Squadristi romani dopo la Marcia su Roma |
Dopo la Marcia su Roma, esattamente 90 anni fa, e dopo che il capo dello stato d’allora, il re Savoia, chiamò Mussolini a guidare il governo, non fu difficile a costui (come adesso a Monti), con minacce e blandizie, ottenere la fiducia da un Parlamento screditato e corrotto.
Ci fu tuttavia chi non si piegò: quasi tutti i deputati comunisti, molti socialisti, un gruppo di liberali e democratici. Contro costoro, benché il duce avesse dismesso la camicia nera per indossare il doppiopetto, non cessarono le attività squadristiche protette dalla polizia.
Una delle azioni più vili fu, nel dicembre del 1923, l’aggressione a Giovanni Amendola. Col senno di poi appare una sorta di prova generale di quella del luglio 1925, che determinò la morte, alcuni mesi più tardi, del combattivo deputato liberale.
Nel 1973 Walter Tobagi fu coautore del volume Gli anni del manganello (Fabbri editori). Il settimanale “Panorama” pubblicò alcune sue pagine in anteprima, dalle quali ho tratto questa vivida e agghiacciante ricostruzione del primo attentato ad Amendola.
Due sono le ragioni che mi spingono ad offrire il brano alla lettura dei frequentatori di questo blog. La prima è il suo autore, giornalista di grande coraggio civile, che morì qualche anno dopo, vittima della Brigate Rosse.
La seconda è legata alle celebrazioni della Marcia su Roma, che quest’anno sono state programmate a Perugia in forma di convegno, oggi e domani. A chi vorrebbe lasciar correre non fa male ricordare cosa fu l’Italia dopo quella Marcia. (S.L.L.)
Giovanni Amendola |
Roma, 26 dicembre 1923:
Giovanni Amendola esce dal portone della sua abitazione, in via di Porta Pinciana. Sono da poco passate le dieci. Splende un sole quasi primaverile: nonostante la stagione, l'aria è mite. Amendola cammina con passo pesante, ma deciso: da Porta Pinciana scende verso via Francesco Crispi, verso il centro storico. Incontra decine di persone. Incontra un giornalaio che lo saluta. Poi, all'improvviso, sente un grido alle spalle, come un'intimazione:
«Amendola! Amendola!».
Non fa in tempo a voltarsi, che si trova addosso quattro giovanotti: quattro aggressori scesi da un'automobile che s'è fermata con il motore acceso. L'autista è rimasto al volante, pronto a ripartire: assiste tranquillo al lavoro dei camerati che bastonano Amendola. Il capobanda, Albino Volpi, sfoggia la camicia nera, e spara colpi di rivoltella per intimorire i passanti.
«È un vigliacco antifascista», grida.
«Questa lezione se l'è meritata!».
Amendola è gettato a terra: stordito da un colpo alla nuca, e poi percosso violentemente sulle braccia, la faccia, le gambe.
Urla per il dolore, invoca:
«Aiuto!».
«Urla pure», gli dice, con scherno, il capobanda. «Noi abbiamo finito. Ma comportati bene, se non vuoi passare altri guai».
Gli aggressori ripartono in fretta. Alcuni passanti soccorrono Amendola, e lo portano a casa, a Porta Pinciana. Il suo corpo è pieno di ferite: il medico ordina una settimana a letto e quindici giorni di cure.
È, questo, il primo «avvertimento» per Giovanni Amendola, il leader dei liberali intransigenti, che non accettano compromessi con il regime fascista e con i sistemi violenti di Mussolini.
Alla bastonatura, il “Popolo d'Italia” aggiunge, il giorno dopo, un commento che vuole essere ancora più aspro dell'aggressione: l'opposizione al governo fascista - sostiene il giornale di Mussolini - è un atto di criminalità politica peggiore della deplorevole aggressione di cui è stato vittima Amendola. Il fascismo non è più disposto a tollerare oppositori, teorizza che l'opposizione al governo è un atto di criminalità.
I giornali indipendenti e dei partiti antifascisti esprimono sdegno e protesta. “La Stampa” pubblica un commento di « deplorazione »; l' “Avanti!” parla di « vilissima aggressione ». Ma i fascisti rispondono, sui loro quotidiani, che Amendola se l'è meritata quella bastonatura. E ne minacciano altre, se avrà l'«impudenza» di continuare nell'opposizione. L'ordine per l'aggressione, d'altra parte, è venuto da Mussolini in persona. Lo rivela Cesare Rossi, il capufficio stampa di Mussolini.
«Appena ricevuta la notizia», scrive Rossi, «telefonai a De Bono, domandandogli se sapevano chi erano quei matti che così a freddo, il .giorno dopo Natale, avevano bastonato Amendola senza che vi fosse stata da parte di costui nessuna manifestazione eclatante e recente avversa al regime. Mi rispose: "che avevano scelto delle ciule" (bestie). Allora incuriosito andai al suo ufficio rinnovando la mia meraviglia e il mio disappunto, ed egli candidamente mi rispose: "È stato il principale che l'ha voluto"».
“Panorama” - 12 aprile 1973
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