Nei
testi sulla stregoneria apparsi tra la fine del Medioevo e il secolo
dei Lumi si legge sovente il termine «sabba». Pare sia comparso la
prima volta durante i processi di Carcassonne del 1318; nel
Quattrocento, comunque, si diffuse. Di che si tratta? Evitiamo
l'etimologia per dire semplicemente che era un convegno al quale
partecipavano adepte di Satana. Tali donne, le streghe, dopo aver
stabilito un patto con il signore delle tenebre per ottenere favori e
poteri, si sarebbero ritrovate di notte in luoghi convenuti per
compiervi riti orgiastici (sorta di antidoto blasfemo a quelli
cristiani); in particolare si credeva che si unissero carnalmente al
maligno. Esseri umani dai poteri magici – stando a quel che si
legge nel famigerato Malleus maleficarum del 1487 – giungevano in
volo cavalcando un animale, un bastone, una panca: nel luogo
stabilito le attendeva il demonio, sovente nelle sembianze di un
capro. Le streghe gli rendevano omaggio con l'«osculum infame».
Fermiamoci a questo «bacio spudorato», giacché il resto della
scena – secondo libri quali il Formicarius del 1475 o De lamiis et
phitonicis mulieribus del 1489 – riguarderebbe parodie della messa,
bestemmie, profanazione di ostie e irriverenze contro cose benedette.
«Osculum
infame»: ci sono testimonianze del particolare bacio offerto alla
regione sacrale del demonio già all'inizio del XII secolo (nel testo
prototeatrale Ludus Theophili), le tracce della pratica si perdono
soltanto alla fine del Seicento. Ne parlano documenti ufficiali della
curia pontificia o si ritrova nelle «Chansons de geste», eccolo
raffigurato nei manuali dell'Inquisizione; si immaginava come lo
illustrano una scultura nello stallo del portale della cattedrale di
Troyes o una xilografia di inizio Seicento nel Compendium maleficarum
di frate Francesco Maria Guazzo. L'autore di quest'ultima opera era
caro a Federico Borromeo, il cardinale de I Promessi Sposi: durante
il suo episcopato a Milano si accesero nove roghi nei quali
bruciarono altrettante disgraziate. Sono semplici cenni. Nella
vicenda del legnaiolo geloso (e becco) dei Racconti di Canterbury di
Chaucer si legge una deliziosa perifrasi: la bella Alison concede un
bacio al chierico Assalonne, suo eterno spasimante, porgendogli il
fondoschiena da una finestra. Il poverino non si accorgerà subito
dell'inganno e Chaucer ne approfitta per ricordare che «baciò a lei
l'occhio di dietro», sostituendo il volto al sedere. Altro si trova
nei versi del trovatore provenzale Arnaut Daniel e altro ancora nella
leggenda di Faust. Giunge sino a noi, pur escludendo la pornografia,
come provano alcuni fotogrammi del film di Benjamin Christensen Häxan
(1922); di certo non si spiegherebbe, senza ricorso all'«osculum
infame», l'attività del gruppo Folk belga «Kiss the Anus of a
Black Cat» che nel 2012 ha pubblicato l'album Weltuntergangsstimmung
con musiche che evocano, appunto, l'atmosfera della fine del mondo.
Questa
storia infinita l'ha ricostruita una filologa romanza, Pantalea
Mazzitiello, nel libro Il bacio spudorato, prefato da Franco Cardini.
È una ricerca condotta tra testi irriverenti e cerimonie simili a
“messe rovesciate”, cercando le mille attinenze e le
contaminazioni che ebbe la pratica, i suoi significati simbolici, le
trasformazioni.
Si
scopre, tra l'altro, che tra il sabba e il carnevale sussiste un
nesso, giacché entrambi sono «movimenti verso il basso»: il primo
«non porta a una nuova vita, bensì all'altra vita, quella
dell'aldilà»; il secondo conduce alla rinascita e al rinnovamento,
«alla festosità per gli aspetti corporali e terreni, sfogando le
tensioni insite nella rigidità sociale che vige tutto l'anno».
La
maschera, grazie al suo aspetto innaturale, rompe i legami tra l'uomo
e il mondo e consente un viaggio tra due realtà opposte. Arlecchino,
per esempio, prima di essere il personaggio burlesco della commedia
borghese, giunge dal mondo infernale. La sua apparizione
nell'Historia ecclesiastica del monaco inglese Orderico Vitale (XII
secolo), lo mostra come un «selvaggio condottiero della schiera dei
morti senza pace»; Dante parla di Alichino, uno dei diavoli della
quinta bolgia (canti XXI e XXII dell'Inferno) il cui nome deriverebbe
da Hellequin, Harlekin: gli elementi grotteschi, già nella Commedia,
si evolveranno trasformandolo.
L'«osculum
infame» nella letteratura contemporanea italiana è stato reso,
dagli anni Sessanta, con il volgare e laico «leccaculo». Lo
testimoniano Gadda e Bassani tra i primi. In tal caso è superflua
ogni chiosa. Gli esempi sono troppi.
“Il
Sole 24 Ore Domenica”, 1 marzo 2015
Nessun commento:
Posta un commento