dramma del timido. Ecco (sempre in termini estremi) l'immagi¬ne grafica o formula tendenziale dell'asseta men¬to, ottenuta dunque senza provocazione di nuovi elementi:
n. di pr. 0 pr. es. ∞
X
n. di pr. ∞ pr. es. 0
e il timido avrebbe ambedue le donne fra le braccia.
Tralascio una casistica che mi porterebbe troppo lontano. Basti qui soggiungere che queste tipiche inversioni di potenziale possono, a complicare ancora le cose, divenire da determinate determinanti.
Se, ora, si cerca di rendersi ragione del suesposto, soccorrerà in qualche modo un'immagine abusatissima: il timido è una lepre. Il terreno naturale della lepre è in salita, epperò essa in discesa avanza con molta lentezza, ma non già per difetto d'energia sibbene anzi per eccesso, giacché (il suo treno posteriore essendo assai più sviluppato che l’anteriore la violenza stessa deisuoi balzi sproporzionata alla configurazione del terreno, la porta continuamente a inciampare, a rotolare su se stessa etc. Insomma le possibilità del timido sono bruciate proprio dalla violenza del suo slancio, nel terreno a lui più sfavorevole.
Ma ciò è riconducibile a una legge psicologa universale, ed altrettanto naturale quanto le leggi fisiche. Le quali, se fossero qui pertinenti, si presenterebbero coi termini rovesciati: in una parola all’impulso più debole corrisponde il moto più forte e risentito.
Se ne conclude, in via di secondo corollario, che un impulso non potendo produrre, al di là di un certo limite, corrispondente risultato, ma anzi compromettendo, se eccedente, il risultato stesso; ogni organismo, ogni complesso organato, come anche l'armonia degli astri, è paragonabile a una macchina che segue un certo regime e non tiene più oltre una certa pressione. O perlomeno risponde ugualmente a pressioni e comunque stimoli di intensità diversa. La presenza di questi margini morti e infruttiferi è ovunque riscontrabile.
E' spesso per questo che abbiamo l’impressione di trascinarci dietro il corpo come un peso.
L'anima sarebbe dunque la Disorganizzata.
Tommaso Landolfi
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