Ho ritrovato un vecchio
ritaglio da “L'Espresso” sulla caccia illegale ai rinoceronti,
sulla sua recrudescenza, sulle superstizioni intorno ai corni che
l'alimentano, sui rischi d'estinzione per l'animale. Era del 2013. Ho
cercato in rete notizie fresche per vedere se la situazione sia
migliorata dopo quelle denunce. È casomai peggiorata. Lo documenta
un articolo dal Corsera del 2017 che mostra quanto aggressivi e
violenti si siano fatti trafficanti e bracconieri. Ho “postato”
insieme i due “pezzi”, pensando di far cosa utile a me stesso e
ai visitatori del blog. (S.L.L.)
Uccisi per un corno.
Caccia ai rinoceronti tra Sudafrica e Mozambico (2013)
Lorenzo Simoncelli
Periodicamente, il
ministero dell’Ambiente sudafricano pubblica sul suo sito Internet
il numero aggiornato dei rinoceronti trovati morti nei suoi parchi
nazionali. Un bollettino di guerra, che dal 2007 a oggi, non accenna
a fermarsi. L’ultimo, datato ottobre 2013, parla di 790 animali
uccisi,più di due al giorno.
Un numero che ha già
superato i 668 dell’intero 2012: e mancano ancora due mesi alla
fine dell’anno. Ciò significa che il 2013 sarà ricordato come
l’anno nero per l’antico mammifero dal prezioso corno, il cui
valore si aggira intorno ai 65 mila dollari al chilo, più dell’oro
e del platino. In media, il corno di un rinoceronte bianco, il più
comune nell’Africa sub-sahariana, pesa circa 6 chili. L’uccisione
di un singolo animale, dunque, può valere fino a 400 mila dollari.
Calcolando che ad oggi ne sono stati ammazzati 790, il giro d’affari
del traffico dei comi di rinoceronte si aggira intorno ai 316 milioni
di dollari.
Un mercato in continua
ascesa che si sviluppa sull’asse Africa-Asia, non a caso due dei
continenti con le principali economie emergenti. Se, infatti, la
materia prima si trova in Sudafrica, la domanda viene soprattutto da
Cina, Vietnam, Laos e Thailandia. Secondo la medicina tradizionale
cinese, il cui ascendente è ancora forte soprattutto tra i nuovi
ricchi, la sostanza di cui è composto il corno di rinoceronte
avrebbe funzioni curative. Due grammi a dose sarebbero necessari per
sconfiggere impotenza, influenza e addirittura alcuni tumori. Insomma
una sorta di farmaco tuttofare, mai riconosciuto dalla medicina
ufficiale, con un bacino di utenza ancora limitato, un milione di
consumatori, a causa dei costi proibitivi, ma con un enorme
potenziale di crescita.
La vendita di corna di
rinoceronte è stata vietata nel 1977 dai paesi aderenti al Cites
(Convention on International Trade in Endangered Species of Wild
Fauna and Flora), un accordo intemazionale per la salvaguardia delle
specie in via d’estinzione. Tra i membri, Cina, Sudafrica, Vietnam
e Mozambico, che in anni diversi ne hanno bandito anche il traffico
interno. Come nel caso delle zanne degli elefanti, la via
proibizionistica non sembra aver funzionato, anzi ha incentivato il
proliferare di un fiorente traffico illegale. Con la crescita
economica del Sudafrica e il conseguente irrigidimento dei controlli
negli scali portuali e aerei, le gang asiatiche, spesso le stesse
connesse al traffico di droga o di esseri umani, si sono spostate nel
vicino Mozambico, nuova frontiera della rotta illegale dei corni di
rinoceronte.
Una volta atterrati a
Maputo, i trafficanti si spostano qualche centinaio di chilometri a
nord verso il confine con il Sudafrica e con il Kruger National Park,
il principale santuario dei rinoceronti bianchi. In mezzo a villaggi
martoriati dalla fame e dove sono ancora tangibili i postumi della
guerra civile degli anni Ottanta, inizia la ricerca dei bracconieri
che uccideranno i rinoceronti e consegneranno il prezioso corno alle
gang asiatiche. Individuarli è facile, perché grazie ai loro
introiti dovuti al bracconaggio, sono gli unici che si possono
permettere case di cemento.
Si muovono a gruppi di
tre, armati fino ai denti con AK 47, visori notturni, silenziatori e
l'immancabile machete per sradicare il corno. Chi spara e abbatte
l'animale guadagna intorno ai 40 mila euro, gli altri due, i
“macellai”, come sono chiamati nell’ambiente, prendono 20 mila
euro a testa.
I tranquilli villaggi di
confine si iniziano ad animare verso il tramonto, quando un discreto
numero di fuoristrada affolla le terrose strade dei villaggi. Alcuni
hanno delle cassette di plastica colorata sul tettuccio. E un segnale
in codice per i bracconieri, che grazie all’aiuto di corrotte guide
locali, possono localizzare l’area dove sono stati avvistati i
rinoceronti. Senza queste segnalazioni il loro lavoro sarebbe quasi
impossibile dato che la zona di confine, dove viene ucciso il 72 per
cento dei grandi mammiferi, è lunga circa 350 chilometri.
Gli appostamenti possono
durare ore e solitamente, sfruttando la scarsa vista dei rinoceronti,
gli attacchi avvengono durante la notte. Una volta sedati con un
potente sonnifero chiamato M99, i cacciatori illegali hanno il tempo
per tagliare il corno, lasciando così morire dissanguato il
mammifero.
I “macellai” di
rinoceronti agiscono quasi indisturbati, dato che la polizia locale
non ha i mezzi e gli uomini da dislocare lungo il confine, mentre sul
versante sudafricano i circa 600 uomini impiegati dal governo di
Pretoria, sono mal equipaggiati e insufficienti per monitorarr i 20
mila chilometri quadrati di parco. Secondo SANParks, l’autorità
che coordina le riserve naturali sudafricane, ce ne vorrebbero altri
1.400, in modo tale che ogni guardia-parco controlli al massimo dieci
chilometri quadrati. I militari, impegnati nella cosiddetta
“Operazione Corona”, hanno delle regole d’ingaggio che, di
fatto, autorizzano anche il conflitto a fuoco, tanto che dall'inizio
dell’anno 21 bracconieri sono stati uccisi.
Nell’ultima finanziaria
il governo sudafricano ha destinato 2 milioni di euro per
l’implementazione di forze e mezzi al confine con il Mozambico.
Troppo poco, soprattutto per l’acquisto di nuove tecnologie, tra
cui dei piccoli droni, che permettono di monitorare le attività dei
bracconieri e localizzarli in minor tempo, ma il cui costo si aggira
intorno ai 20 mila dollari ciascuno.
Mentre il Mozambico ha i
fari puntati della comunità internazionale e già il prossimo
gennaio dovrà presentare al Cites risultati concreti
sull’inasprimento delle sanzioni nei confronti dei cacciatori
illegali, a Pretoria si sta seriamente considerando l’ipotesi di
presentare alla commissione del Cites, che si riunirà solo nel 2016,
una proposta di legalizzazione del commercio di corna di rinoceronte.
Il progetto, se approvato, farebbe partire le operazioni per tagliare
una parte del corno dei rinoceronti, che grazie alla sua
composizione, simile a quelle delle unghie umane, ricrescerebbe a un
ritmo di cinque centimetri all’anno.
Una scelta che fa
discutere gli animalisti, ma che, secondo il governo sudafricano,
avrebbe un duplice scopo: ridurre i prezzi sul mercato e rendere meno
“attraenti” per i bracconieri i mammiferi con il corno in parte
mozzato, salvando quindi la loro vita.
Come sempre nei traffici
illegali è difficile quantificare la reale domanda, ma secondo Mary
Rice, dell'Enviromental International Agency, un’organizzazione
londinese che da anni investiga sul traffico illegale di animali, «la
legalizzazione coprirebbe anche il traffico illegale», come tra
l’altro già avvenuto con gli elefanti.
C’è poi un altro
aspetto da tenere in considerazione: le licenze di caccia. Nonostante
i tanti animali selvatici in via d’estinzione, in Sudafrica è
ancora permessa la caccia, rinoceronti compresi. Negli anni, dietro
la registrazione di licenze a scopi venatori si sono nascosti molti
trafficanti, tra cui il thailandese Chumlong Lemtongthai, che è
stato colto in flagrante mentre trasportava 26 corna di rinoceronte
verso il Laos. Arrestato e processato è stato punito con una
sentenza storica in materia: 40 anni di carcere. Nelle ultime
settimane Pretoria ha irrigidito i controlli, trovando però ostacoli
da parte dei proprietari privati di alcune riserve, che hanno
comprato direttamente dal governo i permessi per la caccia al
rinoceronte, che può rendere fino a 4 milioni di euro annui.
Ancora più sorprendente
la posizione del Cites, che permette l’uccisione dei mammiferi come
trofei venatori. Una soluzione sembra ancora lontana da trovare. Ciò
che è certo è che due specie di rinoceronti asiatici, tra cui
proprio quello della regione vietnamita di Java, sono già estinti.
Se si continuerà di questo passo, nel 2026, le morti supereranno le
nascite anche tra i rinoceronti bianchi sudafricani.
L'Espresso, 14 novembre
2013
Sudafrica, la guerra
del rinoceronte colpisce anche i turisti. Terrore al parco di Thula
Thula (2017)
Francesco
Battistini
Mezzanotte,
terrore nel parco. Sbucano di colpo, in gruppo. Sono venuti ad
ammazzare le bestie e sono pronti a farlo con gli uomini. Puntano i
mitra sui turisti, una ragazza viene scelta a caso e stuprata davanti
a tutti. «Più che bracconieri – dicono i ranger — pensavamo
fossero terroristi». In fondo lo erano: al Thula Thula Rhino
Orphanage, l’ultimo paradiso del rinoceronte nero, l’arca
sudafricana resa famosa dai libri di quel Noè dell’ambientalismo
che fu Anthony Lawrence, la settimana scorsa è andata in scena
un’azione di guerra.
Il blitz dei
rino-killer
I
sette armati si muovevano da commando ben addestrato e puntavano
diretti a Gugu e a Impi, i due cuccioli di rinoceronte che nelle
ultime settimane erano stati tenuti in riabilitazione nei recinti,
orfani d’adulti a loro volta già ammazzati dai bracconieri: il
primo l’hanno freddato e mutilato all’istante, all’altro hanno
strappato il corno da vivo, lasciandolo in agonia fino all’alba e
finché non s’è deciso d’abbatterlo. «Sapevano che i due
baby-rinoceronti stavano per essere liberati nel parco, avevano
fretta di prendersi in anticipo il bottino». Un blitz organizzato
con qualche complicità interna, dice la polizia, anche per mandare
un messaggio: ecco che cosa succede a chi si mette contro di noi. Già
che c’erano, i rino-killer si sono sbizzarriti: hanno picchiato le
guardie, una è grave all’ospedale, poi hanno messo al muro i
volontari europei che lavorano al parco, legati uno per uno e infine,
per divertirsi un po’, hanno violentato tutt’e sette una
studentessa svedese di 20 anni, ancora ricoverata e sotto choc.
Prima volta
«Erano
scatenati: quando se ne sono andati, ci siamo stupiti ci avessero
lasciati vivi». Mai vista una cosa del genere: «E’ stato il
Ground Zero del bracconaggio», dice la stampa sudafricana. La prima
volta in cui i cacciatori di frodo puntavano a colpire con
premeditazione anche gli uomini, anche i non africani. L’attacco
diretto a un Paese che dà rifugio all’80 per cento degli ultimi
rinoceronti.
Le cifre del
massacro
Lo
sapevate che l’animale più grosso della Terra, dopo l’elefante,
è anche il più a rischio? Ci s’indigna spesso della caccia a
Dumbo, ridotto a 350mila esemplari, ma di rinoceronti si parla poco:
erano 160mila nel 1970, oggi ne sono rimasti 25mila in Africa
(quattro su cinque sono esemplari neri) e 4mila in Asia. Su tutta la
Terra, si stanno estinguendo al ritmo d’un migliaio d’ammazzati
l’anno. In Kenya, della specie bianca ce n’è solo tre. A Giava,
una cinquantina. Nello Zimbabwe, il 60 per cento è sparito in pochi
anni.
Mercato redditizio
Una
strage silenziosa e molto redditizia: un corno di cinque-sei
chilogrammi vale sul mercato cinese o vietnamita dai 150 ai 300mila
dollari, su certe piazze molto più della cocaina, contro i duemila
dollari al chilo che servono per comprare l’avorio delle zanne. Un
mercato che campa sulle credenze popolari — in Asia, il corno di
rinoceronte è ritenuto un ottimo afrodisiaco, un rimedio contro i
raffreddori e i dopo-sbornia, perfino un farmaco per prevenire il
cancro — e vive pure di lusso: pugnali, braccialetti, soprammobili,
molte aziende cinesi ne fanno omaggio ai clienti più importanti
Contrabbando facile
Il
traffico illegale è ben protetto, qualche mese fa s’è scoperto il
coinvolgimento d’un ministro sudafricano. E punta a lucrare proprio
sull’estinzione del rinoceronte: meno esemplari sopravvivono, più
valgono i loro corni. Ci sono grossisti asiatici che li stoccano
scommettendo su una quotazione stellare a rinoceronte estinto, fra
una decina d’anni. «Rispetto a quello dell’avorio — spiega
Andrea Crosta, lo 007 italiano dell’Elephant Action League (Eal)
che combatte il bracconaggio internazionale — , è un contrabbando
relativamente facile. Non c’è bisogno di nascondere l’intera
zanna. La cheratina viene spesso polverizzata, per essere poi bevuta,
ed è più facile da trasportare. Capita pure che viaggi nelle
valigette diplomatiche. Molti Paesi si pagano così le spese extra
delle loro ambasciate: quand’ero in Somalia a indagare sul traffico
gestito dagli Shebab, i jihadisti vicini ad Al Qaeda che si
finanziano con l’avorio e i corni, sono spuntate le complicità di
personale diplomatico della Corea del Nord…».
Impunità e
coperture
Del
rinoceronte, si butta via tutto. Interessa solo il corno. E per
procurarselo, ci sono molte coperture insospettabili. Per esempio in
Paesi europei come la Repubblica Ceca e la Slovacchia, dove vive la
più grande comunità di vietnamiti all’estero. O magari nel
dibattito sull’illegalità del commercio, sancita 25 anni fa dalle
convenzioni internazionali, che è ora rimessa in discussione proprio
da Stati come il Sudafrica che più hanno fatto per proteggere la
specie, istituendo i grandi parchi per il ripopolamento: la pressione
sui governi africani viene spesso dai proprietari di quelle aree
protette, private, che si trovano per le mani milioni di dollari in
corni e sognano di metterli a reddito. «La tesi che si cerca di far
passare è che sia meglio tagliare i corni e lasciare vivere i
rinoceronti anche così, per tutelarli dal bracconaggio e garantire
la specie – dice Crosta -. È un’idea che non convince: in
realtà, incrementa ancora di più la domanda di corni sul mercato
asiatico, soprattutto in Cina e in Vietnam, dove serviranno
generazioni per estirpare secoli di false credenze sui pregi della
cheratina animale» (non per nulla il corno dei rinoceronti indiani,
nepalesi o indonesiani, ormai rarissimi, vale il doppio di quello
cacciato in Africa…). C’è impunità: «Oggi gli arrestati per
questo tipo di contrabbando sono pochissimi — dice l’Eal — e
solo il 10 per cento, alla fine, viene condannato. Molti giudici
africani sono corrotti, il clima è di tolleranza. E i bracconieri lo
sanno: provano a vedere fin dove possono spingersi».
Dichiarazione di
guerra
Ecco
il perché dell’escalation di Thula Thula. A differenza degli
altri, i parchi del Sudafrica sono recintati e un attacco del genere
prevede la decisione d’entrare in aree protette, sapendo di non
poter giocare sul solito finto equivoco dei cacciatori di frodo: solo
in Congo, qualche anno fa, ci fu un’azione simile per fare strage
di okapi. «Le indagini di polizia sono già nella confusione totale
– dice Gilda Moratti, cofondatrice di Eal, appena rientrata dal
Sudafrica -. Noi abbiamo quattro persone fisse nel Paese e siamo noi,
molte volte, a sostituirci alle autorità coi nostri informatori.
Finanziamo là dove ci dicono che non ci sono mezzi per fare certe
investigazioni. I sudafricani temono questi attacchi soprattutto per
i danni al turismo, come già hanno sperimentato il Kenya o il
Botswana. Ma stavolta è diverso, servono intelligence e volontà
d’andare fino in fondo: questa è una dichiarazione di guerra».
Non c’è molto tempo per combatterla: «No. Non c’è tempo
nemmeno per le campagne di sensibilizzazione. Con gli elefanti,
magari, un giorno ce la faremo: dal Papa a Obama, si sono mobilitati
tutti e anche la Cina, alla fine, ha promesso per il 2017 di rendere
definitivamente illegale il commercio dell’avorio. Ma dei
rinoceronti per molto tempo non s’è occupato nessuno. E ormai è
una delle specie più rare al mondo. Salvarla, sarà dura».
Corriere
della sera, 26 febbraio 2017
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