L'uomo
al balcone è a tavola con la moglie, ma non tocca cibo. «Li hai
almeno fatti arrestare tutti?» chiede donna rachele. No, non l’ha
fatto. È sicuro che Grandi e gli altri gerarchi che la notte prima
lo hanno messo in minoranza nel Gran Consiglio del fascismo si
pentiranno dell’errore. «Vado a Villa Savoia. Il Re mi vuole
vedere.» «Prima falli arrestare tutti», insiste lei, invano.
Alle
cinque della sera del 26 luglio 1943 l’Alfa del dittatore
attraversa una Roma intontita dall’afa e dallo choc per le bombe
americane dei giorni precedenti. Intanto a Villa Savoia si danno gli
ultimi ritocchi al colpo di Stato. Esercito, carabinieri e polizia
sono in mani fidate. E il successore designato Badoglio ha già
controfirmato la lettera di licenziamento del Duce. I fascisti
dissidenti si illudono ancora che Vittorio Emanuele affidi il governo
a loro. Hanno votato contro il capo per prenderne il posto, senza
rendersi conto che con lui stavano seppellendo il regime. Mussolini,
l’uomo più sospettoso del mondo, non sospetta alcunché. Il Re lo
saluta con faccia di circostanza: «Caro Duce, l’Italia va in
tocchi...La guerra è perduta e il voto del Gran Consiglio tremendo.»
«Possiamo ancora farcela.» «Gli alpini non vogliono più battersi
per voi.» «Si batteranno per voi, Maestà.» «Le mie decisioni
sono state già prese. Il nuovo capo del governo è il maresciallo
Badoglio.» «Ma io resto il capo del fascismo!»urla un Mussolini
invecchiato di colpo.
Il
Re cerca di calmarlo e lo accompagna verso l’uscita con piccole
spinte. Mussolini muove qualche passo in giardino, dove un ufficiale
dei carabinieri lo prega di seguirlo «per la sua incolumità». Lo
fanno salire su un’ambulanza lercia che parte sgommando. L’ex
dittatore si spaventa: «Qui andiamo a sbattere contro un muro!». È
convinto che alla notizia del suo arresto l’Italia fascista
insorgerà. Invece si assiste al più colossale spogliarello politico
della storia: tutti i funzionari dello Stato, persino i fascistissimi
della Milizia, buttano la camicia nera e ne indossano un’altra
immacolata, professando fedeltà al Re. I dissidenti del Gran
Consiglio scappano per paura di essere arrestati: non più da
Mussolini, adesso, ma da Badoglio. «È fatta», sussurra Vittorio
Emanuele all’orecchio della regina Elena, l’unica in questa
storia a conservare un po’ di dignità. «Far arrestare il primo
ministro in casa propria non è un gesto da sovrano.» Il marito
cerca di prenderla sotto braccio, ma la figlia del pastore
montenegrino si ritrae e corre a chiudersi in camera, non prima di
avergli urlato: «Mio padre non lo avrebbe mai fatto!»
Della
serie Storia d'Italia in 150 date,
La Stampa, 19 agosto 2010
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