Sono piuttosto ignorante
in materia, ma ho l'impressione netta che il Dio di cui si ragiona in
un libro di Armido Rizzi di 30 anni fa e nell'articolo di Filippo
Gentiloni qui postato che lo recensisce, il Dio che ama l'uomo, che
ha bisogno di lui e che lo cerca, sia molto più presente in Papa
Bergoglio che nei Pontefici precedenti. (S.L.L.)
Francisco Ribalta, Cristo abbracciato a san Bernardo |
«Non un ritocco, ma un
vero capovolgimento» della tradizionale spiritualità cattolica è
quello che propone Armido Rizzi nella sua ultima opera, Dio in
cerca dell’uomo. Rifare la spiritualità
(Edizioni Paoline, 1987). È vero: un capovolgimento di quello
che è il modo di pensare comune dominante, dall’ultima parrocchia
fino al Vaticano. Un modo di pensare non unico, fortunatamente: il
capovolgimento che Rizzi propone ha le radici nella Bibbia e non è
stato mai dimenticato.
Se pure mai dimenticato,
lungo il corso della storia cristiana, è stato quasi sempre
minoritario e oggi lo è più che mai. Due premesse, prima di
affrontare il nodo della questione. Il titolo Dio in cerca dell’uomo
è accompagnato da un sottotitolo: «Rifare la spiritualità». Ma
qui «spiritualità» è limitativo: il lavoro di Rizzi affronta non
soltanto il livello della vera e propria spiritualità («l’insieme
delle manifestazioni dell’esperienza religiosa di un certo periodo
o gruppo»), ma tutti i livelli dell’esperienza cristiana: teologia
e azione, fede e carità, tutto. E — seconda premessa — Rizzi,
che è teologo cattolico con tutte le carte in regola
dell’«accademia», fra i più universalmente stimati, affronta
questa volta i nodi principali della teologia in maniera facile,
accessibile a tutti, breve: un esempio di vera e alta diffusione —
meglio che divulgazione — che, al di là del contenuto, si impone
per la capacità di dire nel modo più semplice le cose più
difficili.
Ma veniamo ai nodi —
meglio, al nodo — del capovolgimento. «La spiritualità
tradizionale ha come asse attorno a cui tutto si organizza il
desiderio umano di Dio; noi offriamo il profilo di una spiritualità
che si sviluppa coerentemente attorno all’amore divino per l’uomo».
Una svolta enorme, la posta in gioco è tutto il modo di essere
cristiani e la chiesa nella società contemporanea.
Sappiamo bene quanta
parte dell’odierno cristianesimo, nostrano, e non soltanto, sia
basata su una certa antropologia e/o psicologia che sostiene che il
vero uomo anela a Dio, ha bisogno di qualche trascendenza, non si può
chiudere fra le sue quattro mura, ecc. Discorsi del genere stanno
alla base dei successi di Wojtyla, come — per fare un altro esempio
di estrema rilevanza — dei testi del nuovo Concordato fra Italia e
Santa Sede. Non sempre lo si dice esplicitamente, ma quasi tutti sono
convinti che l’uomo sia non soltanto «aperto» a Dio, ma che Dio
rappresenti una specie di ultima stazione del suo percorso. Togliete
all’uomo questa dimensione — si pensa e si dice, è l'uomo sarà
diminuito, sarà tagliato a metà, gli mancherà non un’aggiunta,
non un di più, ma il meglio del profondo: lo conferma la storia
della cultura e del pensiero. Le stesse angosce di tanti cosidetti
atei servono a confermarlo.
Una impostazione che
dalla psicologia e/o antropologia passa immediatamente al sociale e
politico: se le cose stanno così la Chiesa è pronta a fornire
all’uomo e alla società il massimo e più prezioso dei servigi.
Suo ruolo, quindi, non è tanto l’evangelizzazione, quanto la
«promozione» dell’uomo, perché possa veramente e felicemente
essere se stesso. Il primo, il più importante ed insostituibile dei
servizi sociali, se non volete una società non soltanto di
potenziali delinquenti, ma soprattutto di potenziali disperati. Il
mondo cattolico (si veda, ad esempio “Il Sabato”) è così che
legge i suicidi più illustri, da Michelstaedter a Pavese e, perché
no? anche a Primo Levi.
Una impostazione da
rovesciare, dimostra Rizzi, Bibbia alla mano. L’agostiniano e
famosissimo «Fecisti nos, Domine, ad te...» è platonico più
che cristiano. La Bibbia non dice il bisogno che l’uomo avrebbe di
Dio: parla di un Dio che, per primo, ama l’uomo e perciò ne va in
cerca. Il Dio biblico non si definisce come suprema passione
dell’uomo, né sua realizzazione ultima: non è correlato all’uomo.
È «altro»: la Bibbia non si preoccupa di definirlo, ma di
rivendicarne la alterità.
Molte le conseguenze del
capovolgimento, e Rizzi le espone con coerente chiarezza. Un accenno
almeno a due. La spiritualità cristiana, dunque, non si deve
preoccupare tanto di percorrere i gradini verso Dio, i famosi
«itinerari» di un cammino verticale che spesso finisce per
distaccarla dalla società e dalla storia. Si deve preoccupare,
invece, di impegnarsi con i fratelli, condividendo la sorte di quegli
«ultimi» che il vangelo chiama ad essere «primi». Un profondo
capovolgimento pratico, dunque. Al quale deve corrispondere una
operazione teorica di «deellenizzazione» del cristianesimo:
«L’ellenizzazione del cristianesimo è ben altro che una semplice
formulazione di concetti : è una stregatura dell’anima, che
resiste al di là della tenuta di questo o quel concetto».
Come uscire dalla
«stregatura» greca? E’ ancora possibile, dopo tanti secoli? E
mentre mille interessi continuano a spingere l’uomo verso il
«bisogno» di Dio? Occorre «ridefinire tutto» come suona il titolo
dell’ultimo paragrafo dei libro di Rizzi. Forse i venti secoli di
cristianesimo ellenico stanno per finire, come una parentesi. Forse
siamo agli inizi di un cristianesimo nuovo, più vero perché legato
alle culture degli oppressi. Rizzi spinge a sperarlo.
“il manifesto”,
ritaglio senza data, probabilmente 1987
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