21.3.18

Teologia. Dio ha bisogno dell'uomo (Filippo Gentiloni)

Sono piuttosto ignorante in materia, ma ho l'impressione netta che il Dio di cui si ragiona in un libro di Armido Rizzi di 30 anni fa e nell'articolo di Filippo Gentiloni qui postato che lo recensisce, il Dio che ama l'uomo, che ha bisogno di lui e che lo cerca, sia molto più presente in Papa Bergoglio che nei Pontefici precedenti. (S.L.L.)
Francisco Ribalta, Cristo abbracciato a san Bernardo
«Non un ritocco, ma un vero capovolgimento» della tradizionale spiritualità cattolica è quello che propone Armido Rizzi nella sua ultima opera, Dio in cerca dell’uomo. Rifare la spiritualità (Edizioni Paoline, 1987). È vero: un capovolgimento di quello che è il modo di pensare comune dominante, dall’ultima parrocchia fino al Vaticano. Un modo di pensare non unico, fortunatamente: il capovolgimento che Rizzi propone ha le radici nella Bibbia e non è stato mai dimenticato.
Se pure mai dimenticato, lungo il corso della storia cristiana, è stato quasi sempre minoritario e oggi lo è più che mai. Due premesse, prima di affrontare il nodo della questione. Il titolo Dio in cerca dell’uomo è accompagnato da un sottotitolo: «Rifare la spiritualità». Ma qui «spiritualità» è limitativo: il lavoro di Rizzi affronta non soltanto il livello della vera e propria spiritualità («l’insieme delle manifestazioni dell’esperienza religiosa di un certo periodo o gruppo»), ma tutti i livelli dell’esperienza cristiana: teologia e azione, fede e carità, tutto. E — seconda premessa — Rizzi, che è teologo cattolico con tutte le carte in regola dell’«accademia», fra i più universalmente stimati, affronta questa volta i nodi principali della teologia in maniera facile, accessibile a tutti, breve: un esempio di vera e alta diffusione — meglio che divulgazione — che, al di là del contenuto, si impone per la capacità di dire nel modo più semplice le cose più difficili.
Ma veniamo ai nodi — meglio, al nodo — del capovolgimento. «La spiritualità tradizionale ha come asse attorno a cui tutto si organizza il desiderio umano di Dio; noi offriamo il profilo di una spiritualità che si sviluppa coerentemente attorno all’amore divino per l’uomo». Una svolta enorme, la posta in gioco è tutto il modo di essere cristiani e la chiesa nella società contemporanea.
Sappiamo bene quanta parte dell’odierno cristianesimo, nostrano, e non soltanto, sia basata su una certa antropologia e/o psicologia che sostiene che il vero uomo anela a Dio, ha bisogno di qualche trascendenza, non si può chiudere fra le sue quattro mura, ecc. Discorsi del genere stanno alla base dei successi di Wojtyla, come — per fare un altro esempio di estrema rilevanza — dei testi del nuovo Concordato fra Italia e Santa Sede. Non sempre lo si dice esplicitamente, ma quasi tutti sono convinti che l’uomo sia non soltanto «aperto» a Dio, ma che Dio rappresenti una specie di ultima stazione del suo percorso. Togliete all’uomo questa dimensione — si pensa e si dice, è l'uomo sarà diminuito, sarà tagliato a metà, gli mancherà non un’aggiunta, non un di più, ma il meglio del profondo: lo conferma la storia della cultura e del pensiero. Le stesse angosce di tanti cosidetti atei servono a confermarlo.
Una impostazione che dalla psicologia e/o antropologia passa immediatamente al sociale e politico: se le cose stanno così la Chiesa è pronta a fornire all’uomo e alla società il massimo e più prezioso dei servigi. Suo ruolo, quindi, non è tanto l’evangelizzazione, quanto la «promozione» dell’uomo, perché possa veramente e felicemente essere se stesso. Il primo, il più importante ed insostituibile dei servizi sociali, se non volete una società non soltanto di potenziali delinquenti, ma soprattutto di potenziali disperati. Il mondo cattolico (si veda, ad esempio “Il Sabato”) è così che legge i suicidi più illustri, da Michelstaedter a Pavese e, perché no? anche a Primo Levi.
Una impostazione da rovesciare, dimostra Rizzi, Bibbia alla mano. L’agostiniano e famosissimo «Fecisti nos, Domine, ad te...» è platonico più che cristiano. La Bibbia non dice il bisogno che l’uomo avrebbe di Dio: parla di un Dio che, per primo, ama l’uomo e perciò ne va in cerca. Il Dio biblico non si definisce come suprema passione dell’uomo, né sua realizzazione ultima: non è correlato all’uomo. È «altro»: la Bibbia non si preoccupa di definirlo, ma di rivendicarne la alterità.
Molte le conseguenze del capovolgimento, e Rizzi le espone con coerente chiarezza. Un accenno almeno a due. La spiritualità cristiana, dunque, non si deve preoccupare tanto di percorrere i gradini verso Dio, i famosi «itinerari» di un cammino verticale che spesso finisce per distaccarla dalla società e dalla storia. Si deve preoccupare, invece, di impegnarsi con i fratelli, condividendo la sorte di quegli «ultimi» che il vangelo chiama ad essere «primi». Un profondo capovolgimento pratico, dunque. Al quale deve corrispondere una operazione teorica di «deellenizzazione» del cristianesimo: «L’ellenizzazione del cristianesimo è ben altro che una semplice formulazione di concetti : è una stregatura dell’anima, che resiste al di là della tenuta di questo o quel concetto».
Come uscire dalla «stregatura» greca? E’ ancora possibile, dopo tanti secoli? E mentre mille interessi continuano a spingere l’uomo verso il «bisogno» di Dio? Occorre «ridefinire tutto» come suona il titolo dell’ultimo paragrafo dei libro di Rizzi. Forse i venti secoli di cristianesimo ellenico stanno per finire, come una parentesi. Forse siamo agli inizi di un cristianesimo nuovo, più vero perché legato alle culture degli oppressi. Rizzi spinge a sperarlo.

“il manifesto”, ritaglio senza data, probabilmente 1987

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