25.4.18

Le nocciole e le origini dell'orzata (Giuseppe Mantovano)


Le nocciole nell'antichità ebbero un vasto impiego nel campo dolciario. Nel manuale attribuito ad Apicio vengono usate per un dolce a base di miele, vino puro, passito e ruta con pinoli, noci, spelta lessata, nocciole tostate e sminuzzate. Venivano chiamate anticamente pontiche, secondo Plinio perché provenienti dal Ponto o avellane forse perché la zona di migliore produzione in Italia era allora quella di Avella cittadina della Campania. All'esame della medicina antica, ripresa ancora in epoca rinascimentale, le nocciole facevano male allo stomaco, ma se pestate e bevute nell’acqua mielata guarivano la tosse vecchia, arrostite e mangiate con un poco di pepe maturavano i catarri, bruscate assieme ai gusci e tritate in polvere con grascia ovvero grasso d'orso facevano rinascere i capelli, eterno problema dell’uomo vanitoso. Dicevano alcuni che la cenere dei gusci applicata nella fronte dei fanciulli mischiata con olio avrebbe trasformato i loro occhi bigi in neri. Cosa avevano mai di colpevole gli occhi bigi? Forse perché assimilabili a quelli dei gatti spesso personificazione del maligno.
La nocciola assume sempre più importanza con la diffusione dello zucchero. Bartolomeo Platina nella seconda metà del Quattrocento ci ricorda che le nocciole, così come le mandorle, i pinoli, la cannella, i semi di coriandolo, messe a bagno nell'acqua pulita e poi immerse nello zucchero sciolto diventano confetti. E sono quei confetti che chiuderanno i grandi pranzi di corte sino a quando lo sviluppo della confettureria non darà alle nocciole un più ampio sviluppo. Fra i tanti impieghi delle nocciole l'anonimo autore settecentesco delle «Confetturiere Piemontesi», suggerisce quello per una fresca bevanda estiva: l'orzata. «Pestate ben fine tre once di nocciole già mondate con l'acqua calda e assieme tre once dei semi freddi, e di tanto in tanto bagnatele con alquanto d’acqua, acciò non si convertano in olio; e quando saranno ben peste stemperatele in un catino con una pinta d'acqua; poi passatele più volte per una tovaglia bagnata e quando saranno ben passate mettetevi tre once di zucchero col succo di mezzo cedro che mescolerete bene col detto succo delle nocciole e quando lo zucchero sarà liquefatto, passate ancora una volta l'orzata nella tovaglia, poi mettetela a rinfrescare».
Il repertorio di dolci a base di nocciole diventa sempre più vasto. L'industria ne ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia. Con pane e «nutella» si scavalcano i picchi più alti delle montagne, si portano a compimento le imprese più ardue. La nocciola trasformata in crema equivale agli spinaci di Braccio di Ferro. Ma tornando alle ragioni dei gusto cosa sarebbero i baci di dama al cioccolato e certi «brutti ma buoni» proposti come dessert anche dalla grande ristorazione del nostro tempo, senza il contributo delle nocciole? E c'è infine in estate ma anche in ogni stagione dell’anno l'uso della nocciola triturata nel gelato di crema gianduia. Il nome Gianduia ci riporta nelle Langhe dove è celebre una torta popolare che qui ha un sapore più alto e nobile che altrove per via della nocciola «gentile». Un dolce questo che più dell'estate ama le atmosfere, tuttavia non molto lontane, del malinconico autunno.

“L'arcigoloso – l'Unità”, 28 agosto 1989

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