Thomas Piketty |
Alle elezioni del 4 marzo
ci si è stupiti che il Pd sia andato bene quasi solo nei quartieri
migliori di Roma, Milano e Torino. L’apparente paradosso che ha
attratto i cronisti non ha in realtà nulla di strano, né di
particolarmente italico; nemmeno forse è passeggero. Indica il punto
dove è giunta una lunga storia.
Per riesaminare gli
schemi con cui interpretiamo la politica, molti elementi erano già
disponibili; occorreva montarli insieme. Ci prova ora Thomas Piketty,
il noto autore di Il capitale nel XXI secolo (Bompiani 2014),
con uno studio ricchissimo di dati, Brahmin Left vs Merchant
Right: Rising Inequality and the Changing Structure of Political
Conflict, accessibile sul sito www.piketty.pse.ens.fr. Mostra che
sia il voto a sinistra della borghesia colta, sia la protesta
popolare contro tutte le élite hanno radici profonde.
Usa, Francia e
Inghilterra
Una grande mutazione è
maturata per gradi nel corso degli ultimi sessant’anni. Quando il
dopoguerra ha riportato la democrazia in tutti i grandi Paesi
dell’Occidente, a votare per la sinistra erano innanzitutto i
poveri. La discriminante politica principale era quella che alcuni
chiamavano lotta di classe.
Lungo i decenni - lo
studio esamina Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna - nell’elettorato
della sinistra ha acquistato peso, fino a dominare, il livello di
istruzione. Alla destra rimane invece l’ammontare del patrimonio
(chi nasce ricco vota da quella parte); il livello di reddito
personale, un tempo decisivo, influisce poco. Ne risulta che sempre
più destra e sinistra rappresentano due élite rivali, una di censo
e l’altra di cultura: Piketty, citando con ironia le caste indù,
conia i termini «mercanti» e «bramini». Caste, per l’appunto,
dirà qualcuno in Italia. Di fronte a esse, il popolo si è man mano
ricollocato, secondo linee diverse da quelle del XX secolo.
La nuova spaccatura
La soglia che segna il
mutamento, secondo lo studioso francese, è il momento in cui il 10%
più istruito della popolazione comincia a votare più a sinistra del
restante 90%. Secondo i dati da lui raccolti, Usa e Francia l’hanno
varcata durante la seconda metà degli Anni 60 (il Sessantotto
potrebbe entrarci qualcosa), la Gran Bretagna durante gli Anni 80.
Dunque ben prima della globalizzazione e dell’afflusso massiccio di
immigrati si indebolivano le ragioni classiste del voto a sinistra. I
fenomeni recenti hanno aggiunto fattori di ricollocazione politica
nuovi (eppure già visti: all’inizio del XX secolo, nei Paesi di
immigrazione come Usa e Australia erano xenofobi i sindacati dei
lavoratori).
Quanto la globalizzazione
abbia accelerato la tendenza già presente, avverte Piketty, lo potrà
dire l’estensione delle ricerche ad altri Paesi. Certo nella
spaccatura di oggi - trasversale a quella destra/sinistra - tra chi
sostiene l’apertura al mondo e chi vuole ripiegare sulle identità
e sulla sovranità nazionale, il grado di istruzione conta assai.
Negli Usa vota per il Partito democratico il 51% di chi ha una laurea
breve, il 70% dei laureati ordinari e il 75% di quelli con diploma di
terzo ciclo; nel 1948 erano nell’insieme il 20%. I francesi 60 anni
fa votavano a sinistra per il 38% se laureati, per il 57% se con
licenza elementare o meno; ora al contrario circa 60% i primi, 45% i
secondi.
Piketty ha guadagnato
fama documentando che le disuguaglianze nei Paesi avanzati sono
parecchio cresciute negli ultimi due o tre decenni. Ma perché, si
interroga ora, al contrario la gente se ne preoccupa di meno? Oggi
appena il 51% dei francesi ritiene che lo Stato dovrebbe togliere
qualcosa ai ricchi per darlo ai poveri; quindici anni fa erano il
63%.
Il mercato globale sembra
arricchire una minoranza. Tuttavia l’azione dello Stato, se guidata
dalla sinistra, può apparire vantaggiosa solo a una differente
élite. Di qui il populismo. In Francia, una buona quota del 51%
ostile ai ricchi vota Marine Le Pen. Ovunque è in voga la polemica
contro gli «esperti», anche quando non collegabili alla sinistra,
come la Banca d’Inghilterra a proposito della Brexit.
Intanto in Italia
D’altra parte una
sinistra «bramina», votata da tutte le fasce di reddito, non sa se
occorra premiare merito e iniziativa oppure puntare ancora
sull’eguaglianza. In Italia, basta guardare le giravolte dei
governi a guida Pd sull’istruzione: prima con la «Buona scuola»
si promette di incentivare i migliori, poi per contrastare la perdita
di consensi si sceglie una ministra vicina ai sindacati.
Benché la destra soffra
dilemmi analoghi, tipo la scelta tra prezzi bassi del supermercato e
sopravvivenza del bottegaio, a Piketty preme la sorte della sinistra.
Dal suo lavoro alcuni, come l’economista turco-americano Dani
Rodrik, concludono che bisogna tornare alle ricette egualitarie
tradizionali. I risultati elettorali di Leu in Italia o della Linke
in Germania non incoraggiano; Piketty ribatte suggerendo una nuova
sintesi tra egualitarismo e internazionalismo.
Intanto le carte della
politica continuano a rimescolarsi, seppure con soluzioni delle quali
è arduo prevedere la stabilità: Emmanuel Macron va oltre destra e
sinistra puntando sul merito e sugli esperti, i Cinque Stelle cercano
un opposto finora non chiaro. La mutazione continua, chissà verso
dove.
“La Stampa”,19 aprile
2018
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