Maometto riceve la rivelazione dall'Arcangelo Gabriele |
Per l'Islam è un momento
tragico. Si allargano, ancora una volta, antiche divisioni, vecchie
ferite. Dal Golfo Persico alla penisola arabica, dall'Afghanistan al
Pakistan, dagli Emirati alla Giordania, dal martoriato Libano alla
Turchia e all'Iran, torna ad aprirsi di nuovo quel grande solco che
divide la «umma», la comunità del erodenti. Quel solco ha due
nomi: sciiti e sunniti. I primi sono oggi rappresentati dall'Imam
Khomeini che ha trovato alleati e devoti un po' ovunque nell'Islam,
gli altri che sono la maggioranza assoluta del «donati a Dio»
(perché semplicemente questo vuol dire Islam) sono sparsi in tutti
gli altri paesi islamici, ma appaiono divisi, insicuri, deboli, Non
certo dal punto di vista teologico o religioso, ma certamente da
quella politico.
Le grandi potenze, per
difendere gli interessi petroliferi, hanno notoriamente investito
miliardi per allargare queste divisioni, pagando, corrompendo,
vendendo armi o non risolvendo problemi come quello palestinese.
Anzi, promettendo aiuti e appoggi militari e psicologici, politici e
persino religiosi, una volta ad un gruppo e la volta dopo all'altro.
Da anni, si erano avute avvisaglie che facevano pensare al peggio.
Gli sciiti, con Khomeini, per la prima volta nella loro storia di
reietti e «isolati», avevano conquistato uno stato facendone una
repubblica confessionale. Avevano subito iniziato ad interferire
ovunque, lanciando richiami alla purezza della fede, alla
intransigenza, alla intolleranza. Avevano poi, nella guerra contro
l'Iraq, invitato i «credenti» alla Gihad (la guerra santa) contro i
«piccoli e grandi satana» e scatenato le loro milizie in Libano. Il
«grande vento» che veniva da Teheran aveva, a poco a poco, lambito
un po' tutti i paesi islamici. I sunniti avevano subito risposto con
dure repressioni nei paesi da loro governati e, a loro volta, non
avevano esitato a scatenare milizie, eserciti, vendette contro gli
«Intransigenti», i «fratelli musulmani» o gli uomini dei «partito
di Dio». Tutti nomi, definizioni e autodefinizioni che, nella storia
del «credenti», avevano già contato e creato periodi oscuri e
difficili.
L'Europa ha già
dimenticato
Sciiti e sunniti, dunque.
L'Europa, percorsa per secoli dagli arabi in lungo e in largo, ha già
dimenticato. Chi sono? Perché la loro «diversità» ha sparso e
sparge tanto sangue, esattamente come nel mondo della cristianità
nei secoli bui?
La storia del profeta
Maometto e della sua predicazione é notissima. Cosi la fuga dalla
Mecca (dopo che l'arcangelo Gabriele aveva comincialo a dettargli, in
«purissima lingua araba», le «sure» dell'«inimitabile» e sacro
Corano) per Medina che diede inizio all'egira, l’era musulmana che
Inizia con il 16 luglio del 622 dopo Cristo. E comunque con la morte
del “sigillo del profeti", l'ultimo inviato agli uomini da Dio
che inizia il dramma raccontato poi dagli studiosi e da tutti gli
Islamisti di chiara fama. Maometto spira a Medina l'8 giugno del 632
e non lascia eredi. Subito, scoppiano i primi scontri per la
successione. Aggiunge il grande storico persiano Muhammad in Gerir al
Tabarl, riferendo della spedizione di Maometto a Tabuk che Alì, uno
dei suoi primi e fedeli compagni e marito di Fatima, la figlia
dell'Inviato di Dio», era stato lasciato a casa. Il profeta,
dicevano gli «Ipocriti», aveva avversione per lui. Alì era partito
e, raggiunto Maometto, aveva riferito le chiacchiere. Maometto
avrebbe allora risposto: «Mentono Alì poiché lo ti considero come
un altro me stesso e ti ho affidato la mia casa e la mia famiglia.
Sei per me ciò che Aronne era per Mosè. Se fosse possibile che ci
fosse un profeta dopo di me, sono certo che saresti tu». Quando
Maometto muore Alì si aspetta logicamente la successione, ma non è
così. Nasce, a questo punto, il califfato o meglio il «vicariato».
Ma, a capo della neonata comunità, vanno prima Abu Bakr, poi Omar e
quindi Uthman. Gli sciiti già rumoreggiano: sono i sostenitori di
Alì. «Schia», Infatti, vuol dire semplicemente «parlito», il
«partito» del sostenitori di Alì. Coloro, cioè, che vogliono il
-genero del profeta a capo dell'IsIam.
Gli sciiti, comunque, al
dividono subito anche in altri gruppi: circa settanta, spiega il
Lammens. Tra cui i ben noti Harigiti (che passavano a fil di spada
chi non si alleava con loro), gli Zayditi, gli Ismailiti, i
«settimani», i 2duodecimani” e tanti altri. I primi tre califfi
sono riconosciuti (vengono chiamali i «ben guidati») da tutta la
comunità. Ma quando finalmente, a Medina, Alì sale al califfato,
ben pochi lo accettano. Gli sciiti, tra l'altro, sono contro il
calino, elevato a sovranità – dicono - da una investitura umana.
Affermano che il capo della comunità deve essere un «Imam»,
diretto discendente del profeta. Maometto, appunto, aveva scelto Alì,
questa la loro tesi. Quando costui muore, ucciso in una moschea da un
gruppo di harigiti, si fa avanti il figlio Hasan. Gli islamisti e gli
storici non sono molto chiari su questo periodo. Si sa che intanto è
nata anche la «teoria» dell'imam nascosto, il «Mahdi» misterioro
e invisibile che, al momento stabilito da Allah, uscirà dal pozzo di
Samarra per riportare l'IsIam alla purezza primitiva e giustizia nel
mondo. Hasan ha nel frattempo ceduto i diritti, in cambio di denaro.
Tocca ad Husayn. l'altro
figlio di Alì, avanzare pretese. È lui, scrivono gli esegeti
sciiti, che si lancia bella «gloriosa» e «generosa» impresa di
Kerbala, che allora era una pianura assolala e desertica dove il
giovane viene ucciso. La sua testa finisce a Damasco sul tavolo del
califfo Yazid. In realtà, affermano gli sciiti, Husayn ha accettato
consapevolmente il martirio per il proprio popolo e per tutto
l'Islam. Si è, cioè, sacrificato volontariamente. Dalla figura di
Husayn nasce dunque, per gli sciiti, il concetto di «venerazione del
martirio» e la teoria che l’accettazione della morte per la fede
sia l’unico vero modo di vivere, la figura di Husayn, col passare
degli anni, sempre presso gli sciiti, ha assunto enorme importanza.
Come se fosse morto ieri, lo piangono tutti, maledicono i suoi
assassini e lo hanno chiamato a far parte detta cosiddetta «trinità»
sciita: Maometto, Ali, Husayn.
Ancora oggi, gli
ufficiali di Khomeini, arruolano i giovani volontari in nome del
martire e i soldati, con le lacrime agli occhi, accorrono al
richiamo. Le recenti offensive iraniane contro gli Iracheni sono
state battezzate, nell'ultimo anno, con il nome di Kerbala, appunto e
le recenti manovre in mare sono state chiamale «martirio». I luoghi
santi sciiti sono, comunque, tutti nel territorio dell'Iraq e questo
spiega molte cose. Ogni anno, nel ricordo della morte di Husayn, si
celebra in Iran una specie di settimana santa con angosciosi riti di
lutto e rappresentazioni sceniche (taziyé) durante le quali i
fedeli, piangendo e urlando, si flagellano e si colpiscono con
coltelli e chiodi.
Al posto dell'antico
califfo sunnita, considerato un usurpatore, gli sciiti hanno dunque
sempre avuto il loro imam che dovevo discendere rigorosamente dalla
famiglia del profeta: cioè da Fatima, figlia di Maometto e da Alì
suo marito. L’imam, per gli sciiti il “dottore infallibile”, il
maestro della «scienza», dell'esoterismo e illuminato dalla luce
divina. Egli è il tramite esclusivo con il cielo e quello che dice -
affermano gli studiosi - non può essere discusso poiché lui solo
detiene la «rivelazione». Morire per lui, insomma, è beatificante
e santificante e rappresenta il diretto accesso ad Allah.
La grande differenza con
i sunniti passa proprio in questo (oltre che nel famoso «matrimonio
a termine»). La «gente del sunna» non riconosce, infatti, la
sudditanza all'imam, che dagli sclili è stata ormai sovrapposta àgli
altrettanto famosi «cinque pilastri dell'Islam». Per gli sciiti,
come si sa, «l'infedele è impuro» e ne evitano il contatto: non
permettono matrimoni misti e non mangiano alla stessa tavola di un
«miscredente» per non essere contaminati. Hanno anche messo a punto
la teoria della «taqiyya» che permette, anzi ordina, di mentire per
autodifesa.
Cinque preghiere e
cinque leggi
Risolto da anni il
problema del califfato, spanto nelle pieghe della storia, la fede dei
sunniti (maggioranza assoluta nell'IsIam) appare più semplice,
limpida, «pulita». Essi si rifanno alla «sunna» e cioè agli usi
e al detti del profeta, al suo modo di stare in rapporto con Allah e
di vivere, appunto, la fede. Questi «usi» sono stati raccolti,
generazione dopo generazione, e trascritti in centinaia di libri e
rappresentano il «commento vivente e autorizzato del Corano». I
sunniti non hanno un vero e proprio clero, ma dei «dottori detta
legge» che interpretano e conoscono alla perfezione la «sunna». Le
cinque preghiere quotidiane, tra i sunniti, possono essere dirette da
uno qualsiasi dei fedeli. Ovviamente, è obbligatorio il rispetto
delle cinque «leggi» fondamentali dell'Islam, i cosiddetti
«pilastn». Esse sono: la professione dì fede (shahada) che è la
semplice frase; «Non c'è altro Dio che Allah e Maometto è il suo
profeta»; la preghiera, l'elemosina (zakat o sadaqa), il digiuno e
il pellegrinaggio alla Mecca. Tutto. ovviamente, regolato da rigidi
rituali. La preghiera privata e individuale non è sottoposta ad
alcuna regolamentazione, al contrario della «salat» o preghiera
rituale. Si prega, comunque, volti, come tutti sanno, in direzione
della Mecca e in stato di purezza rituale. Questa viene ottenuta con
specifiche abluzioni di acqua o, in mancanza di questa, con sabbia.
Il pio musulmano impugna spesso il «taìbih»» letteralmente
«oggetto con cui si loda». E, in pratica, un rosario di 33 grani
che viene «schiccato» per tre volte di seguito sino a formare il
numero novantanove: sono i 99 «nomi belli di Dio».
l’Unità, Lunedì 3
agosto 1987
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