Vittoria Colonna a un ballo di beneficenza (1898 |
La più appassionata
lettera di un amour fou rimasto segreto per quasi un secolo è
datata 7 agosto 1916. Soldato di stanza a Verona nel 29° Artiglieria
di campagna, il pittore futurista Umberto Boccioni scrive alla
principessa romana Vittoria Colonna di Sermoneta, moglie di Leone
Caetani principe di Teano, in vacanza sul Lago Maggiore nella
suggestiva quiete dell’Isolino di San Giovanni, la più piccola
delle Borromee: «Quello che c’è tra noi è una profonda realtà,
è nato come realtà. Per quanto poco prima ci siamo conosciuti poi
simpatizzato, poi... poi c’è il nostro segreto quel meraviglioso
crescendo che ci ha condotto di castità in castità alla nostra
casta voluttà! Oh! Le nostre notti! Il tuo pallore, il tuo
smarrimento, il mio terrore la nostra infinita comunione di corpo e
di spirito. Divina Mia, lo sento che mi vuoi bene, un po’ di bene,
un po’ più di quando me lo misuravi con il ditino... Rammenti?
Come sono tuo! Come ti sono fratello e amico, come ti ammiro, sempre,
ad ogni respiro, sempre! Sempre!».
Amore e morte. È la
storia di una passione bruciata dal destino in poche settimane:
Boccioni, ospite nella villa sul lago dei marchesi Casanova per
ritrarre il maestro Ferruccio Busoni, aveva incontrato la principessa
il 6 giugno. «Un intervallo luminoso» (scriverà lei); un sogno
impossibile consumato tra pergolati di rose e soffici «cuscini
futuristi» nel fascino segreto e assai passatista dell’Isolino che
i Borromeo affittavano ai Caetani per 5 mila lire l’anno. Rifugio
anche estetico, lontano dallo sfarzo barocco dei palazzi romani per
Vittoria, 35 anni, dama di bellezza e gran stirpe, dalle eccelse
frequentazioni mondane nella Belle Epoque (corteggiata da Edoardo VII
e dal giovane Winston Churchill, sommersa da casse di orchidee
inviate dall’Aga Khan), con solo il Veronal per placare i fantasmi
di una «vita scucita ed errante» con un matrimonio alla deriva e un
unico figlio malato.
Boccioni soldato nel 1916 a Verona |
Sensuale, magnetico,
geniale e spiantato, Boccioni a 33 anni è un interventista deluso
(nel 1915 con altri futuristi si era arruolato nel Battaglione
lombardo dei Volontari ciclisti), un artista in tormentata ricerca di
un linguaggio nuovo: «Vi ho incontrato in un momento di crisi nei
metodi, negli amici, in tutto!». S’innamorano, Vittoria e Umberto,
in quell’estate di guerra che decimava nel fango e nel sangue
un’intera generazione. «Spenta la speranza immediata di un mondo
sfavillante, ottimista e tecnologicamente avanzato (il grande sogno
dei futuristi), non restava che il presente, con la sua fragile e
complessa umanità», scrive Marella Caracciolo Chia in Una
parentesi luminosa (dal 7 maggio in libreria per Adelphi),
l’affascinante storia dell’amore segreto fra Umberto Boccioni e
Vittoria Colonna in un mirabile affresco, per cura e ricerca anche di
profumi e dettagli, di un’epoca di perduta memoria e fascino.
Inizialmente Marella
Caracciolo era stata incuriosita dalla parabola di Leone Caetani,
l’aristocratico d’immensa fortuna (il feudo di famiglia
s’estendeva per migliaia di ettari nella Pianura Pontina), stimato
accademico dei Lincei (gli Annali dell’Islam, l’opera più
apprezzata), politico riformista (nel 1911, in Parlamento, si era
battuto contro l’annessione della Libia) che nel 1921 avrebbe
lasciato tutto per rifugiarsi a Vernon (Canada occidentale) con una
giovane donna e la loro bambina: per anni aveva invano cercato in
molti archivi e fino in Canada le lettere tra il principe
orientalista e Vittoria. Nell’autunno 2006, la scoperta. Prospero
Colonna, nipote di un cugino della principessa, parla a Marella di un
baule di lettere di Vittoria che ha da poco ritrovato e mandato alla
Fondazione Cateani, in via delle Botteghe Oscure. «Sembra
incredibile. Quello che avevo tanto cercato era in un palazzo nel
cuore di Roma», dice l’autrice di Una parentesi luminosa,
che tra migliaia di lettere scritte da Vittoria al marito in
vent’anni di matrimonio (divise per anno, legate da un nastro color
pervinca), inviti a feste e balli, ritrova il carteggio, 19 lettere,
tra la principessa e l’artista.
Nel plico, legato da un
pezzo di corda, ci sono anche foto della principessa all’Isolino e
del pittore nel suo studio, un pezzo di stoffa, un ritaglio di
giornale. Molto più che una semplice trama d’amore. A Vittoria il
pittore descrive i contadini mandati in trincea, l’ignoranza dei
sergenti, il rimpianto per quei giorni sul lago («Vedo i lumi di
Stresa, il Mottarone e le isole addormentate. Vedo verde e azzurro!
Sono i colori della mia pittura»). Intimità, illusioni. Il 17
agosto 1916, Umberto Boccioni muore per una banale caduta da cavallo;
nel suo portafoglio l’ultima lettera, datata 6-7 agosto,
dell’amante.
Mentre Leone è al
fronte, la principessa, sfidando ogni convenienza, ha ospitato per
una settimana Boccioni all’Isolino. Ora teme uno scandalo. Racconta
all’artista che una cartolina «troppo buffa» speditale da Giacomo
Balla (Boccioni l’aveva conosciuto a Roma, all’inizio del secolo)
era stata intercettata dalla suocera, Ada Caetani, già sospettosa di
una nuora che giudicava «terribilmente fast», di facili costumi,
incapace di dare un erede sano (nel 1901 le nozze tra Leone e
Vittoria avevano segnato la pace dopo 400 anni tra i due potenti
casati). Poi, solo silenzio. Gli ultimi giorni di Boccioni sono
segnati dal tormento. «Non ho neanche la forza di stare a cavallo...
In che cosa ho mancato?», le chiede l’artista. «Anima a balzi»,
dirà di lui Filippo Tommaso Marinetti. «Sensibilità vulcanica.
Piena inondante di un fiume geniale». Anni prima Umberto Boccioni
aveva scritto: «Io credo all’amore come un’idea assoluta che si
integra con il salto nell’infinito...».
Quel 17 agosto, ancora
ignara della tragedia e della posta mai arrivata al «soldato
lontano», la principessa Colonna lo rassicura dei suoi sentimenti;
spedisce personalmente la lettera invece di affidarla al precettore
di casa Cateani. Troppo tardi. «Sulla busta che ancora la contiene
troviamo le parole "Arrivata dopo la sua morte"», scrive
Marella Caracciolo. Il 19 agosto, Vittoria Colonna legge sul giornale
la notizia della morte; va a Milano e riempie lo studio di Boccioni,
a porta Romana, di fiori dell’amato Isolino. È un amico di
Boccioni a recuperare le sue lettere. Vittoria Colonna muore nel
1954; a un cugino fidato lascia un baule chiuso a chiave con la
disposizione di non aprirlo prima di 50 anni.
Amore romantico, amore
mai svelato; unico indizio, dei fiori. Moglie di un artista di fama,
Sandro Chia, Marella Caracciolo di Castagneto scrive: «Nelle mostre
e nei cataloghi postumi dedicati a Umberto Boccioni troviamo spesso
delle foto del suo studio milanese. Sono state scattate dopo la sua
morte. Nelle stanze, bianche e luminose, notiamo la presenza di fiori
secchi appoggiati qua e là sui tavoli, sui cavalletti e sulle ultime
sculture in gesso, molte delle quali sono andate perdute. Oggi
sappiamo che quei fiori provenivano dall’Isolino. Che li aveva
portati Vittoria in un ultimo gesto di tenerezza per il suo giovane
amante».
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