25.11.13

Bergoglio, un papa francamente controriformista

«Anche il diavolo sa farsi buono per imitare Gesù. Ma la sua luce è artificiale… Dove c’è Gesù c’è umiltà, mitezza, amore e Croce. La luce del demonio invece ci inganna e ci riempie di orgoglio».
Ho ascoltato per alcune domeniche fa l’omelia papale. Bergoglio mi ha profondamente deluso. Ultimamente insiste nella svalutazione della vita terrena e ribadisce la credenza nell’aldilà, cui sempre il fedele deve guardare; ma affronta il tema con la bonaria prudenza da parroco di paese, senza voli mistici, senza evidenziarne gli aspetti scandalosi, lasciandolo scorrere come acqua fresca. Il papa emerito sarà anche stato frequentatore di saune gay, ma aveva altro spessore.
A me sembra che da questo come da altri interventi e gesti emerga l’impronta schiettamente controriformistica di questo papa argentino. Da una parte costui raccoglie e in parte fa proprie le critiche laiche e “protestanti” alla corruzione della gerarchia ecclesiastica cattolica. Condanna – dunque - senza esitazioni il fatto che la Chiesa si lasci coinvolgere nei giochi dei “potenti della terra”, il fatto che sia partecipe di grandi speculazioni finanziarie, di spreco e di lusso, la rivendicazione per i preti di uno “status” speciale teso a nascondere pratiche come la pedofilia. Insomma egli chiede a vescovi, prelati e preti semplici comportamenti pubblici più severi, più austeri, che meglio testimonino l’unzione divina. E prende provvedimenti che lasciano intravedere una profonda operazione di ripulitura e di rinnovamento dei quadri dirigenti.
Dall’altra egli sembra spingere la Chiesa cattolica verso un ruolo di rappresentanza dei poveri e di mediazione con i poteri forti che fu caratteristico dei secoli d’oro dell’Inquisizione e che trova  espressione letteraria – per esempio - in alcuni personaggi dei Promessi sposi, quali padre Cristoforo e il cardinale Borromeo (di cui il Manzoni tace – per esempio – l’accanimento nella caccia alle streghe).
La sconfitta del comunismo novecentesco, nella logica del prete che è diventato papa, ha colpito definitivamente l’orgoglio luciferino dei lavoratori, di quegli oppressi e poveri che avevano preteso di ottenere giustizia in questo mondo e di “fare da sé”. In Italia addirittura lo cantavano (“il riscatto del lavoro dei suoi figli opra sarà”) con le parole dell’inno di Turati.  E’ falsa luce di Satana il pretendere una società giusta, senza sfruttati e sfruttatori: la Giustizia non è di questo mondo, le uniche difese di chi soffre per le iniquità sociali sono l’umiltà, l’affidarsi alla provvidenza o alla preghiera o alla protezione della Chiesa.
Il programma, insomma, è una Chiesa gerarchica che trasforma e rilancia la sua immagine, eliminando le brutture che più hanno fatto scandalo o nascondendole con tartufesca ipocrisia. L’obiettivo è un potere che, alla base del suo rapporto con gli altri poteri forti nelle aree del mondo in cui più conta (Europa, Americhe, Africa, Filippine), non pone soltanto i suoi commerci con il sacro e col miracolo, ma anche la rappresentanza dei popoli e la protezione dei poveri, cui provvede con istituzioni caritatevoli e che cerca di organizzare in sindacati e cooperative illuminate della fede e dalla gerarchia, senza pretese di palingenesi sociale. Il nuovo papa lo dice esplicitamente, una “Chiesa povera per i poveri”, mai e poi mai una “Chiesa dei poveri”; la Chiesa è e resta dei preti, che la governano grazie al carisma sacerdotale.
A tutto questo fa da contraltare una tenuta e perfino un irrigidimento, non tanto dogmatico e teoretico, ma eminentemente pratico, sui temi di inizio e fine vita o in difesa dell’etica sessuale tradizionale. Tutt’al più si ostenta una paterna comprensione per chi “sbaglia”, la cui untuosità è sottolineata  chi siamo noi per…?.
Né manca qualche sottolineatura sul primato sacerdotale tipico dei cattolici: mentre c’è un giro di vite sugli stili di vita di una parte del clero, continua la massiccia beatificazione di preti e frati sulla scia di Wojtila e Ratzinger, il che aumenta agli occhi dei saggi l’impraticabilità del Paradiso cattolico.
L’articolo che segue, a mo’ di appendice, di Sandro Magister, da “L’Espresso”, è di circa sei mesi fa. Mi pare tuttora utile perché mette i puntini su diverse i. Altri puntini andrebbero messi. (S.L.L.)


Appendice
Non è tutt’oro quel che Francesco
di Sandro Magister
In perdurante luna di miele con la pubblica opinione, papa Francesco s'è guadagnato anche l'elogio del più barricadiero dei teologi francescani, il brasiliano Leonardo Boff: «Francesco darà una lezione alla Chiesa. Usciamo da un inverno rigido e tenebroso. Con lui viene la primavera».
Veramente, Boff ha lasciato da tempo il saio, si è sposato, e all'amore per Marx ha sostituito quello ecologista per madre terra e fratello sole. Ma è pur sempre il più famoso e citato dei teologi della liberazione.
Quando, appena tre giorni dopo la sua elezione a papa, Jorge Mario Bergoglio ha invocato «una Chiesa povera e per i poveri», la sua annessione nelle file dei rivoluzionari sembrava cosa fatta.
In realtà c'è un abisso tra la visione dei teologi latinoamericani della liberazione e la visione di questo papa argentino.
Bergoglio non è un prolifico autore di libri, ma quel che ha lasciato di scritto basta e avanza per capire che cosa ha in mente con quel suo insistito mescolarsi col "popolo".
La teologia della liberazione la conosce bene, la vide nascere e crescere anche tra i suoi confratelli gesuiti, ma con essa marcò sempre il suo disaccordo anche a costo di ritrovarsi isolato.
Suoi teologi di riferimento non erano Boff, né Gutierrez, né Sobrino, ma l'argentino Juan Carlos Scannone, anche lui gesuita inviso ai più, che era stato suo professore di greco e che aveva elaborato una teologia non della liberazione ma "del popolo", centrata sulla cultura e la religiosità della gente comune, dei poveri in primo luogo, con la loro spiritualità tradizionale e la loro sensibilità per la giustizia.
Oggi Scannone, 81 anni, è ritenuto il massimo teologo argentino vivente, mentre su quel che resta della teologia della liberazione già nel 2005 Bergoglio chiuse il discorso così: «Dopo il crollo del 'socialismo reale' queste correnti di pensiero sono sprofondate nello sconcerto. Incapaci sia di una riformulazione radicale che di una nuova creatività, sono sopravvissute per inerzia, anche se non manca ancora oggi chi le voglia anacronisticamente riproporre».
Questa sentenza liquidatoria contro la teologia della liberazione Bergoglio l'ha infilata in uno dei suoi scritti più rivelatori: la prefazione a un libro sul futuro dell'America Latina che ha per autore il suo amico più stretto nella curia vaticana, l'uruguaiano Guzmán Carriquiry Lecour, segretario generale della pontificia commissione per l'America Latina, sposato con figli e nipoti, il laico di più alto grado in curia.


“L’Espressso”, 21 maggio 2013 

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