Vincenzo Paglia e Andrea Riccardi, i "ministri" di Sant'Egidio |
Vincenzo Paglia consegue la dignità di Arcivescovo e se ne va a Roma per presiedere il Consiglio Pontificio per la Famiglia, incarico che è stato del cardinale Antonelli e che la stampa amica equipara a un “ministero”. Il Corsera ha assimilato la promozione all’ingresso al governo di Andrea Riccardi, annoverando l’una e l’altra nomina tra i successi della Comunità di Sant’Egidio, di cui il vescovo di Terni è stato a lungo assistente spirituale e di cui resta ispiratore autorevole.
La partenza di Paglia arriva peraltro in un momento di gravi preoccupazioni per la città metalmeccanica. Sono, per l’ennesima volta, a rischio lavorazioni e occupazione, qualcuno dice l’intera fabbrica. Un locale notiziario on line ha trasferito sul dignitario vaticano la frase attribuita al Re Sole, Luigi XIV: “Apres moi le dèluge (Dopo di me il diluvio)”. In effetti Paglia ha avuto verso l’industria intorno a cui è cresciuta Terni un atteggiamento ancipite: da una parte per rompere la “monocultura” della fabbrica ha incoraggiato le ricorrenti suggestioni postindustriali sull’“uscita dall’età dell’acciaio”, dall’altra in momenti cruciali di mobilitazione operaia e in difficili trattative si è impegnato in prima persona molto al di là del ruolo pastorale, come una sorta di principe dei sindacalisti. Questa tendenza all’invasione di campo è stata, del resto, la caratteristica del decennio di Paglia a Terni: il ripetere a ogni occasione “nel rispetto dei ruoli di ciascuno” è la classica excusatio non petita che equivale a una confessione.
La contraddizione tra l’effettivo debordare del gerarca ciociaro e l’esibita accettazione di una distinta competenza tra religione e politica, tra religione ed economia è risultata evidente nella cerimonia che ha concluso il mandato ternano di Paglia e cioè la sua elevazione a “cittadino onorario” (oltre che a “vescovo emerito”). Eros Brega, il presidente del Consiglio Regionale indagato di peculato a proposito dei festeggiamenti di San Valentino, pupillo del vescovo, in quella occasione lo ha chiamato addirittura “sindaco emerito”.
In ogni caso il 21 settembre, circondato dalle autorità ternane e umbre, Paglia, nell’accettare la cittadinanza onoraria di Terni, parlava come il Berlusconi dei momenti di grazia. Il suo è stato un crescendo: “la città che ho amato e continuo ad amare”; e poi: “è l’amore che deve prevalere sulle ideologie”; e ancora: “non ho accettato di restare in sagrestia, e neppure in chiesa, e sul sagrato. Fin dall’inizio ho inteso invadere tutti i campi. Non per potere, no! Per amore, sì!”. E lì a ricordare le manifestazioni di quest’amore, dalle visite al carcere alla presenza allo stadio in occasione della promozione in serie B, dall’impegno per le sorti delle acciaierie ai convegni diocesani sul “bene comune”; il tutto infarcito di battutine, che non sono le medesime dell’ex chierichetto Berlusconi, ma che incastonano la centralità dell’io in quel leaderismo mediatico di cui - a diversi livelli e in diversi contesti - i due sono stati plastica espressione.
L’abilità di Paglia è risultata pervasiva soprattutto per il vuoto di politica, di etica, di progettazione che lo circondava: mai nessuno che obiettasse alle sue prediche e alle sue rampogne, in una cupidigia di servilismo pressoché totale. Così una superiorità etica più declamata che dimostrata ha assunto il carattere dell’egemonia e Paglia ha potuto mettere oltre che i piedi nel piatto, anche le mani in pasta.
L’esempio più tipico è la joint venture sull’istituto sulle cellule staminali ombelicali, in cui il “pastore” non ha esitato a scendere in prima persona nel campo amministrativo, ma sono altrettanto note le convenzioni con Enti pubblici sollecitate, ottenute e firmate; ed è certo che l’influenza del Vescovo sulle istituzioni a Terni e nell’intera regione, specie nel periodo che lo ha visto presidente della Conferenza Episcopale Umbra, è cresciuta: università, sanità, banche locali.
Egli dunque è stato, più che un vescovo pastore, un vescovo politico. Del resto, teorizzando la “poliarchia”, Paglia, mentre reagiva alla pretesa della politica di sinistra di essere “sintesi”, affidava alla Chiesa cattolica una sorta di primato morale e civile, tale da giustificare un ruolo di “guida” del vescovo. L’immagine del Re Sole, di un potere intorno a cui gli altri poteri ruotano, risulta pertanto azzeccata.
Che sarà di Paglia fuori da Terni e dall’Umbria? Nelle lotte di potere vaticane il vescovo di Terni ha subito alcune sconfitte, forse legate al precedente rapporto con il papa polacco, da molti considerato troppo stretto. Era stato qualche anno fa candidato al vicariato nella Diocesi di Roma, per il posto che era stato di Poletti e Ruini. Più di recente s’era parlato di lui come Arcivescovo di Milano o Patriarca di Venezia. Lui ci ha scherzato di recente: “M’è andata bene. Ho fatto il vescovo solo a Terni: resterò il vescovo di Terni, seppure emerito”. Ma la sconfitta deve ancora bruciare, così come quella per l’elezione a un ruolo di primo piano nella CEI. La nomina alla presidenza del Consiglio pontificio per la famiglia per alcuni osservatori prelude alla porpora cardinalizia. Staremo a vedere.
Che sarà dell’Umbria e di Terni senza il gerarca ciociaro? Probabilmente avremo un “paglismo senza paglia”: i tentativi di egemonia clericale sulle istituzioni laiche proseguiranno. Potrebbero invece guadagnarci (sappiamo che ce ne sono) quei cattolici della Diocesi Terni-Narni-Amelia che da tempo chiedono (sottovoce) un vescovo meno mediatico e più attento alla quotidianità delle parrocchie. La partenza di Paglia dà loro qualche speranza.
"micropolis", ottobre 2012
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