Bartolomeo Veneto, Ritratto di Flora (per diversi studiosi raffigura Lucrezia Borgia) |
Insomma sembra incredibile, ma
nel Castello di Ferrara, la città della salama da sugo, e dei cappellacci di
zucca, si faceva una gran fame. Per cui non è azzardato dare credito alle voci
che allora circolavano, che Lucrezia fosse divenuta l'amante di Francesco
Gonzaga, suo cognato, sedotta da doni frequenti, in segno, anche emblematico
del suo amore di rostrati storioni che provenivano dalle foci del Po, o di
lucci pescati nell' ansa lacustre che il Mincio formava davanti al Castello di
Mantova. E poiché il Duca padre intercettava gli omaggi dei pescioni, e li
dirottava, cambiando la pergamenina d'accompagno, alle sue amanti, o ai signori
confinanti, Lucrezia, per dispetto, o per golosità cedette ai desideri del
cognato, noto amatore e gourmet.
Tutte diverse le attitudini
gastronimiche del Duca Cesare Borgia, detto il Valentino, fratello di Lucrezia.
Non per nulla Nicolò Macchiavelli scrisse il libello: «Del modo tenuto dal Duca
Va¬lentino nello ammazzare (a tavola) Vitellozzo Vitelli (il destino nel
nome!), Oliverotto da Fermo, e Messer Pagalo Orsini». Quando alla fine del
banchetto i tre, storditi dai cibi e dai vini si rivolsero a lui per
ringraziarlo, ordinò: «Portate ancora fichi». E quello era il segnale del loro
immediato sgozzamento. In precedenza agli sventurati erano stati serviti:
spiedi di tordi avvolti nella rete di maiale e salvia, pasticcio di anguille,
lamprede e gamberetti, asinello arrosto con fave cotte nel latte, dolci di
marzapane, pinoli e panna zuccherata, capponi bolliti ricoperti di salsa
bianca, trota salmonata alla salsa vede, erbe cotte, marmellate, gelatine di
dolci e gelsomini caramellati. E poi, finalmente, i fichi.
Saper quanti altri vennero
eliminati dal Valentino, sempre a tavola, ma per veneficio, none possibile: la
«Cantarella», il veleno prediletto dal Duca, da lui creato (e del quale
prendeva quotidianamente piccole dosi per immunizzarsi), aveva due «virtù»:
faceva effetto molti giorni dopo, e non lasciava alcuna traccia.
“weeckendestate – la Repubblica”, 16 settembre 1982
Nessun commento:
Posta un commento