Giovanni Serbandini, nome
di battaglia “Bini”, fu partigiano sui monti della Liguria,
direttore dell'edizione ligure de “l'Unità” e deputato
comunista. (S.L.L.)
Giovanni Serbandini |
E quando non potremo più
andare
per la vecchiaia o i
malanni
su questo monte ci faremo
portare
a dorso di mulo.
Batterà il cuore,
con l'ansia della prima
azione
tentata quasi senz'armi,
al riconoscere nell'aria
pulita
le foglie che allora ci
salvarono,
le cime e i paesi
familiari
con i distaccamenti
usciti più forti
nonostante Alexander
dai rastrellamenti
invernali.
E se, risuonando
il nostro nome
partigiano,
una mano ci stringerà
scura di fatica,
la vedremo in ogni casa
contadina
spartire con noi la
minestra,
indicarci la strada o il
nemico,
una rude carezza passare
sul collo del mulo
tornato
all'alba nel paese
distrutto
scappando ai predoni
fascisti.
Il vento scuoterà le
fronde
come bandiere e i volti
riappariranno - giovani
volti
dalle ferite segnati
e più dalla
consapevolezza -
di Beppe, Cialacche,
Berto, Pinan
e degli altri che
dissero:
"Solo mi dispiace
di non poterci essere
alla battaglia finale".
Eppure con loro scendemmo
bloccate le strade al
nemico,
e già con il loro nome
si chiamavano nelle
fabbriche
nelle strade i fratelli
insorti a migliaia con
l'arma in pugno.
Soprattutto a loro
il generale tedesco si
arrese
quel venticinque
d'aprile.
Se dunque più dei
malanni
o della morte ci pesa
l'ipocrisia dominante,
oh non temete:
questo abbiamo fatto
e questo resterà
luminoso come il sole
sulle foglie del monte.
Da Poesie Partigiane,
Guanda, 1961
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