Anatole France |
Il primo romanzo di Anatole France, Le crime de S. Bonnard (1881), che gli valse un importante premio dell’Accademia di Francia, è considerato il capostipite del “romanzo libresco”, libro che rimanda ad altri libri i quali diventano parte integrante della narrazione. Il protagonista, Bonnard, è infatti un bibliofilo, un anziano professore che trae ogni possibile soddisfazione dalla sua biblioteca, dalla ricerca e riedizione di volumi antichi, oltre che dalla cucina della governante Thèrese e dall’amicizia ricambiata con il gatto Amilcare.
Il romanzo è in realtà la somma di due episodi distinti, collegati dalla figura del protagonista che racconta in prima persona, nella forma del diario. Nel primo, Il ciocco, la ricerca di un’antica copia istoriata della Legenda Aurea di Jacopo da Varazze tra l’altro conduce il protagonista in Sicilia.
Nell’isola mediterranea, conversando con una principessa francese anche lei pellegrina per collezionismo, che lamenta la difficoltà dei trasporti, l’inaffidabilità dei contadini, la disonestà degli sbirri e parla di “orribile paese”, Bonnard duramente replica: “Questo paese non è orribile, signora. Questa terra è una terra di gloria… La maestà dell’antica Cerere aleggia ancora su queste colline aride, e la Musa greca, che fece risuonare dei suoi divini accenti Aretusa e il Menalo, canta ancora alle mie orecchie sulla montagna spogliata e nella sorgente prosciugata. Sì, signora, quando il nostro globo disabitato, come oggi lo è la luna, rotolerà nello spazio il suo cadavere livido, il suolo che porta le rovine di Selinunte conserverà nella morte universale i segni della bellezza, e allora, allora almeno, non ci saranno più bocche frivole per bestemmiare la sua grandezza solitaria”.
Del tono e delle ultime parole, in verità, il professore si pente subito e si rimprovera di non "saper parlare alle donne", ma non dei concetti contenuti nel suo dire: della Sicilia il romanzo trasmette un’immagine incantata, sebbene un po' convenzionale.
Riprendo dalla edizione italiana (Il misfatto del professore Sylvestre Bonnard, Serra e Riva Editori, 1982) una pagina che si immagina scritta nella stessa taverna di Montallegro ove si svolge il dialogo di cui sopra (nel testo Monte Allegro come mal’aria per “malaria”), esemplificativa, con una chiusa splendida. (S.L.L.)
Montallegro (Ag) |
Monte Allegro, 30 novembre 1869
Ci riposavamo, io, le mie guide e i loro muli, sulla strada che va da Sciacca a Girgenti, in una locanda del povero villaggio di Monte Allegro, i cui abitanti consumati dalla mal'aria rabbrividiscono al sole. Ma sono dei greci ancora, e la loro gaiezza è più forte di tutto. Qualcuno di loro stava intorno alla locanda con sorridente curiosità. Una favola, se avessi saputo raccontarne una, avrebbe fatto loro dimenticare i mali della vita. Avevano l'aria intelligente, e le donne, benché scure di pelle e avvizzite, portavano con grazia un lungo mantello nero.
Vedevo davanti a me delle rovine corrose dal vento di mare e su cui neanche l'erba cresce. La spenta tristezza del deserto regna su questa terra arida, il cui seno screpolato nutre appena qualche mimosa spoglia, dei cactus e delle palme nane. A venti passi da me, lungo un borro, dei sassi imbiancavano al sole come una scia di ossa. La mia guida mi disse che era un torrente.
Ero in Sicilia da quindici giorni. Entrato in questa baia di Palermo, che si apre tra le due masse aride del Pellegrino e del Catalfano e che si approfonda lungo la Conca d'Oro, piena di mirti e di aranci, provai una tale ammirazione che decisi di visitare quest'isola, così nobile nei suoi ricordi e così bella nella linea delle sue colline. Vecchio pellegrino, imbiancato nell'Occidente barbaro, osavo avventurarmi in questa terra classica e, arrangiandomi con una guida, andavo da Palermo a Trapani, da Trapani a Selinunte, da Selinunte a Sciacca, che questa mattina ho lasciato per raggiungere Girgenti …
Tutto intento alla malinconia del presente e alla poesia del passato, l'anima ornata di belle immagini e gli occhi pieni di linee armoniose e pure, assaporavo nella locanda di Monte Allegro la spessa rugiada di un vino di fuoco, quando vidi entrare nella sala una bella donna giovane, vestita con un abito di foulard écru e un cappello di paglia sul capo. I suoi capelli erano scuri, il suo sguardo nero e brillante. Dal suo modo di camminare capii che era una parigina. Si mise a sedere. Il locandiere posò accanto a lei un bicchiere d'acqua fresca assieme ad un mazzolino di rose…
Mi avvicinai alla finestra e guardai passare i carri dipinti sul sentiero di pietra bordato di cactus e di fichi d'India.
Mentre lei beveva l'acqua fredda, io guardavo il cielo. Si assapora, in Sicilia, una voluttà inesprimibile bevendo acqua fresca e respirando il giorno.
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