Anna Maria Ortese |
All' uscita, nell'anno di grazia 1975, de La Storia di Elsa Morante ad alcuni (tra gli altri a me e a mia moglie Carmela, che lo leggeva con commozione sulla spiaggia) parve un grande libro o addirittura un capolavoro e tuttavia venne beneficato anche da ignobili stroncature e da giudizi stroncativi tipo "libro retrogrado" o "polpettone". L'accusa alla Morante era di arrivare fuori tempo massimo rispetto ai "modelli", il grande romanzo ottocentesco o il cinema neorealistico.
Non intendo replicare qui a giudizi siffatti e, nonostante l'immeritato oblio degli ultimi due decenni, resto sicuro che La Storia entrerà prima o poi nel canone dei classici. Mi ha molto confortato però, oggi, leggere nel sito dedicato ad Anna Maria Ortese che qualcuno continua amorevolmente ad alimentare, leggere una letterina diretta alla Morante e firmata dall'autrice de Il mare non bagna Napoli. Il testo, del 75, ha come oggetto proprio il grande romanzo appena pubblicato da Einaudi direttamente in economica, negli Struzzi. (S.L.L.)
Elsa Morante |
Roma, 16.5.75
Cara Elsa Morante,
un mese fa ho letto La Storia. Ho esitato a scriverLe, non sapendo se Lei ha di me stima umana. Penso che una lode possa valere solo in questo caso. La stima che io ho di Lei, persona umana, è molto alta. Come scrittore, solo poche Sue pagine di scura bellezza mi erano note. Alla fine ho letto La Storia, e sono andata avanti tutta la notte, e poi il giorno dopo, e poi un altro giorno. Ero sbalordita. Si aprivano dovunque i cieli della più grande tradizione italiana.
Con un dolore più vicino. Dopo il primo giorno mi è accaduto questo: non avevo più memoria di tutte le cose - anche immense - finora lette. Ancor meno mi ricordavo di me. Pensavo - seguendo la disperazione senza luce di soccorso della madre di Ida: qui siamo tutti - è detto tutto. È resa giustizia a tutti noi che fuggiamo. - Quando dico noi, dico un'umanità, semplicemente. La grazia e purezza del bambino! Ma Nino, poi, quando torna - morto nel pensiero della madre - e non vuole morire, è immenso. Qui tornava quella prima sensazione «è stata resa giustizia».
Voglio ricordare qua e là, di questo VIVENTE libro, la luce in cui si muove - colorando le strade, la gioia di Useppe. I piccoli interni familiari. La polvere povera, tutta voci. I rossi orrori che accadono all'uomo, di epoca in epoca.
Quando il libro è finito, resta il senso dell'epoca. Siamo un po' cambiati. Della letteratura non ci ricordiamo, e questo è bene. Ma sì del dolore umano. E questo dolore, che è intramontabile, diviene l'ombra che va avanti, la musica funebre della gioia che finì, ma in eterno porrà quesiti alla ragione.
Non so di strutture e di altro. So di emozioni. Queste sole dicono che in un racconto, o in una letteratura, è passata la vita. E solo la vita - a umiliazione dei critici - è forma.
Mille auguri per il domani! Stia bene!
Sua Anna Maria Ortese
[P. S.] Non ho letto prima, perché volevo essere sola col mio giudizio. Non le do il mio indirizzo, perché spero che non mi ringrazi.
Siamo già tanto umiliati da immagine false e scambi di grazie o inchini. Il mio omaggio a Lei, almeno, sia libero.
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