27.5.18

I corsivi di Manganelli. Una lente spietata sul mondo (Andrea Cortellessa)

Giorgio Manganelli

In uno dei suoi famosi risvolti scrisse una volta Manganelli: «Dal punto di vista sindacale è stato professore, giornalista, e autore iscritto alla Siae. Ha scritto saggi e pseudoracconti di cui non mena alcun vanto; di tutto il suo opus, è vanitoso, spesso in modo intollerabile, unicamente dei suoi corsivi; talora li legge da solo, e ride». Era anche questo un corsivo: su se stesso. La fisiologia (o meccanica) del corsivo prevede uno sguardo «da fuori» rispetto alla società osservata, uno straniamento percettivo da Persiano di Montesquieu (o da Marziano flaianeo...) che, ingrandendo un dettaglio al quale i cittadini si sono da tempo rassegnati, lo rende stupefacente, inopinato, inaccettabile. E come lo «zio» al quale è dedicato uno di questi corsivi, ora raccolti in Mammifero italiano: «un forestiero consanguineo» che non parla, «ride soltanto». Lo scrittore di corsivi è sempre comico (come esempio di sfrenatezza accumulatoria si legga l'unico inedito, Patria, o, per ironia in punta di lama, quello su Giorgio Almirante), è sempre un outsider (lunare la visita a un congresso della Dc; serissimo invece il pezzo sull'«essere ebrei» scritto all’indomani di Sabra e Chatila) ed è sempre, per quanto preterintenzionalmente, uno scrittore civile.
La specificità che rende unici quelli del Manga, scritti a raffica sulla “Stampa”, sul “Corriere” e sul “Mondo” fra Anni Settanta e Ottanta - spiega però Marco Belpoliti nella postfazione, «corsivamente» sfrecciante di idee, a questa nuova raccolta (dopo le due curate dall'autore, Lunario dell'orfano sannita e Improvvisi per macchina da scrivere) -, è che lui non si tira mai fuori. Vero «forestiero consanguineo», Manganelli guarda «da fuori» in primo luogo se stesso. Per questo, dell'armamentario dei moralisti, gli manca il dito alzato.
Si pensi a tutta l'inesorabile requisitoria - squassante ancor oggi (od oggi più di ieri) - contro la famiglia. Cita Orwell: «Quando si trova un coniuge ammazzato, la prima persona inquisita è l'altro coniuge; questo la dice lunga su quello che la gente pensa del matrimonio». È proprio la microviolenza del quotidiano, «sadismo che si fonda sull'amore», che il Manga ingrandisce spietato con la sua lente verbale.
Ne risulta una macchina per produrre «demenza», «figli schizofrenici». Non dice mai «io», il Manga, ma questo è un perfetto mémoir da seduta psicoanalitica. E proprio il suo analista, il grande Ernst Bernhard, gli ha insegnato a proiettare su scala ingrandita - spiega benissimo Belpoliti - le perverse dinamiche familistiche. La società italiana è amorale perché si fonda su un sistema di valori non ideologico ma, appunto, famigliare. Cioè mafioso: «L'Italia […] non pare interessata all'idea di una società giusta; essendo una società di moltissimi deboli e pochi potenti, è una società di complici».
Il caso Tortora insegna: «L'italiano non si stupisce se qualcuno viene arrestato, mai. Lo trova naturale. Solo silenziosamente si stupisce di non essere lui, l'arrestato». Ma quando trova un capro espiatorio in «una persona in qualche modo nota», allora «prova una sorta di torbida letizia».

Teneva testa a Pasolini
Quest'illuminismo infelice, ritorto contro se stesso, ha ima matrice leopardiana. Non può che essere antropologico, un Discorso sullo stato presente dei costumi degli italiani. Ma retoricamente gli strumenti sono altri, singolarmente simili a quelli del più celebrato corsivista di quegli anni, lui sì col dito sempre in erezione: il Pasolini «corsaro» e «luterano». Nella famosa polemica sull'aborto, il Manga è l'unico che gli tenga testa (come gli scrisse ammirato, a caldo, un Calvino che si mordeva la lingua). E può farlo perché usa la sua stessa arma a doppio taglio: un combinato di ragionamento paradossale, alla Swift, e argomentazione «seria», ancorché iperbolica.
Contro il Pasolini che rimemora la sua «felice immersione nelle acque materne», ecco l'uno-due. Prima il paradosso comico: «che allora fossi felice, chissà mai, senza nemmeno un libro da leggere». Poi il registro serio: «Alcuni anni fa, mi accadde di assistere a un suicidio nell'Aniene di una domestica: incinta; quando ero insegnante, una mia allieva si gettò da un quarto piano: incinta; […] forse una cultura che tratta da "puttana" la ragazza madre [...], che garantisce una vita di disprezzo, di frustrazione, di irrisione, non ha tutte le carte in regola per discutere della sacra vita». Pasolini, quella volta, non replicò.

“Tuttolibri La Stampa”, 10 febbraio 2007

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