Giorgio Celli |
Il mio amico Giorgio
Celli, scrittore ma anche professore di entomologia, una volta aveva
scritto un racconto su un delitto perfetto, e sia lui sia io eravamo
i protagonisti di questo racconto. Il personaggio Celli aveva
inserito nel tubetto del dentifricio del personaggio Eco una sostanza
chimica che attira sessualmente le vespe; Eco si era lavato i denti
prima di andare a letto e la sostanza, rimasta in misura sufficiente
sulle sue labbra, aveva attirato sciami di vespe eccitate sul suo
volto, con effetti mortali. Il racconto fu pubblicato sulla terza
pagina del quotidiano bolognese II resto del carlino. Dovete sapere
che la terza pagina di ogni quotidiano italiano, almeno sino a pochi
anni fa, era regolarmente dedicata alla cultura, e l’articolo detto
“elzeviro”, quello di sinistra, poteva essere o una recensione, o
un breve saggio, o anche un racconto. Il racconto di Celli è uscito
come elzeviro col titolo Come ho ucciso Umberto Eco. I
redattori del quotidiano evidentemente ritenevano che i lettori
sapessero che tutto ciò che appare in un giornale deve essere preso
sul serio, tranne l’elzeviro, che deve o può essere inteso come
esempio di narrativa artificiale.
Ma quella mattina, quando
sono entrato nel bar sotto casa per prendere il mio caffè, sono
stato accolto da manifestazioni di gioia e di sollievo da parte dei
baristi, i quali avevano creduto che Celli mi avesse realmente
ucciso. Ho attribuito l’incidente al fatto che quelle persone non
avessero una cultura sufficiente per riconoscere le convenzioni
giornalistiche; ma più tardi ho incontrato il mio preside, persona
colta e che conosce assai bene queste convenzioni, il quale mi ha
detto che quella mattina, aprendo il giornale, aveva avuto un
sobbalzo. Un sobbalzo di breve durata, ma per un momento quel titolo,
su un giornale, che per definizione racconta avvenimenti realmente
accaduti, gli era parso riferirsi a una notizia reale.
da Sei passeggiate nei boschi narrativi Bompiani, 1994
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