18.5.18

Edgar Allan Poe, vita, morte e mistero (Mario Picchi)


Il 3 ottobre 1849 Baltimora, terza città degli Stati Uniti, era in piena campagna elettorale. Si votava per mandare un rappresentante dello Stato del Maryland al Congresso: all'abituale frenesia che caratterizzava la vita cittadina nei settori caldissimi della speculazione, dei trasporti, della stampa (nuovi periodici nascevano e morivano a decine), si sommava quella provocata dalla lotta senza quartiere fra i due partiti, democratico e repubblicano (questo si chiamava ancora, all'inglese, "Whig"), condotta con metodi da far sembrare giochetti gli attuali brogli nostrani. Nel pomeriggio di quel mercoledì 3 ottobre, un tipografo del Baltimore Sun, di nome Joseph Walker, passava per High Street nei pressi del "Fourth Ward Club", sede della quarta sezione del partito Whig e dei suoi agenti elettorali, quando vide giacente sul marciapiede un uomo dagli abiti sporchi e laceri, in stato di estrema prostrazione fisica, ma anche di confusione mentale. Il tipografo riconobbe nei lineamenti decomposti dell' uomo lo scrittore, poeta e critico Edgar Allan Poe. Preso in cura al Washington College Hospital, il più moderno della città, lo scrittore morì nella notte fra il sabato e la domenica successivi: aveva quarant' anni e qualche mese.

Il "mostro" più grande
Col racconto di questa drammatica fine si apre la biografia-inchiesta che lo scrittore francese Georges Walter ha dedicato al più grande "mostro" che la letteratura americana, ancora ai suoi esordi, abbia prodotto. Inventore del racconto poliziesco, massimo esponente del racconto dell'orrore, progenitore, con il suo romanzo Gordon Pym (che diede lo spunto a Melville per Moby Dick), della fantascienza, giornalista e polemista implacabile, poeta squisito, d'una musicalità che nessuna traduzione, neppure quelle di Mallarmé, ha potuto rendere, infine autore d'un trattato di cosmogonia, Eureka, nel quale scienziati del nostro secolo hanno visto prefigurate chiaramente scoperte della fisica recente: queste le proverbiali benemerenze di Edgar Allan Poe. Il quale, oltre a questi primati ne vanta tuttavia un altro, di ordine biografico: quello d' essere stato, in vita, amato, e soprattutto odiato, con una furia che dopo la sua morte, anziché placarsi, si è ampliata ben oltre i confini della sua patria.
Autore di sei romanzi e di parecchie inchieste giornalistiche, Walter ha intitolato la sua biografia Enquete sur Edgar Allan Poe, poète américain (Inchiesta su Edgar Allan Poe, poeta americano, Flammarion), proprio per mettere subito in chiaro la portata del suo lavoro, che è non solo di fare il punto su una vita e una personalità particolarmente complesse. Il suo scopo è soprattutto di ricollocare la figura di Poe nel suo autentico contesto geografico e sociale, fuori della falsa dimensione conferitagli dall'appropriazione fattane dal grande "fratello", il poeta francese Charles Baudelaire che, con le sue perfette traduzioni e in tre saggi critici, lo "disamericanizzò" diffondendone in Europa e nel mondo un'immagine seducente ma arbitraria, di maudit dedito al culto dell'insolito e dei paradisi artificiali.
Mistero e mistificazione: i due poli fra cui si espresse la personalità di Poe, si sono perpetuati a dir poco bizzarramente. Come nessuno ha mai saputo spiegare che cosa fece Poe nei sei giorni che separarono la sua partenza da Richmond (città dove aveva trascorso l' infanzia e la fanciullezza) e il ritrovamento a Baltimora, così nessun detective potrà mai sapere la vera causa della sua morte. Delirium tremens (come scrisse il dottor Moran alla madre adottiva di Poe, Maria Clemm), congestione cerebrale, come riferirono i giornali e come asserì lo stesso Moran in un libretto in difesa di Poe pubblicato nel 1885? Oppure delitto? L'ipotesi è suggestiva e il suo sviluppo degno delle deduzioni del geniale investigatore creato da Poe, il celebre Auguste Dupin. In quell'epoca Baltimora, proprio perché città animata e vivace, importante nodo ferroviario, scalo marittimo, pullulava di ladri, borsaioli, scrocconi d' ogni specie. Inoltre c'erano le bande organizzate di agenti elettorali che battevano le strade del centro e intorno al porto con uno scopo preciso: cercavano persone isolate, preferibilmente forestieri o contadini, e usando la tecnica detta "cooping", ossia "mettere in gabbia", le drogavano con una miscela di whisky e narcotici, e poi li portavano da un seggio elettorale all'altro facendoli votare a ripetizione per questo o quel candidato. Rinchiusi poi in un locale buio (la gabbia) a smaltire la cotta, venivano successivamente gettati in strada.
Poe era partito sei giorni prima da Richmond, dove aveva trascorso un paio di mesi di tranquillità. L'alternarsi di depressione e di speranza che aveva caratterizzato gli ultimi due anni e che aveva visto anche un tentativo di suicidio, nel 1848, pareva quasi dimenticato, a Richmond. Poe si era persino iscritto alla locale società di temperanza, facendo pubblica promessa di dimenticare il vizio funesto del bere. Perché dunque quel vuoto di sei giorni, fra la partenza da Richmond e il ritrovamento sul marciapiede, perché le tasche vuote, perché gli abiti non suoi e addirittura la mancanza della giacca? Nessun Dupin ci spiegherà mai se Poe si sia autodistrutto, se sia stato rapinato o, più verosimilmente, drogato e sequestrato a scopi elettorali.

Una mano livida sulla fronte
Dalle 560 fitte pagine dell' inchiesta di Walter esce un'immagine a misura umana e "americana" di quel formidabile creatore di paure, tanto efficace perché proprio lui era la prima vittima di quel sentimento che ha saputo tanto bene ispirare ai suoi lettori. Da quando, adolescente, aveva visto una mano livida uscire dal buio per posarglisi sulla fronte, non riusciva ad addormentarsi se qualcuno non lo teneva per mano confortando il suo ingresso nelle tenebre del sonno. Il teorico del "principio di perversità" (tendenza insopprimibile dell'anima a far violenza a se stessa) pianificò americanamente fin dal 1831, a ventidue anni, di scrivere racconti d'un genere particolare, e per questo fece uno studio quasi statistico del romanzo gotico inglese, dei racconti di Hoffmann e in genere di tutta la letteratura dell'orrore, per impadronirsi alla perfezione degli ingredienti, a cui aggiunse le sue personali ossessioni ma anche il suo gusto della parodia e della mistificazione.
Nell'opera di Walter confluisce il meglio, insieme col peggio di quanto è stato scritto su Poe, dalle grandi biografie della fine del secolo scorso, a quella, che resta a tutt' oggi la più ampia e sicura, pubblicata nel 1941 da Arthur Hobson Quinn. Ma, oltre a tutto ciò che fa di questa biografia il più aggiornato strumento di lavoro su Poe (manca purtroppo l'indispensabile indice dei nomi), c'è da aggiungere l'apporto personale del critico-romanziere, frutto d'un lungo soggiorno negli Stati Uniti, nei luoghi dove si svolse la vita di Poe da Richmond a West Point da Filadelfia a Providence, da New York a Baltimora: dovunque osservando, visitando musei, cimiteri, cercando testimonianze e reliquie e ascoltando persino un tassista di Baltimora vomitare ingiurie all'indirizzo di Poe con le stesse espressioni usate dai suoi detrattori ottocenteschi. Il racconto, solido e ben scritto, della vita e delle avventure di Poe, è inframmezzato da parecchi brani in data odierna, da cui curiosamente emerge un'altra immagine dell'"americano" Poe, e ciascuno dei diciassette capitoli è corredato da un folto apparato di note che illustrano con ogni specie di particolari il testo, formando nel complesso un'affascinante enciclopedia della vita americana (e di quella letteraria in particolare) sulla costa atlantica, nel diciannovesimo secolo.

“la Repubblica”, 17 luglio 1991

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