L’articolo che segue, vecchio di 27 anni, tenta – sulla scorta di un libro, appena rieditato, di José Antonio Maravall – di definire il barocco: per Castronovo le sue manifestazioni artistiche e culturali sono legate strettamente all’assolutismo. Due punti mi spingono a rimetterlo in circolazione: il riferimento alla “fluidità assoluta” che mi sembra avere più di un contatto con la “vita liquida” che sembra caratterizzare il nostro tempo; la ricerca dell’estremo, dello stupefacente come forma dell’egemonia su inquiete moltitudini popolane. (S.L.L.)
Tirso de Molina |
"Non c'è un Dio che si curi di me, il resto è delirio... Nascere o morire non esiste altro", dice desolato un personaggio di Tirso de Molina, come se volesse esprimere lo stato d'animo della gente.
Nella Spagna del diciassettesimo secolo non c'è pressoché opera, fra quelle prodotte dalla cultura barocca, che non rechi traccia del senso angoscioso di instabilità e delle profonde tensioni che affliggono quest' epoca. Un' epoca torbida, segnata da una realtà inquieta e confusa, dove sembra che non ci sia più spazio per certezze univoche. Fra nobili e plebei, tra ricchi e poveri, fra vecchi cristiani e nuovi convertiti, fra credenti e non, fra forestieri e sudditi, fra giovani e anziani, molteplici sono i motivi di dissidio e di scontro. Il malcontento, la violenza, la xenofobia, l'odio fra gruppi in urto l' uno contro l' altro, fanno da sfondo a una società scossa da ripetute avversità economiche e prostrata dal peso delle guerre, in procinto di perdere l'egemonia faticosamente conquistata in passato nello scacchiere europeo e al di là dell'Atlantico. Ma non furono soltanto queste circostanze a generare uno stato endemico di disordine e di discordia, che si tradusse in una serie di fratture e di contrasti al centro e alla periferia. Il malessere e il disagio, che talvolta sfociarono in sanguinose rivolte popolari, scaturirono anche dal clima di insicurezza che attanagliava i governanti, dal declino di antiche credenze, dai timori e dall' angoscia che suscitavano le prospettive di mutamento e le alterazioni dell' esistente. Tuttavia la crisi che travagliò la Spagna del Seicento non si può comprendere pienamente senza considerare il più generale contesto europeo in cui si svolse; così come la cultura barocca, che rappresentò l' espressione più tangibile di questa realtà drammatica e polivalente, non fu un fenomeno specifico della penisola iberica. In ogni parte d' Europa si susseguirono, nel diciassettesimo secolo, recessioni e carestie, conflitti e sconvolgimenti sociali, moti sediziosi e dure repressioni; e un po' dovunque si manifestarono segni inequivocabili di precarietà, di disgregazione, di esacerbata intolleranza. Il singolare pessimismo di un filosofo come Hobbes non è che il compendio di un pensare comune all' Europa barocca, agitata da ripetute ostilità tra gli Stati, dal fanatismo religioso, da aspre contrapposizioni sociali. L' uomo è visto come un individuo in continuo conflitto con se stesso (così si legge in tanti monologhi di Shakespeare, di Racine, di Caldern) e con gli altri uomini (lo affermano non soltanto moralisti e predicatori ma anche narratori e poeti), con tutto il corteo di mali che vi si accompagnano, e con i possibili vantaggi, più o meno occulti, che il dolore e la competizione con i propri simili si portano dietro. Insomma, un mondo composto di singole unità dominate dall'egoismo e dall'aggressività, chiuse come monadi isolate e incomunicabili (di qui anche quel carattere di sogno, di un'esperienza che non supera l'ambito del proprio io, così di frequente attribuito all' esistenza individuale dal teatro e dalla letteratura barocca). Proprio da questa concezione dell' uomo in perenne lotta contro di sé e gli altri, trae origine sia l'interesse così diffuso nel Seicento per lo studio del microcosmo individuale in tutte le sue manifestazioni e nelle pieghe della sua interiorità (un interesse che dalla teologia alla morale, dalla psicologia alla politica, informa tutto il pensiero del barocco e la sua presenza nell' arte), sia il genere di conclusioni che la cultura del diciassettesimo secolo è portata a trarre dall' analisi dell' esperienza quotidiana. L'incostanza, la mutevolezza, la volubilità, l'effimero appaiono altrettanti fattori universali e insuperabili sia dell' esistenza umana che della natura; il mondo non può essere perciò che complesso, contraddittorio, pieno di insidie: tutte le cose sono mobili e passeggere, tutto fugge e cambia, tutto si muove, sale, scende o si sposta, l'uomo stesso è "una successione di stati", una "fluidità continua", è questa la materia prediletta dagli scrittori dell' epoca ma anche un motivo frequente nell' opinione comune, non a caso assillata dall' ossessione del tempo e dal desiderio di misurarlo e di sottometterlo. Una cultura barocca, dunque, che nell'intreccio tra caducità e rinnovamento, riflette le lacerazioni, le ansie, le aspettative di un' intera epoca, senza limiti territoriali. Anche se nel quadro dell' Occidente europeo fu la Spagna a vivere e a rispecchiare più intensamente questo dilemma. Nella società spagnola, infatti, le forze che tendevano al cambiamento erano esigue e non riuscirono ad avere il sopravvento su quelle arroccate a difesa della conservazione e dell' immobilismo: ciò diede luogo a una società frantumata, contorta, gesticolante. Si deve soprattutto a Josè Antonio Maravall, l' erede più autorevole di Ortega y Gasset, quest' importante correzione di rotta nell' interpretazione complessiva dell' età barocca. Dipinto un tempo convenzionalmente quasi come un insieme di aberrazioni pseudoartistiche e di stravaganze letterarie, prodotte dal cattivo gusto del manierismo, o propagate sotto il manto della spiritualità misticheggiante dal cattolicesimo controriformista nei paesi soggetti a Roma, il barocco risulta invece - dall' attenta e lucida lettura che ne ha fatto lo storico spagnolo lungo una trama in cui trovano posto tanto gli elementi di ordine strutturale e i problemi etico-politici quanto i modelli della comune sensibilità della condotta quotidiana - una realtà viva e corposa che si sviluppa in tutti i paesi dell' Europa occidentale, anche quelli protestanti, coinvolti in una situazione di crisi e di instabilità (sebbene non così traumatica e con effetti così estesi nel tempo come avvenne in Spagna). D' altra parte, il barocco non fu soltanto il regno per eccellenza dell' esuberanza e della irrazionalità, dell' immaginazione più sfrenata; esso produsse una cultura caratterizzata anche da singolare sobrietà espressiva, dal culto pragmatico delle novità e dalla fiducia in un sapere attivo che incidesse sulle cose, nonché da uno sperimentalismo che abbinò per la prima volta l'osservazione visiva con l' introspezione psicologica. Solo che in entrambi i casi agiva la ricerca estrosa del difficile e dell' iperbole, del raro e del mirabile, il gusto insomma di "andare all'estremo". Di questa mentalità collettiva, come delle sue molteplici motivazioni, Maravall traccia un quadro esemplare, saldando insieme una consumata padronanza della produzione culturale del tempo, anche di quella più minuta, con un' approfondita conoscenza della storia sociale. L' opera che raccoglie il frutto delle sue trentennali ricerche, comparsa nel 1975 e ora tradotta in Italia (La cultura del Barocco. Analisi di una struttura storica, con una introduzione di Andrea Battistini, Il Mulino, pagg. 436, lire 36.000), è un autentico classico, che ha segnato una svolta negli studi sulla civiltà del diciassettesimo secolo. A giudizio di Maravall il barocco non è solo un capitolo della storia dell' arte o delle idee: è il prodotto di un' intera epoca solcata da forti contrasti (fra individualismo e tradizionalismo, fra ordinamenti autoritari e fermenti di libertà, fra mistica e sensualismo, fra retorica e razionalità pratica) e, come tale, è il risultato di numerosi fattori. Anche nel caso spagnolo, infatti l'elemento religioso - pur rappresentato dall'onnipotente Inquisizione e da una Controriforma dagli accenti radicali - fu soltanto un anello di questa complessa catena. Ma proprio per la confluenza di tanti elementi così differenti e per il groviglio di antinomie cui essi diedero luogo, l'età barocca finì per dispiegarsi, rimanendone avviluppata, intorno a un protagonista: l'assolutismo monarchico.
Di fronte alla crisi di stabilità e alle tendenze dispersive che minacciavano di sconvolgere le istituzioni tradizionali, la monarchia assoluta si trovava di fronte a due esigenze: rafforzare i mezzi materiali di repressione e dotarsi di efficaci strumenti di penetrazione delle coscienze e di controllo ideologico. Essa seppe usare entrambe queste leve alleandosi alla nobiltà, ma senza nulla concederle nell'esercizio del potere, e senza assecondare una restaurazione dell'aristocraticismo, dei privilegi feudali e del monopolio delle armi di cui l' aristocrazia godeva in epoca medioevale. Bastò proteggere gli interessi nobiliari attraverso un ponderato sistema di garanzie sulla proprietà della terra e di appannaggi negli uffici di corte, per rafforzare la supremazia dell' assolutismo regio, contro le minacce di destabilizzazione provenienti non solo dal basso della società, e per concentrare così ogni energia in un'opera capillare e articolata di integrazione sociale, di diffusione dei principi gerarchici e di autorità in ogni sfera della vita collettiva.
Ciò è evidente soprattutto nelle vicende della Spagna nei primi tre quarti del diciassettesimo secolo. La monarchia riuscì a trarre dal barocco certi motivi ideali e alcuni strumenti operativi che più si prestavano alla conservazione sociale e ad accordare il comportamento degli individui ai precetti della "ragion di Stato". Di qui l' importanza che assunse non solo l'educazione, ma tutte quelle manifestazioni culturali che potevano servire come mezzo di orientamento e di proselitismo nei confronti di platee sempre più vaste.
Il problema fondamentale era infatti di formare e propagare delle direttive che fossero recepite dalle masse, in un'epoca in cui le città cominciavano ad essere gremite da una moltitudine di gente e a rappresentare - per la presenza (accanto a pochi alti burocrati e rentiers) di un gran folla di diseredati e di sbandati - i focolai più pericolosi di rivolta e di dissenso. Si spiega pertanto come la cultura barocca non sia stata un'espressione d'èlite o la sublimazione di un processo di rifeudalizzazione in atto, ma invece una cultura diretta, urbana e di massa. La posta in gioco era il mantenimento di un ordine privilegiato, nel mezzo di una realtà sociale sfilacciata ed esplosiva; e in una situazione del genere la tecnica della manipolazione, per tirare o tenere dalla propria parte l'opinione pubblica, rappresentava per il potere politico una terapia più suadente o meno rischiosa di un'azione brutalmente repressiva.
Non tutta la produzione letteraria e teatrale, beninteso, si compromise sino in fondo sui tracciati dell'ordine e dell'autorità; né la pittura e le altre arti figurative furono rivolte unicamente a integrare il pubblico nel sistema di valori ufficiale. C'era del resto, nel barocco, un fondo di ambiguità fra adesione al passato e amore del nuovo. Tuttavia la cultura barocca - con le sue predilezioni per la sontuosità, per la ridondanza decorativa, per le invenzioni artificiose, per gli spettacoli e i riti collettivi - sembrava fatta apposta per celebrare i fasti della regalità. Inoltre essa, in quanto caratterizzata dalla ricerca dell'ètonnant, poteva destare eccitazioni e commozioni violente nella condizione di solitudine alienata della massa. Perciò il barocco era quanto mai congeniale ai propositi di quanti intendessero e sapessero convenientemente utilizzare le sue pregnanti simbologie e la sua forte carica espressiva, per volgerle al dominio degli animi e al loro asservimento a una causa reazionaria.
"La Repubblica" 21 agosto 1985
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