Il grande Giampaolo Dossena, che
è forse uno dei maggiori esperti italiani di meta-letteratura (o
para-letteratura o letteratura potenziale che dir si voglia), non ama molto le
"poesie al contrario", cioè quel gioco che consiste nel sostituire
integralmente, in un testo poetico, i termini e le espressioni dell’originale
con altri che ne siano, in qualche modo, il contrario. Ed è proprio codesto “in
qualche modo” che infastidisce il Dossena che, nel celebre e celebrato
volumetto La zia era assatanata. Primi
giochi di parole per poeti e folle solitarie, si chiede tra l’altro: “Cosa
potrebbe essere il contrario di telefono, di sciarpa?”. Il criterio che egli
raccomanda, quando si fa questo gioco, è di accompagnare l’elasticità
(inevitabile) con la semplicità (sempre difficile a farsi) ; nello stesso tempo
invita a diffidare degli eccessi. Così, nella valutazione di uno di questi
esperimenti (il contrario del Bove
carducciano), di Sebastiano Vassalli, pur salutando come “potente” l’attacco
“T’odio, empia vacca”, giudica che per il resto lo scrittore s’è preso troppe
libertà. Più benevolo Dossena appare verso il ribaltamento di Pianto antico, di Carmelo Filocamo, di
Locri, che pur prendendosi libertà anche maggiori si è imposto di rispettare il
ritmo e alcune rime. Posto qui la sua divertita e divagante trattazione
comprensiva del testo di Filocamo. (S.L.L.)
Veniamo alla lettura del Riso novello di Carmelo Filocamo ("La Stampa", 5 febbraio 1983).
L'erba onde ritraevi
il grosso tuo piedone,
il perlato risone
coi suoi chicchi rosé,
fuor di stipata selva
canora ormai ingiallì
dicembre lo intristì
di fitta nebbia e gel.
Io frutto di tua frasca
florida e verde forte,
io di solerte morte
primo multiplo odor,
sono nel cielo caldo,
sono nel ciel fulgente;
luna mi fa dolente
e m'addorme rancor.
In Giampaolo Dossena, La zia era assatanata, Edizioni Theoria, 1988
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