Il brano che segue è parte di un
ampio “speciale” pubblicato da “L’Espresso” a mo’ di presentazione delle
manifestazioni che si svolsero a Urbino e in altre città dell’antico ducato di
Montefeltro tra il 1981 e il 1982, in occasione del quinto centenario dalla
morte del suo fondatore, Federico, avvenuta nel 1482. Nelle pagine che ho
ritagliato e conservato manca l’indicazione della data, ma più di un indizio fa
pensare a giugno (o luglio) del 1981. Perché il lettore abbia un’idea si può
quantificare intorno ai 500 euro attuali il valore del ducato, ferme restando
le generali considerazioni dell’ottimo Tommasoli. (S.L.L.)
Ritratto del Duca. Bassorilievo Pesaro, Museo civico |
« ...dei denari non feci mai
stima alcuna, se non per spendere... »: così scriveva Federico da Montefeltro
nell'ottobre 1469 al suo residente a Milano Camillo de' Barati perché
sollecitasse presso Galeazzo Maria Sforza il pagamento di una rata arretrata
del suo contratto militare. E' uno dei rari momenti in cui il Signore di Urbino
si apre in un documento ufficiale: egli considera il denaro come mezzo per
tradurre in atto il suo desiderio di dare un'ampia testimonianza creatrice
consona al suo tempo. Questo del guadagni del Montefeltro è uno degli aspetti
meno trattat dalle pur numerose biografi che nel corso dei secoli sono state
scritte su di lui.
Si sono sempre messi in rilievo
le opere realizzate ad Urbino e negli altri centri del ducato, l'enorme
attività edilizia civile e militare, la sua biblioteca, i suoi arazzi, senza
mai soffermarsi su quelle che realmente furono le sue fonti di guadagno. Eppure
i due aspetti, quello del principe munifico e illuminato e quello del capitano
d'armi, non possono e non debbono essere disgiunti, sia perché si completano a
vicenda, sia perché entrambi concorrono a meglio spiegarci la pienezza e il
vigore della sua avventura terrena.
Prendendo infatti in esame le sue
condotte noi ci accorgiamo come, nel volger degli anni (dal luglio 1444 in cui
prende li potere dei Ducato, fino al 1482, anno della morte), il suo nome
divenga sempre più famoso e di pari passo cresca il suo valore nel mercato
instabile e difficile delle armi mercenarie. Per oltre trent'anni fu capitano
generale del Regno di Napoli, prima con Alfonso il Magnanimo, poi con
Ferdinando d'Aragona e in questo gravoso incarico mostrò doti di ottimo
diplomatico oltre che di uomo d'anni. A questo aggiunse poi il titolo di
capitano generale della Lega Italica; di gonfaloniere di Santa Romana Chiesa
con tre papi (Pio II, Paolo II, Sisto IV) e, talvolta, condottiero del Medici e
degli Sforza.
Il suo tirocinio militare era
cominciato prestissimo: all'età di quindici anni aveva ottenuto dal padre
Guidantonio il permesso di comandare la compagnia feltresca che era rimasta
priva del suo capitano per la morte di Bernardino degli Ubaldini. Visse questa
sua prima esperienza alla scuola di Niccolò Piccinino continuatore della
tradizione braccesca; da essa trasse l'arte del temporeggiare, la cautela delle
decisioni da prendere con la ragione più che con l'istinto. Passato poi a
militare con Francesco Sforza erede della tradizione paterna, vide e imparò la
tattica e la strategia di un capitano che sulla forza dell'assalto improvviso e
intelligente basava il suo modo d'intendere la battaglia. Federico ebbe poi la
capacità di fondere le due scuole e di creare un suo modo di combattere che si
basava sul canto temporeggiare della prima scuola e sulla spontaneità guidata
della seconda. Una particolarità tuttavia caratterizzò sempre il suo agire: il
rispetto per la vita dei suoi soldati che in gran parte erano anche suoi
sudditi. Nacque cosi e si sviluppò la sua scuola di guerra che ebbe per allievi
i giovani delle più potenti famiglie nobili italiane e che diverranno i
condottieri degli eserciti italiani e stranieri dalla guerra di Ferrara in poi.
Inoltre la quotidiana lettura degli storici e dei teorici della politica e
dell'arte militare, contribuì a fare di Federico da Montefeltro uno dei
condottieri più quotati e ricercati dei suoi tempi.
Le lucrose condotte percepite
fecero affluire nelle casse ducali un vero e proprio rivolo d'oro che diffuse
per tutto il Ducato, nella seconda metà del secolo XV, un periodo di prosperità
mai più raggiunta. Vespasiano da Bisticci, vissuto alla corte urbinate per
lunghi periodi e autore di una breve ma interessante biografia di Federico da
Montefeltro, afferma che «Urbino è città senza mendicanti»; questa affermazione
è credibile e fotografa la piccola capitale del Ducato che si trasforma da
grosso borgo medioevale in una città in cui intorno al magnifico palazzo
ducale, vanno sorgendo i palazzi dei cortigiani del principe, il duomo e tutta
una architettura minore, civile e militare, sui nuovi modelli rinascimentali
portati o creati per la città e per il Ducato da Luciano da Laurana e Francesco
di Giorgio Martini. Nasce, al contempo, un gran numero di rocche: fatte sorgere
nei punti strategici del Ducato esse rispondono ad un preciso disegno di
Federico da Montefeltro che vuole in tal modo rendere sicuri i suoi territori e
divenire padrone delle strade che vanno verso Roma, verso la costa, verso la
Toscana. I suoi enormi guadagni gli permettono di impostare e, in gran parte,
portare a termine questi piani: come media egli introita dai 40 ai 50 mila
ducati d'oro annualmente: questo calcolo deriva dalla media fra gli iniziali
15-20 mila ducati e l'ultima condotta stipulata nel 1482 con Napoli, Milano e
Firenze che è di 120.000 ducati per anno. Non è facile tradurre in termini
monetari attuali queste cifre guadagnate dal Montefeltro: si deve infatti
calcolare una circolazione monetaria molto ristretta rispetto ai nostri tempi
il che naturalmente dava al denaro un valore molto superiore. Ribadendo quindi
la labilità di questi calcoli, possiamo però fissare in almeno 150 mila lire
attuali il valore di un ducato d'oro. Moltiplicando quindi questa cifra base
per gli introiti derivanti dalle condotte è facile comprendere quale fu
l'entità delle entrate; che s'aggiungevano al normale "bilancio" del
Ducato. Naturalmente la raggiunta posizione di Federico, negli anni Settanta,
di "oraculum totius Italiae" fa nascere per il piccolo Ducato impegni
nuovi. Sorge così e si sviluppa la Corte del principe dove si muovono ed
agiscono tutte le mentì più aperte ed alacri che, dall'esempio del duca,
traggono motivo per essere all'altezza dei nuovi tempi. Federico, cresciuto
alla scuola di Vittorino da Feltre, incoraggia ed aiuta il formarsi di questi
quadri dai quali escono uomini d'arme valorosi e ricercati, astuti diplomatici,
alti prelati che, in seno alla Curia romana, hanno modo di servire con gli
interessi della Chiesa, anche quelli del loro principe. Questo clima culturale
creato da Federico, offrirà poi l'occasione di scoprire il loro genio a Donato
Bramante e a Raffaello, nonché porterà al dispiegarsi delle pagine del
"Cortegiano" di Baldassarre Castiglione.
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