29.3.18

La prefazione di Alfonso Leonetti alla riedizione del bollettino dei trotzkisti italiani (anni 30)


Nel 1976, al tempo del compromesso storico, le edizioni Controcorrente, di Roberto Massari, pubblicarono il bollettino della NOI (Nuova Oposizione Italiana), cioè del gruppo di comunisti antistalinisti che avevano aderito al movimento di Trotsky, in primis “i tre”, Tresso, Leonetti e Ravazzoli, espulsi dal PCI nel 1930, per essersi opposti alla “svolta”. Riprendo qui la prefazione di Alfonso Leonetti. (S.L.L.)
Alfonso Leonetti
Assumendosi l'iniziativa, la responsabilità e l'onere gravoso di pubblicare il Bollettino della NOI (Nuova Opposizione Italiana), "Controcorrente" colma una vecchia lacuna; mette cioè a disposizione degli studiosi e dei militanti operai uno strumento di conoscenza e di discussione che da tempo e invano si attendeva.
Vi è stato, è vero, alcuni anni fa un reprint Feltrinelli del Bollettino. Ma tirato a pochi esemplari, esso scomparve rapidamente dalla circolazione. Esso si presentava come l'originale ed era quindi di difficile lettura e consultazione. Questi limiti sono ora superati con il volume di "Controcorrente" e si potrà quindi raggiungere una massa di lettori molto più ampia, interessata a conoscere gli sviluppi di quei drammatici avvenimenti che portarono prima e dopo la "svolta" a una grave degenerazione dell'Internazionale Comunista e delle sue sezioni nazionali.
C'è oggi la tendenza a parlare di questo periodo e di queste discussioni come di fatti appartenenti alla "paleontologia" del movimento operaio. Si è persino coniato il motto di "paleocomunismo" per giustificare ogni rifiuto a fare i conti con questo passato. Eppure è arcinoto che il presente è figlio del passato e che non si può costruire il nostro futuro se non ci rendiamo conto di quello che siamo, di come siamo usciti dal passato: un passato che incombe su di noi con le sue ombre e le sue luci.
Una prima curiosità avrà certamente il lettore sapere quanti eravamo, che tiratura aveva il Bollettino, che consistenza aveva la nostra opposizione. Chi ragiona con il metro del presente, resterà forse deluso. I "tre" non furono mai tre, è vero, ma non fummo mai più di una ventina o una trentina. Le nostre posizioni erano condivise da altri, come Teresa Recchia, membro candidato del CC, eletta al Congresso di Lione, unica donna operaia della direzione; da suo marito, Mario Bavassano, operaio sellaio dirigente dei "gruppi comunisti italiani" in Francia; da vecchi comunisti, come Giovanni Boero, noto dirigente degli operai torinesi.
Particolare e diversa dalla nostra, ma nettamente contraria alla linea staliniana della "maggioranza" era pure la posizione di Ignazio Silone. La storia ha poi mostrato che, a nostra insaputa, le nostre critiche alla svolta erano condivise in carcere anche da Gramsci e Terracini, almeno per quanto riguardava l'Italia e la lotta contro il fascismo.
La nostra opposizione - è evidente - avrebbe avuto un altro peso e un altro sviluppo, nazionale e internazionale, con il sostegno morale, politico e intellettuale di uomini come Gramsci e Terracini. E invece dovemmo batterci da soli e in condizioni difficilissime, ignorando che in carcere Gramsci e Terracini condividevano le nostre posizioni. Tutte, salvo quella della nostra andata a Trotsky. Fuori dal carcere e avendo vissuto la nostra stessa esperienza, essi avrebbero fatto assai probabilmente come noi.
La vita fuori dal Partito e per giunta nell'immigrazione non fu facile, né comoda. Di tutti i tempi, la vita dei gruppi in terra d'esilio - si raccogliessero questi intorno a Marx ed Engels, al tempo dell'emigrazione tedesca, o intorno a Lenin, al tempo di quella russa - è stata una vita grama, fatta di scissioni e di liti senza fine. Anche il nostro piccolo gruppo non sfuggì a questo destino. Gli è che, malgrado la grande presenza di Trotsky, tutte le sezioni costituitesi intorno al Segretariato Internazionale dell'Opposizione, di cui egli era il capo, vivevano in uno stato di fluidità permanente. Fu così anche per il nostro gruppo.
Blasco (Tresso), per incominciare, si stacco da noi subito, per svolgere la sua attività nella sezione francese, in preda, allora, a lotte interne acutissime. Ciò spiega perché il suo nome non appaia fra i collaboratori del Bollettino, di cui però condivideva l'orientamento politico. Questo era in gran parte redatto da me, Pia Carena e Paolo Ravazzoli. Quest'ultimo, in seguito - all'epoca del cosiddetto "entrismo"- abbandonerà l'Opposizione per il Partito socialista di Nenni e di Tasca. Sarà allora che con Blasco decideremo di far uscire “La Verità”; ma la pubblicazione di questo giornale non andrà oltre il secondo numero.
Quali che siano state le vicende dei "tre" sotto l'aspetto individuale, e quello della NOI sul piano organizzativo e politico, il Bollettino rimane un documento da conoscere per gli avvenimenti e le discussioni dell'epoca.
Inutile dire che la stampa era fatta da noi medesimi. La tiratura si aggirava intorno alle duecento-trecento copie. Distribuite ad personam, esse venivano però spedite in tutto il mondo, in particolare alle biblioteche con servizi di lettura. Venivano mandate delle copie anche negli USA e persino a Mosca, oltre che alle redazioni dei vari giornali antifascisti. Il posto dove era più difficile fare arrivare delle copie era purtroppo l'Italia, per mancanza di contatti diretti nel paese. Diverso è il discorso per gli ambienti dell'emigrazione italiana in Francia. All'epoca delle guerra d'Etiopia, però, riusciremo a fare arrivare alle truppe italiane un appello alla fraternizzazione con gli etiopi, tramite dei sudafricani.
Ci fu chi, Claudio Treves, ad esempio, direttore della “Libertà”, settimanale della Concentrazione Antifascista, definì "spade di legno" questi nostri Bollettini, rispetto alle "corazzate" della stampa staliniana o stalinizzata.
Ed era vero. Ma è anche vero che contro gli abusi del potere e contro un sistema di falsità ci si batte come si può: anche con le "spade di legno", se mancano mezzi più possenti ed efficaci.
le nostre non ci sembravano però, "spade di legno". Avevamo con noi la grande tradizione del pensiero e dell'azione marxista, leniniana che si impersonava nella figura di un grande capo rivoluzionario, quale Leone Trotsky, cacciato ormai sulla via dell'esilio. Anche il suo esempio ci dimostrava, del resto, che importante non è l'arma con cui ci si batte. E la nostra causa - la difesa del comunismo internazionale - ci dava la certezza della nostra forza. Poverissimi per i nostri mezzi di esistenza e di lotta, noi pensavamo di superare tutte le difficoltà,oggettive e soggettive grazie alla nostra passione rivoluzionaria e comunista.
Guardavamo con ansia ad ogni passo in avanti del proletariato nel mondo: in Germania, in primo luogo, dove si combatteva l'ultima battaglia contro l'avvento di Hitler, dal cui esito dipendeva tanta parte della nostra lotta contro il fascismo; in Spagna, dove la teoria della rivoluzione permanente apparve in tutta la sua correttezza storica; in Austria, negli USA. Aspettavamo anche i primi sintomi di risveglio del movimento operaio russo, dopo la grande sconfitta rappresentata dalla vittoria dello stalinismo.
Del nostro caro compagno Gramsci, invece, cui dovevamo in fondo, e nonostante certi suoi errati apprezzamenti nei riguardi di Trotsky e dell'Opposizione, il giusto orientamento che ci aveva portato a schierarci con Trotsky e l'Opposizione, non sapemmo più nulla fino alla sua morte. Che incoraggiamento sarebbe stato per noi, sapere che anch'egli dal carcere si opponeva alla linea del socialfascismo e concordava con posizioni nostre e di Trotsky riguardo alla Costituente, al periodi di transizione dal fascismo alla lotta per il potere operaio!
Le maggiori amarezze non ci venivano, infatti, dalle nostre condizioni di fame, in terra straniera, né dalla forza del nemico di classe: la borghesia. Ci venivano invece dalla debolezza del movimento operaio italiano e internazionale, diretto da cattivi o falsi pastori, cui spetta una grande responsabilità e nell'avvento di Hitler prima, e nella sconfitta subita dalla rivoluzione spagnola, poi: premesse entrambe della Seconda guerra mondiale. È storia recente.
Sbagliando si impara, dice un vecchio proverbio. L'esempio del riformismo sta a dimostrare il contrario.
Si impara solo se si paga di persona e si ha poi la forza di ricominciare da capo. A questo punto può servire allora l'esperienza della NOI e la lettura del Bollettino. Dopo le Tesi di Lione questo testo, grazie all'apporto insostituibile di Trotsky, presente quasi in ogni numero, offre un contributo notevole di elaborazione marxista in seno al movimento operaio.
Il sistema capitalista è nuovamente e scopertamente in crisi. Cerca appoggi nelle direzioni riformiste del movimento operaio, ma cozza contro la volontà di lotta delle masse lavoratrici. Chi prevarrà?
Ciò dipende da molti fattori, ma sopratutto dalla capacità dei partiti operai a stabilire esatti rapporti di classe, tra politica ed economia, tra la tattica e la strategia, tra l'immediato e il futuro. Come, con quali parole d'ordine si orientano e si conquistano le masse a una prospettiva rivoluzionaria, comunista?
Le condizioni sociali mutano, ma i principi restano. E sono i principi del marxismo e della esperienza bolscevica che noi cercammo di difendere con l'ausilio di Gramsci e l'impegno diretto a fianco di Trotsky e di quello che all'epoca si chiamava "Movimento per la Quarta Internazionale".
Sono questi i problemi su cui oggi sono chiamate a confrontarsi le nuove generazioni rivoluzionarie, nella lotta per la rinascita del comunismo in Unione Sovietica e per la vittoria del proletariato nel resto del mondo.
In questa lotta la ripubblicazione del Bollettino è solo un modesto contributo, ma mi pare valido.

Roma, 24 gennaio 1976

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