Non si è mai spenta l’eco delle proteste per lo stato pietoso in cui versano i trasporti ferroviari dei pendolari: treni malandati, vecchi, lenti, strapieni, che accumulano ritardi causando disagi e anche danni economici a chi deve raggiungere il posto di lavoro. La rabbia aumenta quando si è costretti a prendere atto che tutte le risorse vengono destinate alle linee ad alta velocità, con le frecce rosse, gialle, bianche con le carrozze semivuote, soprattutto quelle di prima classe. Si sfidano le proteste delle popolazioni locali, si inviano le forze dell’ordine in assetto di guerra per contrastare le manifestazioni contro la TAV, senza mai mettere in discussione l’impiego di denaro pubblico, senza mai rendere conto dei conflitti di interessi di chi entra in politica e ha alle spalle un’azienda, un business in qualche modo collegato con un’opera pubblica. Intanto le linee locali sono abbandonate a se stesse, non si investe per la manutenzione, si sopprimono addirittura i treni. E chi se ne frega dei poveri cristi che devono andare a lavorare.
Ma in Italia c’è qualcuno che paga per i disservizi, per gli errori, per gli sprechi? C’è qualcuno che una volta tanto è responsabile?
Talvolta si tocca con mano il burlesque, il grottesco: io utilizzo una linea di autobus a media percorrenza e una ferroviaria regionale. Poiché consulto gli orari dal sito dell’azienda, mi sono accorto che non corrispondono: l’autobus parte alle 14.02, 15.02, 16.02 e così via, mentre sul pdf on-line risulta 14.18, 15.18, 16.18. Da cittadino che cerca di partecipare al servizio pubblico con suggerimenti e reclami (come tra l’altro invita a fare l’azienda stessa) ho scritto all’indirizzo preposto indicando il link e chiedendo spiegazioni. Mi è arrivata la seguente risposta: “Gentile Cliente, il link che lei ci allega si riferisce all’orario estivo”. Stop. Niente saluti, ma pazienza. Il fatto è che non è vero. L’orario estivo corrisponde con quello invernale, e allo stesso link. Ho riscritto, e ho ricevuto una nuova risposta: “Gentile Cliente, ci scusi ma ci è partito il messaggio incompleto. Stiamo chiedendo notizie agli uffici competenti. Le risponderemo appena possibile. I migliori saluti.” Sono passati 24 giorni ma gli “uffici competenti” non hanno dato notizie. E gli orari sbagliati sono sempre on-line.
Ma l’autobus è lento, spesso si inchioda nel traffico, per cui preferisco utilizzare il treno della linea regionale, quella dei pendolari. Purtroppo da tempo immemorabile uno dei treni più utilizzati, che transita dalla mia stazione alle 8.05, spesso risulta “soppresso”. Uno si reca alla stazione con un programma di lavoro preciso, e non trova il treno. Soppresso. Senza spiegazioni, senza preavviso. “Oggi, domani e domani ancora; non solo non più sperare ma neppure attendere: soltanto sopportare” scriveva William Faulkner in Luce d’Agosto. Per cui devo aspettare quello delle 8.33, che ovviamente arriva pieno come un uovo, coi passeggeri stipati nei corridoi. Così il cittadino che crede nel senso civico, nel gioco etico dei diritti e dei doveri, scrive all’azienda, al solito indirizzo indicato per i reclami: “Viaggio per lavoro da … a … e ritorno. Spesso, troppo spesso, il treno delle 8.05 è “soppresso”. Mi chiedo come sia possibile il permanere di una simile situazione. Mi chiedo come mai non funziona niente come dovrebbe. Mi chiedo come mai nessuno paghi per i disservizi, ma sempre e solo gli utenti, i pendolari.”
Nessuna risposta. E stamattina il treno delle 8.05 era “soppresso”.
Nessuno paga, nessuno si assume uno straccio di responsabilità. Di fronte a questi continui disservizi si avverte come una forma di disprezzo verso il cittadino, l’ultimo degli ultimi, mentre è grazie alle sue tasse che tutto il sistema sta in piedi, e che i vari dirigenti percepiscono i generosi stipendi. Proprio a causa di questo atteggiamento la demagogia che cerca di smantellare il servizio pubblico per affidarlo ai privati, in nome del “merito”, della “concorrenza” che migliorerebbe i servizi, sfonda milioni di porte aperte. Le porte che, come diceva il poeta Allen Ginsberg, vengono addirittura strappate dai cardini.
Le porte scardinate dell’impotenza, della rabbia e dell’indignazione.
Da "La poesia e lo spirito" 11 ottobre 2012
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