9.5.18

“Filama”, “filinia” e “filu” (S.L.L.)


Filama è nel mio dialetto campobellese la calunnia, una falsa diceria diffusa ad arte, e filinia è la ragnatela. L'una e l'altra parola vengono da filu, filo: la filinia perché tessuta dal ragno con il filo che egli stesso produce; la filama perché è un filu ca camina. Non bisogna pensare in questo caso a fili di cotone, lana o canapa da cucire e nemmeno a fili d'erba, ma a un filo d'acqua, a un rigagnolo che si sposta in avanti, può dividersi in due e – per successive divisioni – moltiplicarsi, espandendosi in tante direzioni. Non il venticello dell'opera lirica dunque, ma qualcosa che si muove sotto sotto, a la 'nsutta 'nsutta, come in Sicilia accade sovente.
Vale qui la pena di rammentare uno dei nostri modi di dire con filu. Aviri lu filu si usa certamente in molte altre località siciliane: allude quasi dappertutto a quella vena di follia che talora determina i comportamenti di persone generalmente savie (la "corda pazza" di Pirandello nel Berretto a sonagli). Ma lu filu del mio paese non è, nella maggior parte dei casi, di pazzìa, ma piuttosto di babbìa (la qualità dei babbei), altrimenti detta lapìa, la dolce stupidità che viene arbitrariamente attribuita alle api (lapi), produttrici di miele.

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