Sant'Agostino nella rappresentazione di Antonello da Messina |
Lidia Storoni Mazzolani,
ricostruendo l'incontro di Sant'Agostino con i pagani, propone
all'attenzione e alla riflessione un problema storiograficamente
trascurato e assai spesso sottovalutato, ma di fondamentale
importanza nella storia occidentale quello dello scontro fra
cristianesimo e paganesimo nei secoli della decadenza (e quindi della
caduta) dell'Impero romano quando tutti, pagani e cristiani
conoscevano l'angoscia di vivere in un mondo In cui erano crollate
certezze che sembravano incrollabili (la grandezza di Roma e il suo
destino di reggerei il mondo), e in cui la ricerca di nuovi valori
era condizione della sopravvivenza sia individuale sia politica.
A partire dall'atteggiamento di Agostino verso i pagani, Lidia Storoni Mazzolani
pone nella sua interezza, il problema di una società che a ben
vedere, nonostante il cristianesimo fosse ormai religione ufficiale,
era rimasta pagana in misura assai maggiore di quanto si sia soliti
credere.
Le costituzioni imperiali
non consentono molti dubbi in proposito. La loro lettura conferma che
il paganesimo, come del resto è ovvio non scompare da un giorno
all'altro: gli antichi culti continuarono ad essere praticati e la
durezza della repressione imperiale sta a testimoniare della loro
vivacità e - agli occhi del potere - della loro pericolosità.
Da un canto c'era chi
accusava il cristianesimo di essere la causa principale della
decadenza di Roma, dall'altra chi credeva che esso fosse la sola
possibilità di riscatto collettivo. Agostino fu appunto colui che
propose Cristo come fondatore della «nuova città», come risposta a
tutti gli interrogativi dell'epoca, leggendo il suo messaggio (e
questa fu la sua grandezza) in chiave non solo religiosa ma anche e
soprattutto politica. Nessuna meraviglia, quindi, che Agostino
pensasse che il paganesimo dovesse essere annientato. E nessuna
meraviglia che la stessa cosa pensasse il potere imperiale, che da
tempo tentava di imporre con la forza del diritto la nuova religione.
Già nel 331 Costanzo aveva ordinato che contro «la demenza dei
sacrifici» si applicassero le «pene adeguate» stabilite da suo
padre Costantino. Nel 346 si stabilì più esplicitamente che chi
osava compiere sacrifici fosse abbattuto «con la spada vendicatrice»
(gladio ultore) Ma evidentemente la minaccia della pur definitiva
sanzione non fu sufficiente: la pena di morte venne ribadita del 385,
il divieto dei sacrifici (anche i più innocenti come «cingere un
albero di sacre bende») venne riconfermato nel 392 e nel 399. Il 9
aprile del 399 Arcadio, Onorio e Teodosio stabilirono che «i pagani
che sussistono, benché ormai riteniamo che non ve ne siano siano,
tenuti a freno dal rigore delle leggi già promulgate». Ma
evidentemente i pagani sussistevano. Due mesi dopo 18 giugno gli
stessi imperatori furono costretti a ripetere «i pagani che tuttora
esistono se colti nell'atto di compiere sacrifici benché passibili
della pena capitale siano costretti alla confisca dei beni e
all'esilio». Dietro le scarne disposizioni di legge si coglie la
disperata «resistenza» pagana al tentativo di imporre il culto di
Stato e i principi della mora le cristiana reprimendo ferocemente
ogni comportamento contrario ai nuovi precetti. E a dimostrarlo
basterà un esempio la durissima repressione dell omosessualità
maschile tradizionalmente consentita e largamente praticata a Roma,
colpita a partire da una costituzione di Costanzo e Costante del 342
da pene severissime come la castrazione e la vivicombustione
comminate in nome della «natura» e di Dio che voleva il sesso
limitato al solo rapporto eterosessuale in funzione procreativa.
Il libro di Lidia Storoni
Mazzolani (Sant'Agostino e i pagani, Sellerio, 1988) è più
di un libro dedicato alla pur rilevantissima figura di Agostino
ricostruita in tutta la sua complessità. Come dicevo esso propone
alla riflessione un problema fondamentale nonostante le ricerche di
Brown, nonostante gli studi raccolti da Arnaldo Momigliano con il
titolo Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV
(traduzione italiana 1967), nonostante un libro come Paganism in
the Roman Empire di MacMullen (1981). Esiste tuttora una lacuna
storiografica una zona d'ombra nella quale è difficile cogliere le
condizioni che da un tanto consentirono a una fede umile nata fra i
poveri di conquistare le maggiori personalità dell'epoca e
dall'altro tennero in vita (assai più a lungo di quanto si sia
soliti pensare) la credenza in divinità antiche che non promettevano
né resurrezione né immortalità ma continuarono ad essere adorate
ad onta dei rischi che «la demenza del culto».
l'Unità, 27 gennaio 1988
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