26.10.12

Se questo è un uomo. La contraddizione di Primo Levi (di Marco Belpoliti)

Che cos'è Se questo e' un uomo? «Uno studio pacato di alcuni aspetti dell'animo umano»", è scritto nella sua prima pagina. Nella prefazione che apre l'edizione De Silva del 1947, prima pubblicazione del libro rifiutato da Einaudi nel 1946, si spiega che il volume, scritto a caldo da un giovane dottorino torinese, all'epoca ventottenne, non è stato redatto «allo scopo di formulare nuovi capi d'accusa», quanto piuttosto per fornire ulteriori «documenti» a quello studio. L'aggettivo «pacato» è essenziale, così come la parola con cui Primo Levi apre il libro stesso, «fortuna»: «Per mia fortuna». Dunque, una delle più importanti, se non la più importante, opera testimoniale sui campi di sterminio nazisti non è solo un racconto veritiero dei fatti; è anche, e soprattutto, un documento-referto di tipo antropologico, e persino etologico, dal momento che nel suo capitolo-cuore, «I sommersi e i salvati» - lo stesso titolo dell'ultimo fondamentale testo di Levi, il suo più importante, pubblicato un anno prima della scomparsa - si parla espressamente dell'«animale uomo», e del Lager come di una «gigantesca esperienza biologica e sociale».
Il lettore che apre il volume De Silva nel 1947, o che lo apre ora, dopo 63 anni, dopo che Levi stesso l'ha integrato con numerose altre pagine nell'edizione del 1958, ora da Einaudi, ristampata sempre identica, potrebbe pensare che si tratti dell'opera di un uomo pacato, tranquillo, sereno, che ha messo a distanza la propria terribile esperienza dello sterminio - degli ebrei, dei soldati russi, delle donne ucraine, degli omosessuali, dei partigiani, dei prigionieri politici. E invece, girando pagina, c'è subito quella poesia, da cui, scorciato, viene il titolo stesso del libro: «Voi che vivete sicuri / Nelle vostre tiepide case». Gli ultimi tre versi contengono un'invettiva, meglio: una maledizione. Pronunciata con tono biblico, la poesia condanna coloro che non scolpiranno le parole dell'autore nel loro cuore, che non le ripeteranno ai propri figli. Proprio su loro cali la maledizione: «O vi si sfaccia la casa / La malattia vi impedisca / I vostri nati torcano il viso da voi».
Sono parole durissime che Levi pronuncia sulla soglia del volume e che sembrano contraddire la pacatezza di quell'inizio. In effetti, come ha notato Mario Barenghi, c'è in Levi una contraddizione fortissima, una sorta di doppia tensione che percorre Se questo un uomo, come il resto della sua intera opera testimoniale e letteraria: la pacatezza e la durezza. Sono due poli della sua stessa personalità di scrittore. Una tensione che arriva a punti molto forti, sia qui nella prima prova, sia nell'ultima, la sua più alta: I sommersi e i salvati (1986). Una contraddizione che ci permette di entrare con un doppio sguardo nel libro, che è uno dei capolavori della stessa lingua italiana, un'opera insieme etica ed etologica, un documento altissimo di un uomo che possedeva lo sguardo leggero dell'osservatore e insieme la tempra durissima del profeta biblico, pur non volendo esserlo in alcun modo. Un'opera capace di penetrare come una percolazione progressiva e inarrestabile sia nelle nostre emozioni sia nella nostra intelligenza: giudica aiutandoci a capire.

“La Stampa”, 26 gennaio 2010 

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