Swinging Palermo è
un libro ricco e complesso. Ne è autore Piero Violante, uno degli
intellettuali più colti, versatili, aperti e moderni che la Palermo
del secondo Novecento abbia prodotto. Politologo e musicologo,
docente universitario, giornalista, animatore di iniziative
innovative, Violante ha raccontato in questo libro la vita culturale
della sua città dalla fine degli anni Cinquanta agli anni Ottanta.
Ma
Swinging Palermo è
anche tante altre cose.
È
un romanzo di formazione intellettuale, per esempio, in cui ha un
ruolo centrale quello che per convenzione chiamiamo Sessantotto, ma
che comincia qualche anno prima e si chiude qualche anno dopo.
Ed
è anche la storia di una sconfitta: la sconfitta di quella che Piero
Violante chiama la “classe dirigente d'opposizione”, e cioè di
quei palermitani e siciliani, di nascita o anche d'elezione, maestri
di libertà di pensiero e di cultura critica che - in vari campi,
per varie vie e in vari modi - tentarono di cambiare i rapporti di
potere, il volto, la vita culturale e la realtà quotidiana della
capitale e di tutta l'isola.
Sono
certo che il lettore intelligente, specie se informato dei fatti o di
alcuni tra essi, troverà altre chiavi di interpretazione del libro,
altri percorsi. Per invogliarlo “posterò” in questo blog qualche
brano di Swinging Palermo.
Quello che segue, per esempio, è un breve resoconto della mattanza
di dirigenti e militanti del movimento contadino compiuta dalla mafia
negli anni dell'immediato dopoguerra. La vicenda – terribile –
tende anche a sfatare la leggenda di una inguaribile rassegnata
passività dei siciliani. (S.L.L.)
L'immagine di Placido Rizzotto in un manifesto (2016) |
A
quanti fanno della passività siciliana, o dell'"incivisme",
un dato antropologico è necessario opporre biografie affatto
passive, perché il dato antropologico riveli quel che è: una
sconfitta politica.
Ai
carabinieri e alla polizia, ma anche ai giudici, non piaceva, ad
esempio, l’idea che un sindacalista o un dirigente politico o
peggio un contadino fosse ammazzato per motivi politici. A partire
dal ’44, ma sino agli anni Ottanta, cercavano altre piste. Il
gallismo siciliano faceva allusione ad un sempre impellente cherchez
la femme come movente del
delitto; e in mancanza di quest’oggetto pruriginoso, si ripiegava
sui rancori che, si sa, sono perenni; o su questioni di interesse.
Insomma tutto fuorché la politica. Anche se i morti ammazzati
dinanzi le porte di casa o nelle stradelle di campagna erano uomini
che appartenevano alle organizzazioni operaie e spendevano
letteralmente la vita per l’affermazione dei diritti dei contadini
a partire dai decreti Gullo del ’44, seguiti dalla riforma agraria
che bene o male, en rétard
portò la Sicilia fuori dall’Ancien régime.
Era il 1950.
Non
piaceva ai carabinieri e alla polizia che quei morti ammazzati
fossero poi gente per bene. Nei loro rapporti affermavano che erano
dei poco di buono e che la loro condotta era al limite del codice
penale. Esemplare è il caso di Andrea Raia, assassinato a
Casteldaccia il 5 agosto 1944. «La voce comunista» il 12 agosto
scrive che «il compagno Raia è stato assassinato perché
organizzatore comunista e perché membro attivo e intelligente del
comitato di controllo ai granai del popolo».
Per
i carabinieri - così ricorda Salvo Riela, avvocato per decenni del
Comitato di solidarietà democratica già istituito nel ’48 con
Varvaro, Taormina, Nino Sorgi - Raia era «irascibile, linguacciuto,
minaccioso se pure non pericoloso, alticcio, un noto donnaiolo, con
una moglie che non era stata “parca” di favori a persone
sconosciute (sic) di Casteldaccia». Così si legge nel rapporto dei
carabinieri del 10 settembre del ’44. E il profilo che scrivono
cerca di contrastare le asserzioni della «Voce Comunista» e
soprattutto d’invalidare «la propaganda comunista voluta dagli
speculatori politici». Per i carabinieri Raia era un criminale e un
contrabbandiere, anche se poi nello stesso rapporto si afferma che
era popolarissimo e stimato a Casteldaccia e che al suo funerale
partecipò tutto un popolo come non mai. Questo si legge negli atti
che Riela ha voluto donare all’Istituto Gramsci Siciliano insieme
agli atti processuali che ripetendo lo stesso schema interpretativo
riguardano gli assassini di Nicasio Curcio (Ficarazzi, 1945),
Agostino D’Alessandria (Ficarazzi, 1945), le vittime della strage
di Portella della Ginestra (1 maggio 1947), Giuseppe Casarrubea
(Partinico, 1947), Vincenzo Lo Iacono (Partinico, 1947), Calogero
Caiola (San Giuseppe Jato, 1947), Pietro Macchiarella (Villabate,
1947), l’attentato alla sezione del Pci dell’Uditore (Palermo,
1947), Michelangelo Salvia e Leonardo Salvia (Partinico, 1947),
Giuseppe Maniaci (Terrasini, 1947), Placido Rizzotto (Corleone,
1948), Salvatore Carnevale (Sciara, 1955), Vincenzo Leto
(Campofiorito, 1956), Vincenzo Di Salvo (Licata, 1958).
Nel
volume Placido Rizzotto e altri caduti per la libertà
contro la mafia (a cura di
Michele Figurelli, Linda Pantano e Vincenza Sgrò, Palermo, 2012),
Salvo Riela scrive che dalle carte processuali emerge inadeguatezza
investigativa e culturale, funzionale ad una lettura che trova
concorde la magistratura. Minimizzando le forze dell’ordine e
assolvendo i giudici si garantiva la permanenza di un blocco sociale
violento e reazionario e la crescita della mafia come ente privato di
protezione. Dal ’44 agli anni Sessanta i morti di sindacalisti e
politici superano i cinquanta. Una «scanna» che diviene collettiva
a Portella della Ginestra. Quegli spari ci hanno per sempre abbrunito
il Primo Maggio. L’assassinio di Pio La Torre, segretario regionale
del Pei, poi, alla vigilia del primo maggio 1982, sembra obbedire
negli esecutori ad una logica perversa che ribadisce la negazione del
Primo Maggio come festa identitaria. Di questa violenta sottrazione e
delle sue conseguenze nella sinistra siciliana non ne siamo ancora
venuti a capo. Non solo, ma a distanza di 65 anni non è divenuto un
valore condiviso il fatto che le vittime della resistenza contadina
siciliana debbano essere considerate martiri rimossi della
costruzione della democrazia italiana. Altro che incivisme
o passività rinunciataria. Dopo Portella il sole dell'avvenire è il
sole nero della malinconia.
Swinging Palermo,
Sellerio Editore, 2015
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