Una ricca e sintetica ricognizione, orientata da un libro recente, su diverse e controverse riletture del Corano e della tradizione mussulmana, orientate ad affermare l'uguaglianza di genere. (S.L.L.)
La scrittrice marocchina Fatima Mernissi |
All'alba del XXI secolo sono sempre più numerose le donne che, nei paesi islamici e non solo, considerano il Corano come uno dei principali strumenti per rivendicare l'uguaglianza di genere. Convinte che l'islam sia portatore di un inequivocabile messaggio di giustizia, rileggono i testi sacri attraverso l'ijtihad (lo sforzo interpretativo indipendente) da una prospettiva femminile, enfatizzando gli elementi di uguaglianza e additando come interpretazioni erronee e patriarcali quelle letture che considerano gli uomini superiori alle donne. Diverse per età, classe, professione, collocazione geografica, queste donne, che siano studiose dei testi sacri, attiviste per i diritti delle donne, o semplici credenti, sono accomunate dal proporre esegesi alternative (tafsir) del Corano. Ciò avviene sia in contesti in cui l'islam è minoritario, come i paesi occidentali - dove, in seguito a migrazioni e a conversioni, la presenza musulmana è però in crescita - sia in quelli dove è la religione maggioritaria, o addirittura ufficiale. Tra questi ultimi, l'Iran è sicuramente uno dei luoghi dove si registrano i dibattiti più interessanti e dove i discorsi del femminismo islamico hanno attecchito per prima.
Da questa prospettiva prende avvio la riflessione dell'iranologa Anna Vanzan nel volume Le donne di Allah. Viaggio nei femminismi islamici, da poco uscito per Bruno Mondadori (pp. 177, euro 20). In un percorso che va dalla Malesia alla Turchia, dall'Iran al Marocco, dall'Italia all'Egitto, Vanzan propone in modo piano e scorrevole un'analisi del crescente fenomeno di una declinazione al femminile dell'islam. Ma è in particolare sull'Iran che la studiosa si concentra, descrivendo il coraggio e la passione con la quale le cosiddette «femministe islamiche» sfidano il regime iraniano proprio su quel terreno, l'islam, su cui si fonda la legittimità del governo.
Lungo più capitoli si susseguono infatti ritratti di donne moderne, emancipate e al tempo stesso devote, pie, esperte in questioni teologiche, che contestano il ruolo assegnato loro dal governo e le interpretazioni della relazione tra i generi date dalla maggioranza dei clerici. Tra di loro, si possono ricordare almeno Nahid Tavasoli, una delle massime esperte di tafsir dell'Iran, Fazeh Hashemi Rafsanjani, fondatrice nel '98 del primo quotidiano femminile del dopo rivoluzione, «Zan» (donna), e oggi tra le principali oppositrici del regime, e Shahla Sherkat, direttrice della rivista «Zanan» (donne) che per prima ha sdoganato il termine «femminismo» in ambito islamico.
Una pluralità di movimenti
La carrellata di ritratti di femministe islamiche proposta da Vanzan risulta particolarmente interessante non soltanto per l'intrinseco valore di testimonianza che queste biografie rivestono, ma anche perché il libro arriva sulla scena italiana in un momento che sembra esser diventato finalmente fertile per il dibattito su donne, femminismo e diritti nell'islam. Le donne di Allah si colloca infatti all'interno di una fiorente stagione di pubblicazioni sulle trasformazioni del movimento delle donne nel mondo islamico. Negli ultimi due anni sono apparsi diversi volumi sull'argomento (vedi la scheda in basso) e anche giornali e riviste non specializzate o accademiche gli hanno dedicato più volte spazio e attenzione. Sono studi e articoli che mostrano una realtà in continua evoluzione e che smettono di considerare le musulmane necessariamente vittime della loro religione e bisognose di essere salvate, ma piuttosto danno loro voce in quanto protagoniste dell'affermazione dell'islam nel XXI secolo.
In questi testi le femministe islamiche (sia le autrici di nuove interpretazioni dei testi sacri sia le attiviste per i diritti delle donne) sono infatti descritte come donne che riposizionano la religione al centro della loro vita privata e pubblica, e ne fanno uno strumento di emancipazione.
Ripercorrendo itinerari, discorsi e pratiche dell'attivismo femminile in una cornice islamica, questi saggi presentano un'importante e significativa novità: offrono una prospettiva analitica che vuole da un lato abbandonare l'approccio orientalista che ha caratterizzato molti degli studi sul tema, e dall'altro rendere giustizia della pluralità di movimenti che attraversano il mondo islamico, perché, come suggerisce il sottotitolo del libro di Vanzan, siamo di fronte a una varietà di movimenti femministi che seppur attivi su scala globale, hanno caratteristiche locali, legate agli specifici contesti e problemi in cui nascono e operano.
Le condizioni delle donne che vivono in Marocco sono ben diverse da quelle delle donne iraniane o malesi. Non esiste un solo modo di vivere e interpretare l'islam, così come non esiste «la donna musulmana» tout court, uguale in ogni tempo e in ogni luogo. I paesi musulmani sono diversi per leggi, istituzioni e storia. Lo dimostrano bene libri come Essere donna in Asia a cura di Giampaolo Calchi Novati (Carocci 2010, collana Asia Major, pp. 256, euro 25), che dedica diversi capitoli alla condizione delle donne musulmane in paesi come l'Iran e il Pakistan, l'Indonesia e l'India, o, un paio di anni fa, Musulmane rivelate di Ruba Salih (Carocci 2008) che ricostruisce la storia della donna nell'islam con uno sguardo particolarmente attento al presente e alle condizioni della diaspora islamica. Perché, è importante ricordarlo, quando le donne migrano si registrano significativi cambiamenti nelle loro vite e nelle vite delle loro figlie, ragazze di seconda se non anche terza generazione. E queste ultime guardano al femminismo islamico con particolare interesse in quanto permette loro di conciliare la pluralità di identità e appartenenze che le riguarda: essere musulmane, occidentali, credenti, praticanti, femministe. Secondo molte di loro, questo movimento non pretende che le donne operino una scelta a favore di un'identità piuttosto che di un'altra.
Non è un caso che l'ultimo - il quarto in ordine di tempo - convegno internazionale sul femminismo islamico che si è tenuto a Madrid tra il 21 e il 24 ottobre 2010 (www.islamicfeminism.org) abbia visto da un lato del tavolo attiviste e teologhe provenienti da Iran, Egitto, Stati Uniti, Gran Bretagna, Pakistan, Malesia, Marocco, e dall'altro donne musulmane e non, convertite ed emigrate, e soprattutto ragazze di seconda generazione.
Dinamiche in evoluzione
Alla conferenza di Madrid sono emerse diverse posizioni interne allo stesso femminismo islamico, che sono eredi o quanto meno hanno un debito di continuità con la storia del femminismo. Nel mondo islamico i movimenti delle donne hanno infatti una storia lunga oltre un secolo. I lavori di studiose dell'islam come Biancamaria Scarcia Amoretti e di arabiste come Isabella Camera D'Afflitto mostrano un significativo attivismo femminista sin dall'inizio del Novecento. Lungo tutto il secolo scorso donne come May Ziyada, Hoda Shaarawi, Dorya Shafiq, Latifa al Zayyat, Hoda Barakat, Ghada Samman, Nawal al Saadawi (per limitarci a qualche nome e al mondo arabo) si sono battute per l'affermazione del diritto all'uguaglianza.
A differenza delle femministe islamiche, le loro battaglie non possono però essere incluse in una prospettiva islamica, bensì in un quadro di rivendicazioni universaliste, in molti casi legate alle lotte per l'indipendenza contro il colonialismo e agli ideali socialisti e comunisti. Il loro impegno va iscritto nel solco della grande tradizione di femminismo secolare che ha caratterizzato la storia del movimento delle donne, e che oggi continua a essere significativo nel mondo islamico.
Femminismo secolare e femminismo islamico sono oggi quindi le due grandi anime che caratterizzano il movimento delle donne dal Marocco all'Indonesia. Sono anime a volte in contraddizione tra di loro, a volte in aperto conflitto, in taluni casi alla ricerca di elementi di vicinanza e continuità. Si tratta di una dinamica relazionale in evoluzione, in cui non mancano le reciproche accuse di tradimento: nei confronti delle femministe secolari di aver abdicato alla propria cultura, storia, religione a favore di un'idea di emancipazione della donna che nega che la religione possa essere uno spazio di libertà; nei confronti delle femministe islamiche di aver ceduto alle istanze degli islamisti, di essersi piegate a concorrere sul loro stesso terreno, l'islam, contribuendo alla crescente islamizzazione del discorso politico e culturale, e in più autolegittimandosi come l'unica forma autoctona di femminismo in contesti musulmani.
A ben guardare le questioni poste dall'emergere del femminismo islamico interrogano tutte e tutti noi da vicino, non solo perché ci invitano a considerare la dinamicità di un universo troppo spesso banalmente stigmatizzato come monolitico, ma anche perché ci inducono a riflettere su quanto sta accadendo alla questione di genere in Italia e alle difficoltà del movimento femminile in questo paese. L'analisi di quanto sta avvenendo altrove può forse aiutarci a ripensarci, può suggerire nuove prospettive di sguardo sull'altra/altro, ma anche su noi stesse/i. Da tempo Fatima Mernissi, scrittrice, sociologa e femminista (islamica) marocchina, ci spinge a riflettere, piuttosto che sul velo delle donne musulmane, sulla tirannia della taglia 42 che costringe le occidentali a conformarsi a un unico ideale estetico che pretende omologazione, sacrificio, snaturamento della propria identità, idolatria di un corpo che si svuota e si fa merce, oggetto di consumo, mentre la capacità di scelta e autodeterminazione da parte delle donne, e in particolare delle più giovani, si va erodendo.
Con gli occhi delle altre
Un viaggio nei femminismi dell'islam può quindi essere un'occasione per rimettere in discussione molti stereotipi sul mondo islamico e le sue donne, ma anche per guardarsi con gli occhi delle altre. Si tratta indubbiamente di una sfida importante, e non facile, per i movimenti femministi in Italia perché richiede di accettare l'idea che i percorsi che portano all'emancipazione femminile non debbano necessariamente svilupparsi adottando il modello universalista dell'ideologia femminista cosiddetta «occidentale», «secolare», ma che possano invece realizzarsi per molte donne attraverso l'accettazione e la reinterpretazione critica della propria tradizione culturale e religiosa. E proprio la questione della religione in quanto spazio di emancipazione può risultare particolarmente spinosa da condividere per una parte del pensiero femminista di questo paese.
Ma i tempi sembrano ormai pronti per il confronto e il dibattito. Le sfide poste dal femminismo islamico possono rappresentare un'importante occasione per ripensare il movimento delle donne in Italia, per includere anche le donne migranti, musulmane e non, nella ricerca di nuovi discorsi e nuove pratiche sulla strada dell'uguaglianza di genere.
"Il manifesto", 9 gennaio 2011
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