4.4.18

Agli amici del Pd (S.L.L.)


Forse non è chiaro.
Ma avete riflettuto sul fatto che – con Renzi appena insediato al governo – alle elezioni europee del 2014, il Pd, su circa 29 milioni di voti validi, ne prese più di 11 milioni e duecento mila, più del 40%? E che alle elezioni politiche di marzo per la camera dei deputati, dove i voti validi erano decisamente di più (32 milioni e 800 mila), ne ha ottenuto un po' più di 6 milioni e centomila, meno del 19%?
Pensate che la colpa del fallimento elettorale sia di LeU o di PaP, che hanno preso all'incirca 200 mila voti in più della Lista Tsipras alle Europee (200 mila non 5 milioni)?
Vi rendete conto del fatto che la differenza è più di 5 milioni di voti, almeno 5 milioni di persone che agli inizi della parabola di Renzi avevano fiducia nel Pd e che, dopo tre anni di suo dominio incontrastato nel governo e quasi quattro di leadership nel partito, non l'hanno più avuta?
Pensate che su questo voto siano state determinanti le leggi sulle Unioni Civili e sul testamento biologico e che le tantissime persone che hanno cambiato scelta siano state risucchiate dal medioevo oscurantista? O che siano state spinte al cambio dalla paura di una presunta “invasione” di migranti e dalle campagne mediatiche sulla sicurezza, temi non nuovi dell'agitazione della destra?
Pensate che non abbiano influito per niente l'abolizione del reintegro per i licenziamenti senza giusta causa nelle grandi fabbriche, quell'art.18 per cui la sinistra aveva fatto grandi battaglie? O la mancata correzione della legge Fornero? O la scelta decisa per Marchionne contro i diritti dei lavoratori Fiat? O la “buona scuola”? O le reticenze sulle crisi bancarie? O le regalie a questo e a quel gruppo sociale senza una visione d'insieme? E da ultimo la trovata truffaldina di abolire prima e rimettere subito dopo quasi uguali i “voucher”, per impedire un referendum che sarebbe stato un pronunciamento politico contro il “Jobs act”?
Pensate che non abbia influito il tentativo di cambiare nettamente a favore dell'esecutivo i rapporti tra i poteri dello Stato e di azzerare il peso dei corpi intermedi che si delineava tra legge elettorale Italicum e modifiche alla Costituzione? Pensate che non conti il fatto che questa linea di politica istituzionale era all'opposto della tradizionale difesa degli assetti costituzionali tipica dei comunisti italiani e dei cattolici democratici? E il fatto che essa di fatto negava vent'anni di opposizione al leaderismo autoritario di Berlusconi & C?
Non vi viene in mente che quando la più importante forza politica del centrosinistra sui temi sociali e sui temi istituzionali fa proprie le politiche tradizionali della destra essa ingenera nel suo stesso elettorato una confusione che alimenta la protesta populista e qualunquista?
Lasciamo perdere la discussione su che cosa debba fare il Pd nella crisi di governo, dopo elezioni che non hanno dato i numeri per governare con il sostegno di una maggioranza parlamentare precostituita a nessuna coalizione o forza politica, se debba cioè tirarsi fuori in una sorta di Aventino o intervenire sulle contraddizioni degli altri con una proposta e una disponibilità. Mi pare che entrambe le posizioni abbiano qualche giustificazione e in ogni caso – da osservatore esterno – non credo di poter intervenire in una discussione difficile che riguarda dirigenti, iscritti e sostenitori del Pd. Ma alcune cose, da osservatore esterno e da persona di sinistra, sulle prospettive del Pd credo di poterle dire.
Mi pare ormai improbabile che il Pd, nella situazione data, possa diventare quel partito inclusivo, aperto e contendibile, in cui anche una sinistra socialista, cioè classista, ugualitaria, ragionevolmente anticapitalistica (per intendersi, non solo per il lavoro contro il capitale ma anche per l'impresa contro il capitale), possa trovare spazio, ascolto, agibilità politica. Pertanto penso che – fuori dagli apparati esistenti privi di qualunque credibilità, in forme che non so neanche ipotizzare – una sinistra politica autonoma con risultati elettorali a due cifre (in un paese dove c'è la Cgil e dove la cultura e il volontariato di sinistra conservano peso e stima) può rinascere in tempi non troppo lunghi. Ma nell'Italia che vorrei, c'è di sicuro spazio per un partito liberal-democratico di laici e di cattolici, riformato, pluralista, ancorato a sinistra e alleato della sinistra. C'è anzi la necessità di un partito come il Pd forte e attrattivo.
Liberarsi di una guida fallimentare come quella di Renzi è senza dubbio preliminare e possono probabilmente convincerlo ad accettare un ruolo di seconda fila senza far ulteriori danni tanti presunti suoi “fedelissimi” che si rendano conto di questa necessità ed urgenza. Ma del leaderismo deteriore bisogna liberarsi in assoluto: un partito liberal-democratico, riformista in direzione dell'uguaglianza se non altro delle opportunità, deve riformulare il suo asse programmatico, il suo orizzonte culturale in un dibattito fortemente partecipato e considerare il pluralismo un suo carattere costitutivo. Non è affatto male che in un tale partito emerga una leadership di grande prestigio, con un suo carisma, ma dev'essere chiaro fin dall'inizio che a nessun nuovo Renzi sarà più permesso di considerare carta straccia un programma fondamentale dove c'è scritto “mai riforme costituzionali a colpi di ristretta maggioranza”.

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