Joseph Mengele |
Il quinto volume della
collana «Sapienza per tutti» (Sapienza Università Editrice)
raccoglie, per la cura di Silvia Marinozzi, quattordici contributi,
lucidi e documentati, sul tema Medicina e Shoah. Tema
dolorosissimo e necessario per portare conoscenza in quel luogo, mai
abbastanza esplorato, dove i principi della medicina incontrano
quelli della dignità umana. Raccontando la storia della
sperimentazione nazista su soggetti umani, il libro documenta
l’orrore delle teorie e delle pratiche eugeniche e consegna la
tenebra di queste pagine di storia al dibattito bioetico e
biopolitico. Come ricorda nell’introduzione il Rettore Eugenio
Gaudio, il progetto del volume nasce con l’inaugurazione della
mostra itinerante Medicina e Shoah. Dalle sperimentazioni naziste
alla bioetica, organizzata presso il Museo di Storia della
Medicina della Sapienza.
Un’iniziativa a sua
volta collegata a un percorso didattico e formativo rivolto agli
operatori sanitari e aperto agli studenti delle Facoltà mediche.
Grande merito dunque ai colleghi, storici della medicina e medici,
che, accettando di pensare l’impensabile, ci descrivono le
sperimentazioni condotte nei lager nazisti e l’attuazione del
programma Aktion T4. Oltre 200mila persone affette da malattie
genetiche incurabili o disabilità mentale vennero uccise e 400mila
furono sterilizzate senza consenso. Un sistema organizzato in cui gli
umani erano trasformati in cavie per esperimenti e lo sterminio era
legittimato dal fine di «purificare» la razza ariana e acquisire
nuovi «dati empirici» per potenziare la preparazione bellica del
nazismo.
Il processo di
Norimberga, spiegano gli autori, ha avuto un ruolo importante nella
normazione dell’attuale etica medica e della bioetica applicata. Il
Codice di Norimberga, scrive Marinozzi, sancì i criteri di
liceità della ricerca e mise a fuoco il concetto di consenso
volontario come presupposto essenziale per una condotta moralmente
accettabile nella sperimentazione su soggetti umani. Il Codice di
Norimberga costituisce una sezione fondamentale della sentenza
emessa dal tribunale militare americano che il 19 agosto 1947
condannò 23 medici nazisti, sette dei quali a morte, per aver
condotto esperimenti rischiosi e letali sui detenuti nei campi.
Sulla base di un lavoro
condotto soprattutto dallo psichiatra americano Leo Alexander -
continua Gilberto Corbellini - il Consiglio degli Stati Uniti per i
Crimini di Guerra propose «dieci criteri per giudicare
l’ammissibilità della sperimentazione medica sull’uomo. Il
primo, che è anche il principale, afferma che il consenso volontario
del soggetto umano è assolutamente essenziale». Impossibile render
conto in poche righe della ricchezza e profondità dei contributi
presenti in questo volume. Cito, tra gli altri, quelli di Umberto
Gentiloni Silveri (Il nazismo e la soluzione finale) per la
parte storica e di Livia Ottolenghi (Memoria ed Educazione)
sul ruolo e il valore formativo della memoria. Medicina eugenica e
Shoah insegna ai più giovani che la persecuzione degli ebrei
durante il nazismo non può essere ridotta a una “pagina buia”
della Storia; al contrario, può essere letta solo all’interno
della lunga storia dell’antisemitismo e della disumanizzazione
dell’altro.
Sono passati ottant’anni
dal quel famigerato 1938 in cui il Gran Consiglio del fascismo
pronunciò la dichiarazione sulla razza, annunciando le norme di
persecutorie degli ebrei, e le rotative di Mussolini stampavano il
primo numero della rivista “La difesa della razza”, dove
Almirante scriveva: «Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per
tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in
tutti, la coscienza della razza». Oggi il concetto di «razza»,
peraltro del tutto infondato dal punto di vista scientifico,
ricompare tristemente nel dibattito politico. Accompagnato da un
lievitar di vendite del Mein Kampf, dove Hitler annunciava:
«Lo Stato nazionale deve porre la razza alla base dell’esistenza
generale». «A quanti hanno fatto della medicina una scienza della
morte – scrive Gaudio nell’introduzione al volume – abbiamo
risposto il 27 gennaio 2015, in occasione del settantenario della
liberazione di Auschwitz, promuovendo la proposta di abolizione del
termine razza da ogni lavoro scientifico e dalla nostra stessa
Costituzione». La stessa richiesta stata rilanciata da Liliana
Segre, sopravvissuta ai campi e da poco nominata senatrice a vita.
Il Sole 24 Ore Domenica,
25 febbraio 2018
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