27.5.18

9 settimane e mezzo in stile Belle Epoque. Umberto Boccioni e Vittoria Colonna, un amore breve e segreto (Chiara Beria Di Argentine)

Vittoria Colonna a un ballo di beneficenza (1898

La più appassionata lettera di un amour fou rimasto segreto per quasi un secolo è datata 7 agosto 1916. Soldato di stanza a Verona nel 29° Artiglieria di campagna, il pittore futurista Umberto Boccioni scrive alla principessa romana Vittoria Colonna di Sermoneta, moglie di Leone Caetani principe di Teano, in vacanza sul Lago Maggiore nella suggestiva quiete dell’Isolino di San Giovanni, la più piccola delle Borromee: «Quello che c’è tra noi è una profonda realtà, è nato come realtà. Per quanto poco prima ci siamo conosciuti poi simpatizzato, poi... poi c’è il nostro segreto quel meraviglioso crescendo che ci ha condotto di castità in castità alla nostra casta voluttà! Oh! Le nostre notti! Il tuo pallore, il tuo smarrimento, il mio terrore la nostra infinita comunione di corpo e di spirito. Divina Mia, lo sento che mi vuoi bene, un po’ di bene, un po’ più di quando me lo misuravi con il ditino... Rammenti? Come sono tuo! Come ti sono fratello e amico, come ti ammiro, sempre, ad ogni respiro, sempre! Sempre!».
Amore e morte. È la storia di una passione bruciata dal destino in poche settimane: Boccioni, ospite nella villa sul lago dei marchesi Casanova per ritrarre il maestro Ferruccio Busoni, aveva incontrato la principessa il 6 giugno. «Un intervallo luminoso» (scriverà lei); un sogno impossibile consumato tra pergolati di rose e soffici «cuscini futuristi» nel fascino segreto e assai passatista dell’Isolino che i Borromeo affittavano ai Caetani per 5 mila lire l’anno. Rifugio anche estetico, lontano dallo sfarzo barocco dei palazzi romani per Vittoria, 35 anni, dama di bellezza e gran stirpe, dalle eccelse frequentazioni mondane nella Belle Epoque (corteggiata da Edoardo VII e dal giovane Winston Churchill, sommersa da casse di orchidee inviate dall’Aga Khan), con solo il Veronal per placare i fantasmi di una «vita scucita ed errante» con un matrimonio alla deriva e un unico figlio malato.
Boccioni soldato nel 1916 a Verona
Sensuale, magnetico, geniale e spiantato, Boccioni a 33 anni è un interventista deluso (nel 1915 con altri futuristi si era arruolato nel Battaglione lombardo dei Volontari ciclisti), un artista in tormentata ricerca di un linguaggio nuovo: «Vi ho incontrato in un momento di crisi nei metodi, negli amici, in tutto!». S’innamorano, Vittoria e Umberto, in quell’estate di guerra che decimava nel fango e nel sangue un’intera generazione. «Spenta la speranza immediata di un mondo sfavillante, ottimista e tecnologicamente avanzato (il grande sogno dei futuristi), non restava che il presente, con la sua fragile e complessa umanità», scrive Marella Caracciolo Chia in Una parentesi luminosa (dal 7 maggio in libreria per Adelphi), l’affascinante storia dell’amore segreto fra Umberto Boccioni e Vittoria Colonna in un mirabile affresco, per cura e ricerca anche di profumi e dettagli, di un’epoca di perduta memoria e fascino.
Inizialmente Marella Caracciolo era stata incuriosita dalla parabola di Leone Caetani, l’aristocratico d’immensa fortuna (il feudo di famiglia s’estendeva per migliaia di ettari nella Pianura Pontina), stimato accademico dei Lincei (gli Annali dell’Islam, l’opera più apprezzata), politico riformista (nel 1911, in Parlamento, si era battuto contro l’annessione della Libia) che nel 1921 avrebbe lasciato tutto per rifugiarsi a Vernon (Canada occidentale) con una giovane donna e la loro bambina: per anni aveva invano cercato in molti archivi e fino in Canada le lettere tra il principe orientalista e Vittoria. Nell’autunno 2006, la scoperta. Prospero Colonna, nipote di un cugino della principessa, parla a Marella di un baule di lettere di Vittoria che ha da poco ritrovato e mandato alla Fondazione Cateani, in via delle Botteghe Oscure. «Sembra incredibile. Quello che avevo tanto cercato era in un palazzo nel cuore di Roma», dice l’autrice di Una parentesi luminosa, che tra migliaia di lettere scritte da Vittoria al marito in vent’anni di matrimonio (divise per anno, legate da un nastro color pervinca), inviti a feste e balli, ritrova il carteggio, 19 lettere, tra la principessa e l’artista.
Nel plico, legato da un pezzo di corda, ci sono anche foto della principessa all’Isolino e del pittore nel suo studio, un pezzo di stoffa, un ritaglio di giornale. Molto più che una semplice trama d’amore. A Vittoria il pittore descrive i contadini mandati in trincea, l’ignoranza dei sergenti, il rimpianto per quei giorni sul lago («Vedo i lumi di Stresa, il Mottarone e le isole addormentate. Vedo verde e azzurro! Sono i colori della mia pittura»). Intimità, illusioni. Il 17 agosto 1916, Umberto Boccioni muore per una banale caduta da cavallo; nel suo portafoglio l’ultima lettera, datata 6-7 agosto, dell’amante.
Mentre Leone è al fronte, la principessa, sfidando ogni convenienza, ha ospitato per una settimana Boccioni all’Isolino. Ora teme uno scandalo. Racconta all’artista che una cartolina «troppo buffa» speditale da Giacomo Balla (Boccioni l’aveva conosciuto a Roma, all’inizio del secolo) era stata intercettata dalla suocera, Ada Caetani, già sospettosa di una nuora che giudicava «terribilmente fast», di facili costumi, incapace di dare un erede sano (nel 1901 le nozze tra Leone e Vittoria avevano segnato la pace dopo 400 anni tra i due potenti casati). Poi, solo silenzio. Gli ultimi giorni di Boccioni sono segnati dal tormento. «Non ho neanche la forza di stare a cavallo... In che cosa ho mancato?», le chiede l’artista. «Anima a balzi», dirà di lui Filippo Tommaso Marinetti. «Sensibilità vulcanica. Piena inondante di un fiume geniale». Anni prima Umberto Boccioni aveva scritto: «Io credo all’amore come un’idea assoluta che si integra con il salto nell’infinito...».
Quel 17 agosto, ancora ignara della tragedia e della posta mai arrivata al «soldato lontano», la principessa Colonna lo rassicura dei suoi sentimenti; spedisce personalmente la lettera invece di affidarla al precettore di casa Cateani. Troppo tardi. «Sulla busta che ancora la contiene troviamo le parole "Arrivata dopo la sua morte"», scrive Marella Caracciolo. Il 19 agosto, Vittoria Colonna legge sul giornale la notizia della morte; va a Milano e riempie lo studio di Boccioni, a porta Romana, di fiori dell’amato Isolino. È un amico di Boccioni a recuperare le sue lettere. Vittoria Colonna muore nel 1954; a un cugino fidato lascia un baule chiuso a chiave con la disposizione di non aprirlo prima di 50 anni.
Amore romantico, amore mai svelato; unico indizio, dei fiori. Moglie di un artista di fama, Sandro Chia, Marella Caracciolo di Castagneto scrive: «Nelle mostre e nei cataloghi postumi dedicati a Umberto Boccioni troviamo spesso delle foto del suo studio milanese. Sono state scattate dopo la sua morte. Nelle stanze, bianche e luminose, notiamo la presenza di fiori secchi appoggiati qua e là sui tavoli, sui cavalletti e sulle ultime sculture in gesso, molte delle quali sono andate perdute. Oggi sappiamo che quei fiori provenivano dall’Isolino. Che li aveva portati Vittoria in un ultimo gesto di tenerezza per il suo giovane amante».

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