Giorgio Manganelli |
In uno dei suoi famosi
risvolti scrisse una volta Manganelli: «Dal punto di vista sindacale
è stato professore, giornalista, e autore iscritto alla Siae. Ha
scritto saggi e pseudoracconti di cui non mena alcun vanto; di tutto
il suo opus, è vanitoso, spesso in modo intollerabile, unicamente
dei suoi corsivi; talora li legge da solo, e ride». Era anche questo
un corsivo: su se stesso. La fisiologia (o meccanica) del corsivo
prevede uno sguardo «da fuori» rispetto alla società osservata,
uno straniamento percettivo da Persiano di Montesquieu (o da Marziano
flaianeo...) che, ingrandendo un dettaglio al quale i cittadini si
sono da tempo rassegnati, lo rende stupefacente, inopinato,
inaccettabile. E come lo «zio» al quale è dedicato uno di questi
corsivi, ora raccolti in Mammifero italiano: «un forestiero
consanguineo» che non parla, «ride soltanto». Lo scrittore di
corsivi è sempre comico (come esempio di sfrenatezza accumulatoria
si legga l'unico inedito, Patria, o, per ironia in punta di
lama, quello su Giorgio Almirante), è sempre un outsider (lunare la
visita a un congresso della Dc; serissimo invece il pezzo
sull'«essere ebrei» scritto all’indomani di Sabra e Chatila) ed è
sempre, per quanto preterintenzionalmente, uno scrittore civile.
La specificità che rende
unici quelli del Manga, scritti a raffica sulla “Stampa”, sul
“Corriere” e sul “Mondo” fra Anni Settanta e Ottanta - spiega
però Marco Belpoliti nella postfazione, «corsivamente» sfrecciante
di idee, a questa nuova raccolta (dopo le due curate dall'autore,
Lunario dell'orfano sannita e Improvvisi per macchina da
scrivere) -, è che lui non si tira mai fuori. Vero «forestiero
consanguineo», Manganelli guarda «da fuori» in primo luogo se
stesso. Per questo, dell'armamentario dei moralisti, gli manca il
dito alzato.
Si pensi a tutta
l'inesorabile requisitoria - squassante ancor oggi (od oggi più di
ieri) - contro la famiglia. Cita Orwell: «Quando si trova un coniuge
ammazzato, la prima persona inquisita è l'altro coniuge; questo la
dice lunga su quello che la gente pensa del matrimonio». È proprio
la microviolenza del quotidiano, «sadismo che si fonda sull'amore»,
che il Manga ingrandisce spietato con la sua lente verbale.
Ne risulta una macchina
per produrre «demenza», «figli schizofrenici». Non dice mai «io»,
il Manga, ma questo è un perfetto mémoir da seduta
psicoanalitica. E proprio il suo analista, il grande Ernst Bernhard,
gli ha insegnato a proiettare su scala ingrandita - spiega benissimo
Belpoliti - le perverse dinamiche familistiche. La società italiana
è amorale perché si fonda su un sistema di valori non ideologico
ma, appunto, famigliare. Cioè mafioso: «L'Italia […] non pare
interessata all'idea di una società giusta; essendo una società di
moltissimi deboli e pochi potenti, è una società di complici».
Il caso Tortora insegna:
«L'italiano non si stupisce se qualcuno viene arrestato, mai. Lo
trova naturale. Solo silenziosamente si stupisce di non essere lui,
l'arrestato». Ma quando trova un capro espiatorio in «una persona
in qualche modo nota», allora «prova una sorta di torbida letizia».
Teneva testa a
Pasolini
Quest'illuminismo
infelice, ritorto contro se stesso, ha ima matrice leopardiana. Non
può che essere antropologico, un Discorso sullo stato presente
dei costumi degli italiani. Ma retoricamente gli strumenti sono
altri, singolarmente simili a quelli del più celebrato corsivista di
quegli anni, lui sì col dito sempre in erezione: il Pasolini
«corsaro» e «luterano». Nella famosa polemica sull'aborto, il
Manga è l'unico che gli tenga testa (come gli scrisse ammirato, a
caldo, un Calvino che si mordeva la lingua). E può farlo perché usa
la sua stessa arma a doppio taglio: un combinato di ragionamento
paradossale, alla Swift, e argomentazione «seria», ancorché
iperbolica.
Contro il Pasolini che
rimemora la sua «felice immersione nelle acque materne», ecco
l'uno-due. Prima il paradosso comico: «che allora fossi felice,
chissà mai, senza nemmeno un libro da leggere». Poi il registro
serio: «Alcuni anni fa, mi accadde di assistere a un suicidio
nell'Aniene di una domestica: incinta; quando ero insegnante, una mia
allieva si gettò da un quarto piano: incinta; […] forse una
cultura che tratta da "puttana" la ragazza madre [...], che
garantisce una vita di disprezzo, di frustrazione, di irrisione, non
ha tutte le carte in regola per discutere della sacra vita».
Pasolini, quella volta, non replicò.
“Tuttolibri La Stampa”,
10 febbraio 2007
Nessun commento:
Posta un commento