17.4.18

Pino Donaggio: un po’ d’amore, tanta paura (Ranieri Polese)

Pino Donaggio: "Da ragazzo avevo un sogno: diventare violinista"

«Avevo un sogno negli anni di conservatorio, diventare un grande violinista, un solista richiesto dai teatri di tutto il mondo. Il destino ha deciso diversamente». Al telefono, dalla sua casa di Venezia, Pino Donaggio racconta a “la Lettura” le svolte della sua vita, dalla musica classica a Sanremo, dal Festival al cinema. Domenica 15 aprile riceverà il Premio Ubi Banca Milano per la Musica, un riconoscimento che dal 1991 è stato attribuito ad artisti come Carlo Maria Giulini, Lorin Maazel, Salvatore Accardo, Ennio Moricone, Carla Fracci, Riccardo Chailly. Quest’anno, al Festival di Sanremo, Donaggio era il presidente della Giuria degli esperti. Sempre a Sanremo, nel 2015, aveva ricevuto il Premio alla carriera.

Cominciamo da Sanremo, dove tutto ebbe inizio.
«Era il 1961, avevo mandato alla selezione una canzone, Come sinfonia; fu ammessa al concorso. Io volevo che a cantarla fosse Mina, ma aveva già due canzoni e il regolamento non ne permetteva di più. Mina mi disse: Cantala tu. Io provo. Per il direttore artistico Ezio Radaelli va bene. E così cominciò la mia carriera come cantante e autore».

Come sinfonia ebbe subito un grande successo. Però allora non scriveva solo canzoni diciamo così «sinfoniche».
«Certamente no, c’era un twist, Giovane giovane, e motivi pop come Il cane di stoffa, Villaggio sul fiume, Pera matura».

Dieci volte a Sanremo come autore e interprete, più due solo come autore, ma l’anno più importante è il 1965, l’anno di Io che non vivo (senza te).
«Sì, e anche lì giocò il destino. La cantante inglese Dusty Springfield, che partecipava al Festival ma non arrivò in finale, ascoltò la canzone, le piacque e al ritorno in Inghilterra ne chiese i diritti. L’anno dopo, nell’edizione in inglese, You Don’t Have to Say I Love You vendette milioni di dischi in tutto il mondo».

Anche Elvis Presley volle cantarla. A tutt’oggi si calcolano 70-80 milioni di copie vendute.
«Non lo so, ho smesso di contarle».

Lei scriveva sempre anche le parole delle sue canzoni. Per Io che non vivo invece il testo è di Vito Pallavicini.
«Era un momento in cui avevo molti impegni, così chiesi le parole a Pallavicini, grandissimo autore di testi. Negli anni Sessanta c’erano lui e Mogol. Si dividevano le cover: Mogol traduceva dall’inglese, Pallavicini dal francese. Poi Mogol incontrerà Battisti e insieme daranno vita a un’incredibile stagione creativa. Pallavicini non ha avuto un Battisti, però ha scritto Azzurro».

Tra le canzoni presentate a Sanremo ce n’è qualcuna che secondo lei meritava di più?
«Sì, Motivo d’amore, del 1964. Quell’anno ero in una buona accoppiata, con Frankie Avalon. Il testo era mio. C’è un verso della canzone che mi piaceva molto, pensavo facesse effetto: “Io ti ringrazio perché te ne vai”. Invece la canzone passò quasi inosservata».

All’inizio degli anni Settanta c’è un’altra svolta. Anche qui c’entra il destino?
«Senz’altro. Era il 1973, a Venezia. Stavano girando un film, Don’t Look Now (in Italia diventò A Venezia... un dicembre rosso shocking), con Donald Sutherland e Julie Christie. Il regista era l’inglese Nicolas Roeg, che ancora non aveva trovato le musiche. Bene, una notte, mentre tornavo da una serata, su un vaporetto mi nota uno dei produttori italiani del film. Mi riconosce, e pensa che l’avermi incontrato su quel vaporetto sia un segno del destino. Così mi cerca, parliamo e lui mi chiede se voglio scrivere le musiche per quel film. È un lavoro per me sconosciuto, però decido di provare. Il risultato piace, e la mia prima colonna sonora vincerà quell’anno un premio».

Scrivere musiche per film, per lei, era un po’ come tornare alle composizioni classiche, per orchestra.
«Nel 1975, Brian De Palma stava cercando la musica per Carrie, pensava a Bernard Herrmann, il compositore che aveva firmato i capolavori di Hitchcock, Psycho, Vertigo, La donna che visse due volte, L’uomo che sapeva troppo. De Palma e Herrmann avevano già lavorato insieme, ma in quel momento il musicista era impegnato con Martin Scorsese, per Taxi Driver: quella fu la sua ultima partitura, morì infatti nel dicembre del 1975. Ma ecco di nuovo il caso, o meglio, il destino: un amico di De Palma, a Londra, vede Don’t Look Now e rimane impressionato dalla mia musica. Compra l’Lp e glielo manda. E De Palma si fa proiettare il film di Nicolas Roeg. Mi chiama, vuole che vada in America, a Los Angeles. Arrivo e sono ospite in casa sua, dormo nel suo studio. Io non parlavo inglese, ma il montatore dei film di Brian, Paul Hirsch, figlio di un diplomatico americano che aveva vissuto a Roma, ci fa da interprete. A De Palma piace l’impiego degli archi che ho usato nel film di Roeg, gli ricorda lo stile di Herrmann. Mi fa vedere e rivedere Carrie e mi mostra i momenti dove va la musica. Comincio a comporre i temi».

Dal 1975 a oggi – in questi giorni Donaggio registra la musica per il nuovo film di De Palma, Domino – regista e compositore hanno lavorato insieme in otto film («Sempre e solo per “film di paura”», dice Donaggio). Per tanto tempo, prima dell’evoluzione della rete, il rapporto era piuttosto complicato.
«Sì, io vedevo il film a Los Angeles, tornavo a Venezia a comporre, registravo le musiche e tornavo a Los Angeles. Solo allora De Palma ascoltava la musica del suo film, c’era un effetto sorpresa che rendeva tutto molto particolare. De Palma si affidava a me, e mi dava molto tempo per scrivere. Non come spesso succede oggi, in Italia per esempio, che si chiede la musica all’ultimo minuto e ti mettono una fretta tremenda. Anche perché comporre musica per film non è come scrivere una canzone».

Tra i film di De Palma che lei ha musicato, per molti il capolavoro è Dressed to Kill Vestito per uccidere – del 1980, un omaggio ad Alfred Hitchcock e al suo Vertigo.
«Sì, la sequenza della visita al museo cita la visita al museo di Kim Novak nel film di Hitchcock. Ma non c’è solo quella scena... Per quel che riguarda la musica, anch’io mi sono ispirato alla partitura di quel film, firmata da Herrmann. I violini soprattutto... La sequenza del museo è molto importante per me. Perché non ci sono parole, solo le immagini e la musica. De Palma non usa mai tante parole, lascia parlare le immagini e la musica. Per questo mi piace lavorare con lui».

Carrie, Vestito per uccidere, Blow Out di De Palma. Ma nella sua filmografia troviamo anche Dario Argento (Zombie), Joe Dante (Piranha, L’ululato) e un gotico Pupi Avati, L’arcano incantatore. Lei, Donaggio, ha una predilezione per il thriller, l’horror?
«Io non sono solo il musicista dei “film di paura”: ho scritto musiche per commedie, film comici, serie tv come Don Matteo. Però nei thriller, negli horror la musica diventa un elemento fondamentale: nelle scene spaventose, di tensione, di suspense, non ci sono dialoghi, solo immagini e musica. È qui che la musica diventa importante, perché deve prendere lo spettatore e accompagnarlo, spingerlo fino al momento in cui resterà scioccato».

“la Lettura – Corriere della Sera”, 8 aprile 2018

Nessun commento:

statistiche