Victor Hugo, Ma Destinée, 1867 |
Venezia
I disegni, gli acquarelli
e le chine di Victor Hugo sono riuniti, quasi al completo, nella sua
vecchia casa parigina a Place des Vosges trasformata in museo,
accanto ai manoscritti originali di poesie e romanzi, ma una volta
adornavano le pareti della sala da bigliardo di Hauteville-House a
Guernesey, l'isola della Manica, dove il romanziere si era ritirato
in esilio dopo il 1855, restandovi diciotto anni col pensiero fisso a
un libro su Shakespeare e alla repubblica francese, usurpata dal
piccolo Napoleone. I visitatori del "grande romantico" si
trovano così di fronte all'opera imprevedibile di un sublime
visionario che, incontrastato signore della letteratura francese, in
astinenza dalla scrittura, si apprestava ad occupare un posto di
rilievo anche nella storia dell'arte.
Un capriccioso
pennello
Hauteville-House era
stata costruita alla sommità di una collina e, da quella posizione
elevata, il poeta dominava l'ampia, infinita distesa dell'oceano, le
isole che affioravano dal mare, la lontana costa francese, mentre
attorno a lui si muoveva la figlia Adèle, con la madre, i due
fratelli, la sorella. Le vedute della Bretagna, del mare di Jersey,
dei paesi sul Reno e della Spagna, si moltiplicavano sotto un
capriccioso pennello, intriso nell'acquarello o nel caffè; se poi,
al suo eremo, giungeva la notizia di un'impiccagione, con china
diluita e lumeggiature in bianco schizzava rapidamente la macabra
scena, aiutandosi con una silhouette, un papier decoupé, uno
stampino bagnato nell'inchiostro; per non dire dei disegni eseguiti
al tavolo da spiritista, quasi in comunicazione medianica con l'al di
là.
Hugo stesso, con la cura
di un artigiano medievale, preparava le cornici per quei fogli che,
firmati e annotati, venivano appesi alle pareti o regalati ad amici e
parenti. “Scrivere, disegnare”: questo potrebbe essere il
sottotitolo della mostra Victor Hugo, pittore, da oggi al 23
maggio alla Galleria d' Arte Moderna di Ca' Pesaro (catalogo
Mazzotta, a cura di Jean-Jacques Lebel e Marie-Laure Prévost) perché
è difficile, anzi impossibile separare la prima azione dalla
seconda, ma qualche distinguo può essere cercato guardando questi
fogli eccezionalmente usciti dalla Bibliothèque Nationale di Parigi
e dalla Maison Victor Hugo. Il disegnatore vince lo scrittore nel
tradurre l'emozione in rapidità ed esattezza. Le visioni che lo
possedevano - il mare in tempesta, luogo di mostri e gorghi profondi,
vecchi muri scrostati, antichi castelli immaginari su rocce
altissime, tronchi d'albero contorti - riemergono sulla carta così
come si affacciavano al suo spirito e il processo creativo
dell'immagine attinge ai colori e alle forme di un laboratorio con
sede nell'inconscio: il nero, la seppia, piccole bave d'oro, il
frottage, il segno spesso e continuo. Che il disegnatore fosse
indipendente dallo scrittore lo sapeva Hugo stesso, il quale,
talvolta, inseriva nei suoi manoscritti disegni del tutto autonomi
dal testo, come si può vedere nell' album Les travailleurs de la
mer, pubblicato nel 1882, dove alcune visioni allucinate
precedono il brano narrativo.
Contemporaneo di
Delacroix, il romanziere seppe dare consistenza e voce al mondo
visibile; ben radicato al centro del secolo passato, il pittore, con
l'aria distratta dei grandi invasati, anticipa Odilon Redon, la
temperie dei simbolisti, come gli riconosce Charles Baudelaire quando
afferma che il mondo intorno al genio è un "orologio in
ritardo". Vittorio Pica, segretario della Biennale di Venezia,
negli anni della prima guerra mondiale prediligeva i paesaggi, le
visioni di architetture e scriveva che nei primi si avvertiva il
terrore glaciale delle rovine e il segreto mistero delle foreste. Per
me i fogli più interessanti sono invece quelli casuali, così
prossimi ai giochi dei bambini che trafficano le prime volte con i
colori. E i bambini, secondo l'autore dei Miserabili che sui
muri di casa Jondrette ci mostra "disegni osceni,
grossolanamente tracciati col carbone", erano depositari di un
linguaggio per segni non accresciuto, non elaborato, così come
l'idioma degli emarginati e dei diversi suonava alle sue orecchie più
vicino a quello dei veri artisti, più remoto da quello dei
letterati; e a proposito della pittura, diceva: "Mi piace vedere
le opere dei maestri che hanno iniziato l'arte. Dipingevano come si
parlava, ingenuamente. L'arte del Medioevo era un grazioso e ingenuo
adolescente: spesso arrossiva quando gli si voleva far eseguire
qualcosa che non apparteneva alla sua età. Oggi, è un uomo
sfrontato che fa arrossire gli altri, che è come quegli anziani che
hanno bisogno di stimolanti per essere ancora uomini; a volte portano
una parrucca bionda per imitare la giovinezza".
Virginale ornamento
Ottenuti con mezzi
sperimentali, non canonici alle arti del disegno, sono stati resi
noti soltanto negli anni Venti da Valentine Hugo, pronipote dello
scrittore ed intima di André Breton; si può davvero sostenere che
abbiano influenzato i surrealisti per quel tanto di autistico,
medianico, notturno e sognato da cui sembrano generati: i paesaggi
ottenuti pressando sulla carta frammenti di pizzo immersi
nell'acquarello, a lasciarvi un'impronta i cui significati si
allontanano vertiginosamente dal casto, verginale ornamento
femminile, fanno pensare a certe opere di René Magritte; le nuvole,
che paiono uscite da acquarelli di Turner, agitate nel profondo
spessore della notte attorno ad un globo luminoso, sempre uguale,
sempre solido in quell'incertezza panica perché ritagliato da un
cartoncino e poi spostato sul supporto definitivo, con sorpresa
evocano Max Ernst, planetario e silvestre. Col ritorno a Parigi, in
seguito alla caduta del Secondo Impero, accolto come un eroe
nazionale, il romanziere si chiude nella celebrità della vecchiaia,
circondato dai suoi doni appaganti, e perde interesse al disegno che
s'era fatto magistrale nel furente isolamento sulla Manica: quasi non
v'è più traccia nei numerosi taccuini, del suo ultimo tempo, dove
abita una grossa calligrafia da scolaro.
“la Repubblica, 13
marzo 1993
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