Da un vecchio ritaglio di “Repubblica”, senza data ma del dicembre 1979, riprendo un ampio stralcio di un articolo di Lucio Villari sulla poliedrica personalità del Saladino. (S.L.L.)
La statua equestre di Saladino a Damasco (Wikipedia) |
Mi è giunto, inviato da un famoso editore di Firenze, come augurio per il 1980, un volumetto di quattordici pagine intitolato Conti di antichi cavalieri; un testo medievale che avrà, più o meno, l'età del Novellino. Questi « conti » mi sono subito apparsi come un segno di pace e di serenità, e insieme un messaggio politico che non andrebbe affatto trascurato
La sorpresa dei Crociati
Il volumetto si apre infatti con un elogio (che prosegue per cinque pagine) del più potente e regale arabo del XII secolo, Saladino. L'elogio è scritto da un cristiano mentine ancora in Europa si armavano le crociate e tutti i territori arabi, dalla Siria all'Egitto, erano insanguinati da una guerra religiosa di sterminio, imposta dalla Chiesa e dai grandi feudatari europei.
Saladino fu il condottiero che per circa venti anni, dal 1175 al 1193 (anno della sua morte), guidò con sovrana intelligenza il gihàd, la guerra santa, contro gli invasori, unificando le forze mussulmane e costituendo uno stato arabo unito comprendente l'Egitto, la Siria la Palestina, la
A questo grande nemico, grande onore, dunque: « El Saladino », dice l'elogio, « fo si valoroso, largo, cortese signore, e d'anemo gentile, che ciascuno ch'al mondo era en el suo tempo dicea che, senza alcun difetto, era onne bontà in lui compiutamente ».
Tali virtù del grande capo arabo erano però manifeste agli stessi Crociati, soprattutto ai signori di Francia e di Inghilterra, perché in loro favore furono spesso esercitate. La nobiltà di Saladino, e lo spirito di tolleranza che, pur nella durezza della lotta, egli rivelava ai suoi nemici aggiungevano infatti, alla courtoisie europea e feudale, qualcosa che in essa mancava, un tocco moderno, un significato « politico » al quale i Crociati, animati da furia ideologica distruttiva, non erano preparati.
E' comprensibile dunque che questa « diversità » colpisse soprattutto i poeti e gli scrittori e che Saladino, uomo dalle idee chiare e razionali, entrasse nella leggenda. E' così che il Convivio, la Divina Commedia, il Novellino e, soprattutto, la splendida novella della Decima giornata dei Decamerone, e infine, ovviamente, l'opera dei pupi, hanno registrato e esaltato il mito di Saladino. Ma Saladino è un problema storico ancora aperto e attuale, e la sua conoscenza ci aiuta forse a capire qualcosa di più di questo infangato mondo arabo.
Ne è prova il saggio appena uscito del famoso arabista inglese Hamilton Gibb (Vita di Saladino, Salerno editrice). La ricerca di Gibb è condotta sulla base di testimonianze arabe contemporanee di Saladino, ma non affronta tutti gli aspetti della sua azione politica. Vengono tralasciati infatti i momenti principali della politica interna di Saladino, e cioè la direzione amministrativa dei territori e dei popoli arabi da lui aggregati. Tuttavia lo studio delle tecniche della guerra contro i Crociati è più che sufficiente per ri definire la sua immagine politica.
Tradimento francese
Per Saladino, la guerra santa non era fine a se stessa, ma una occasione storica per dare omogeneità politica e culturale al mondo arabo, uno strumento per la coesione di un grande popolo. Era questa la « meta finale ». Ecco quindi che 1'aspetto militare passa in secondo piano, lasciando spazio a quella visione pacifica e « gentile » dei rapporti con gli invasori che lascerà stupiti e perplessi i suoi nemici. Saladino fu in diverse occasioni sul punto di sterminare completamente i Crociati, in particolare i francesi, ma non lo fece. ma non lo fece. Li sconfisse sul campo una prima volta nel 1179, ma, nell'anno successivo, consentì volentieri a una tregua per mare e per terra purché venisse rispettata la libertà dei traffici e purché le carovane di merci che attraversavano le zone controllate dalle fortezze crociate non venissero attaccate.
Ma nel 1182 i francesi tradirono la parola. «La rottura della tregua », scrive Gibb, «fu una azione indegna» e segnò l'inizio di una campagna militare durante la quale emersero le doti «di Saladino e si precisò anche il suo obbiettivo di consolidamento, per così dire, istituzionale dei territori arabi attraversati dalla guerra. La difficoltà principale consisteva nel trovare collaboratori animati dalle sue stesse idealità. Infatti «del tutto indifferente egli stesso ai vantaggi materiali del potere, sembrava non concepire neppure la corruttrice influenza che il potere e la ricchezza esercitavano sugli altri », primi tra tutti i governatori cui egli affidava l'amministrazione dei territori liberati e annessi.
La guerra comunque non poteva che volgere a favore delle armate arabe. E Saladino entrerà in Gerusalemme il 2 ottobre 1187, mentre tutto il regno crociato era sull’orlo del collasso. Tuttavia il fatto che i Crociati mantenessero il possesso di Tiro, Tripoli e Antiochia e che Saladino puntasse, a questo punto della guerra, più sulla progressiva debilitazione della resistenza crociata che sulla pressione militare araba, è la prova della concezione soprattutto diplomatica che egli aveva del conflitto. Ha ragione perciò Gibb a scrivere che «si tratta di un completo equivoco » considerare Saladino solo come un grande e vittorioso generale.
In realtà egli vedeva molto più in là dei suoi collaboratori e degli stessi invasori europei. Le Crociate potevano anche significare un ponte verso un mondo con di quale Saladino non temeva di confrontarsi. La riscossa mussulmana non aveva perciò un carattere aggressivo e imperialistico, ma neanche semplicemente difensivo. Saladino concepì l'occasione delle Crociate come uno stimolo per capire le ragioni degli avversari, al fine di poterli meglio combattere. Durante le fasi più acute della guerra santa non cessò, infatti, di inviare dal suo campo «un torrente di lettere e di missive che poneva a confronto lo zelo dei Politeisti [cioè i Cristiani] con la strana apatia dei Credenti», cioè degli arabi che ancora non avevano compreso le ragioni ultime dello scontro tra due civiltà.
Da tale confronto «culturale» Saladino uscì vittorioso, e a ciò si deve il rispetto che ebbe per lui la cultura occidentale.
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