4.4.18

Guerra al rinoceronte. Verso la soluzione finale? (con articoli di L. Simocelli e F. Battistini)


Ho ritrovato un vecchio ritaglio da “L'Espresso” sulla caccia illegale ai rinoceronti, sulla sua recrudescenza, sulle superstizioni intorno ai corni che l'alimentano, sui rischi d'estinzione per l'animale. Era del 2013. Ho cercato in rete notizie fresche per vedere se la situazione sia migliorata dopo quelle denunce. È casomai peggiorata. Lo documenta un articolo dal Corsera del 2017 che mostra quanto aggressivi e violenti si siano fatti trafficanti e bracconieri. Ho “postato” insieme i due “pezzi”, pensando di far cosa utile a me stesso e ai visitatori del blog. (S.L.L.)

Uccisi per un corno. Caccia ai rinoceronti tra Sudafrica e Mozambico (2013)
Lorenzo Simoncelli
Periodicamente, il ministero dell’Ambiente sudafricano pubblica sul suo sito Internet il numero aggiornato dei rinoceronti trovati morti nei suoi parchi nazionali. Un bollettino di guerra, che dal 2007 a oggi, non accenna a fermarsi. L’ultimo, datato ottobre 2013, parla di 790 animali uccisi,più di due al giorno.
Un numero che ha già superato i 668 dell’intero 2012: e mancano ancora due mesi alla fine dell’anno. Ciò significa che il 2013 sarà ricordato come l’anno nero per l’antico mammifero dal prezioso corno, il cui valore si aggira intorno ai 65 mila dollari al chilo, più dell’oro e del platino. In media, il corno di un rinoceronte bianco, il più comune nell’Africa sub-sahariana, pesa circa 6 chili. L’uccisione di un singolo animale, dunque, può valere fino a 400 mila dollari. Calcolando che ad oggi ne sono stati ammazzati 790, il giro d’affari del traffico dei comi di rinoceronte si aggira intorno ai 316 milioni di dollari.
Un mercato in continua ascesa che si sviluppa sull’asse Africa-Asia, non a caso due dei continenti con le principali economie emergenti. Se, infatti, la materia prima si trova in Sudafrica, la domanda viene soprattutto da Cina, Vietnam, Laos e Thailandia. Secondo la medicina tradizionale cinese, il cui ascendente è ancora forte soprattutto tra i nuovi ricchi, la sostanza di cui è composto il corno di rinoceronte avrebbe funzioni curative. Due grammi a dose sarebbero necessari per sconfiggere impotenza, influenza e addirittura alcuni tumori. Insomma una sorta di farmaco tuttofare, mai riconosciuto dalla medicina ufficiale, con un bacino di utenza ancora limitato, un milione di consumatori, a causa dei costi proibitivi, ma con un enorme potenziale di crescita.
La vendita di corna di rinoceronte è stata vietata nel 1977 dai paesi aderenti al Cites (Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora), un accordo intemazionale per la salvaguardia delle specie in via d’estinzione. Tra i membri, Cina, Sudafrica, Vietnam e Mozambico, che in anni diversi ne hanno bandito anche il traffico interno. Come nel caso delle zanne degli elefanti, la via proibizionistica non sembra aver funzionato, anzi ha incentivato il proliferare di un fiorente traffico illegale. Con la crescita economica del Sudafrica e il conseguente irrigidimento dei controlli negli scali portuali e aerei, le gang asiatiche, spesso le stesse connesse al traffico di droga o di esseri umani, si sono spostate nel vicino Mozambico, nuova frontiera della rotta illegale dei corni di rinoceronte.
Una volta atterrati a Maputo, i trafficanti si spostano qualche centinaio di chilometri a nord verso il confine con il Sudafrica e con il Kruger National Park, il principale santuario dei rinoceronti bianchi. In mezzo a villaggi martoriati dalla fame e dove sono ancora tangibili i postumi della guerra civile degli anni Ottanta, inizia la ricerca dei bracconieri che uccideranno i rinoceronti e consegneranno il prezioso corno alle gang asiatiche. Individuarli è facile, perché grazie ai loro introiti dovuti al bracconaggio, sono gli unici che si possono permettere case di cemento.
Si muovono a gruppi di tre, armati fino ai denti con AK 47, visori notturni, silenziatori e l'immancabile machete per sradicare il corno. Chi spara e abbatte l'animale guadagna intorno ai 40 mila euro, gli altri due, i “macellai”, come sono chiamati nell’ambiente, prendono 20 mila euro a testa.
I tranquilli villaggi di confine si iniziano ad animare verso il tramonto, quando un discreto numero di fuoristrada affolla le terrose strade dei villaggi. Alcuni hanno delle cassette di plastica colorata sul tettuccio. E un segnale in codice per i bracconieri, che grazie all’aiuto di corrotte guide locali, possono localizzare l’area dove sono stati avvistati i rinoceronti. Senza queste segnalazioni il loro lavoro sarebbe quasi impossibile dato che la zona di confine, dove viene ucciso il 72 per cento dei grandi mammiferi, è lunga circa 350 chilometri.
Gli appostamenti possono durare ore e solitamente, sfruttando la scarsa vista dei rinoceronti, gli attacchi avvengono durante la notte. Una volta sedati con un potente sonnifero chiamato M99, i cacciatori illegali hanno il tempo per tagliare il corno, lasciando così morire dissanguato il mammifero.
I “macellai” di rinoceronti agiscono quasi indisturbati, dato che la polizia locale non ha i mezzi e gli uomini da dislocare lungo il confine, mentre sul versante sudafricano i circa 600 uomini impiegati dal governo di Pretoria, sono mal equipaggiati e insufficienti per monitorarr i 20 mila chilometri quadrati di parco. Secondo SANParks, l’autorità che coordina le riserve naturali sudafricane, ce ne vorrebbero altri 1.400, in modo tale che ogni guardia-parco controlli al massimo dieci chilometri quadrati. I militari, impegnati nella cosiddetta “Operazione Corona”, hanno delle regole d’ingaggio che, di fatto, autorizzano anche il conflitto a fuoco, tanto che dall'inizio dell’anno 21 bracconieri sono stati uccisi.
Nell’ultima finanziaria il governo sudafricano ha destinato 2 milioni di euro per l’implementazione di forze e mezzi al confine con il Mozambico. Troppo poco, soprattutto per l’acquisto di nuove tecnologie, tra cui dei piccoli droni, che permettono di monitorare le attività dei bracconieri e localizzarli in minor tempo, ma il cui costo si aggira intorno ai 20 mila dollari ciascuno.
Mentre il Mozambico ha i fari puntati della comunità internazionale e già il prossimo gennaio dovrà presentare al Cites risultati concreti sull’inasprimento delle sanzioni nei confronti dei cacciatori illegali, a Pretoria si sta seriamente considerando l’ipotesi di presentare alla commissione del Cites, che si riunirà solo nel 2016, una proposta di legalizzazione del commercio di corna di rinoceronte. Il progetto, se approvato, farebbe partire le operazioni per tagliare una parte del corno dei rinoceronti, che grazie alla sua composizione, simile a quelle delle unghie umane, ricrescerebbe a un ritmo di cinque centimetri all’anno.
Una scelta che fa discutere gli animalisti, ma che, secondo il governo sudafricano, avrebbe un duplice scopo: ridurre i prezzi sul mercato e rendere meno “attraenti” per i bracconieri i mammiferi con il corno in parte mozzato, salvando quindi la loro vita.
Come sempre nei traffici illegali è difficile quantificare la reale domanda, ma secondo Mary Rice, dell'Enviromental International Agency, un’organizzazione londinese che da anni investiga sul traffico illegale di animali, «la legalizzazione coprirebbe anche il traffico illegale», come tra l’altro già avvenuto con gli elefanti.
C’è poi un altro aspetto da tenere in considerazione: le licenze di caccia. Nonostante i tanti animali selvatici in via d’estinzione, in Sudafrica è ancora permessa la caccia, rinoceronti compresi. Negli anni, dietro la registrazione di licenze a scopi venatori si sono nascosti molti trafficanti, tra cui il thailandese Chumlong Lemtongthai, che è stato colto in flagrante mentre trasportava 26 corna di rinoceronte verso il Laos. Arrestato e processato è stato punito con una sentenza storica in materia: 40 anni di carcere. Nelle ultime settimane Pretoria ha irrigidito i controlli, trovando però ostacoli da parte dei proprietari privati di alcune riserve, che hanno comprato direttamente dal governo i permessi per la caccia al rinoceronte, che può rendere fino a 4 milioni di euro annui.
Ancora più sorprendente la posizione del Cites, che permette l’uccisione dei mammiferi come trofei venatori. Una soluzione sembra ancora lontana da trovare. Ciò che è certo è che due specie di rinoceronti asiatici, tra cui proprio quello della regione vietnamita di Java, sono già estinti. Se si continuerà di questo passo, nel 2026, le morti supereranno le nascite anche tra i rinoceronti bianchi sudafricani.

L'Espresso, 14 novembre 2013



Sudafrica, la guerra del rinoceronte colpisce anche i turisti. Terrore al parco di Thula Thula (2017)
Francesco Battistini

Mezzanotte, terrore nel parco. Sbucano di colpo, in gruppo. Sono venuti ad ammazzare le bestie e sono pronti a farlo con gli uomini. Puntano i mitra sui turisti, una ragazza viene scelta a caso e stuprata davanti a tutti. «Più che bracconieri – dicono i ranger — pensavamo fossero terroristi». In fondo lo erano: al Thula Thula Rhino Orphanage, l’ultimo paradiso del rinoceronte nero, l’arca sudafricana resa famosa dai libri di quel Noè dell’ambientalismo che fu Anthony Lawrence, la settimana scorsa è andata in scena un’azione di guerra.

Il blitz dei rino-killer
I sette armati si muovevano da commando ben addestrato e puntavano diretti a Gugu e a Impi, i due cuccioli di rinoceronte che nelle ultime settimane erano stati tenuti in riabilitazione nei recinti, orfani d’adulti a loro volta già ammazzati dai bracconieri: il primo l’hanno freddato e mutilato all’istante, all’altro hanno strappato il corno da vivo, lasciandolo in agonia fino all’alba e finché non s’è deciso d’abbatterlo. «Sapevano che i due baby-rinoceronti stavano per essere liberati nel parco, avevano fretta di prendersi in anticipo il bottino». Un blitz organizzato con qualche complicità interna, dice la polizia, anche per mandare un messaggio: ecco che cosa succede a chi si mette contro di noi. Già che c’erano, i rino-killer si sono sbizzarriti: hanno picchiato le guardie, una è grave all’ospedale, poi hanno messo al muro i volontari europei che lavorano al parco, legati uno per uno e infine, per divertirsi un po’, hanno violentato tutt’e sette una studentessa svedese di 20 anni, ancora ricoverata e sotto choc.

Prima volta
«Erano scatenati: quando se ne sono andati, ci siamo stupiti ci avessero lasciati vivi». Mai vista una cosa del genere: «E’ stato il Ground Zero del bracconaggio», dice la stampa sudafricana. La prima volta in cui i cacciatori di frodo puntavano a colpire con premeditazione anche gli uomini, anche i non africani. L’attacco diretto a un Paese che dà rifugio all’80 per cento degli ultimi rinoceronti.

Le cifre del massacro
Lo sapevate che l’animale più grosso della Terra, dopo l’elefante, è anche il più a rischio? Ci s’indigna spesso della caccia a Dumbo, ridotto a 350mila esemplari, ma di rinoceronti si parla poco: erano 160mila nel 1970, oggi ne sono rimasti 25mila in Africa (quattro su cinque sono esemplari neri) e 4mila in Asia. Su tutta la Terra, si stanno estinguendo al ritmo d’un migliaio d’ammazzati l’anno. In Kenya, della specie bianca ce n’è solo tre. A Giava, una cinquantina. Nello Zimbabwe, il 60 per cento è sparito in pochi anni.

Mercato redditizio
Una strage silenziosa e molto redditizia: un corno di cinque-sei chilogrammi vale sul mercato cinese o vietnamita dai 150 ai 300mila dollari, su certe piazze molto più della cocaina, contro i duemila dollari al chilo che servono per comprare l’avorio delle zanne. Un mercato che campa sulle credenze popolari — in Asia, il corno di rinoceronte è ritenuto un ottimo afrodisiaco, un rimedio contro i raffreddori e i dopo-sbornia, perfino un farmaco per prevenire il cancro — e vive pure di lusso: pugnali, braccialetti, soprammobili, molte aziende cinesi ne fanno omaggio ai clienti più importanti

Contrabbando facile
Il traffico illegale è ben protetto, qualche mese fa s’è scoperto il coinvolgimento d’un ministro sudafricano. E punta a lucrare proprio sull’estinzione del rinoceronte: meno esemplari sopravvivono, più valgono i loro corni. Ci sono grossisti asiatici che li stoccano scommettendo su una quotazione stellare a rinoceronte estinto, fra una decina d’anni. «Rispetto a quello dell’avorio — spiega Andrea Crosta, lo 007 italiano dell’Elephant Action League (Eal) che combatte il bracconaggio internazionale — , è un contrabbando relativamente facile. Non c’è bisogno di nascondere l’intera zanna. La cheratina viene spesso polverizzata, per essere poi bevuta, ed è più facile da trasportare. Capita pure che viaggi nelle valigette diplomatiche. Molti Paesi si pagano così le spese extra delle loro ambasciate: quand’ero in Somalia a indagare sul traffico gestito dagli Shebab, i jihadisti vicini ad Al Qaeda che si finanziano con l’avorio e i corni, sono spuntate le complicità di personale diplomatico della Corea del Nord…».

Impunità e coperture
Del rinoceronte, si butta via tutto. Interessa solo il corno. E per procurarselo, ci sono molte coperture insospettabili. Per esempio in Paesi europei come la Repubblica Ceca e la Slovacchia, dove vive la più grande comunità di vietnamiti all’estero. O magari nel dibattito sull’illegalità del commercio, sancita 25 anni fa dalle convenzioni internazionali, che è ora rimessa in discussione proprio da Stati come il Sudafrica che più hanno fatto per proteggere la specie, istituendo i grandi parchi per il ripopolamento: la pressione sui governi africani viene spesso dai proprietari di quelle aree protette, private, che si trovano per le mani milioni di dollari in corni e sognano di metterli a reddito. «La tesi che si cerca di far passare è che sia meglio tagliare i corni e lasciare vivere i rinoceronti anche così, per tutelarli dal bracconaggio e garantire la specie – dice Crosta -. È un’idea che non convince: in realtà, incrementa ancora di più la domanda di corni sul mercato asiatico, soprattutto in Cina e in Vietnam, dove serviranno generazioni per estirpare secoli di false credenze sui pregi della cheratina animale» (non per nulla il corno dei rinoceronti indiani, nepalesi o indonesiani, ormai rarissimi, vale il doppio di quello cacciato in Africa…). C’è impunità: «Oggi gli arrestati per questo tipo di contrabbando sono pochissimi — dice l’Eal — e solo il 10 per cento, alla fine, viene condannato. Molti giudici africani sono corrotti, il clima è di tolleranza. E i bracconieri lo sanno: provano a vedere fin dove possono spingersi».

Dichiarazione di guerra
Ecco il perché dell’escalation di Thula Thula. A differenza degli altri, i parchi del Sudafrica sono recintati e un attacco del genere prevede la decisione d’entrare in aree protette, sapendo di non poter giocare sul solito finto equivoco dei cacciatori di frodo: solo in Congo, qualche anno fa, ci fu un’azione simile per fare strage di okapi. «Le indagini di polizia sono già nella confusione totale – dice Gilda Moratti, cofondatrice di Eal, appena rientrata dal Sudafrica -. Noi abbiamo quattro persone fisse nel Paese e siamo noi, molte volte, a sostituirci alle autorità coi nostri informatori. Finanziamo là dove ci dicono che non ci sono mezzi per fare certe investigazioni. I sudafricani temono questi attacchi soprattutto per i danni al turismo, come già hanno sperimentato il Kenya o il Botswana. Ma stavolta è diverso, servono intelligence e volontà d’andare fino in fondo: questa è una dichiarazione di guerra». Non c’è molto tempo per combatterla: «No. Non c’è tempo nemmeno per le campagne di sensibilizzazione. Con gli elefanti, magari, un giorno ce la faremo: dal Papa a Obama, si sono mobilitati tutti e anche la Cina, alla fine, ha promesso per il 2017 di rendere definitivamente illegale il commercio dell’avorio. Ma dei rinoceronti per molto tempo non s’è occupato nessuno. E ormai è una delle specie più rare al mondo. Salvarla, sarà dura».

Corriere della sera, 26 febbraio 2017

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