17.11.13

Nichi Vendola e la dissimulazione onesta (S.L.L.)

Ieri sera – per quanto mi sforzassi di evitare il tema – si è parlato di Vendola, delle sue risate e telefonate.
Un caro amico, un primario ospedaliero che stimo, totalmente alieno dai maneggi di potere, interviene a parziale giustificazione: “Se vuoi fare cose utili, a volte, bisogna evitare con l’interlocutore potente lo scontro frontale e non guasta sintonizzarsi sulla sua lunghezza d’onda”. Racconta: “A me è capitato, diversi anni fa, di dover parlare con l’amministratore dell’Azienda sanitaria, persona che conoscevo dal tempo dell’Università e che profondamente disistimo come manager e come uomo. Costui – forse per rompere il ghiaccio – mi ha chiesto ‘Ti sei trombato la pasionaria?’. Parlava di una amministrativa che lavora da noi, di una signora assai piacente che aveva fama di sollazzarsi con tutti i maschi disponibili dell’ambiente. Risposi no e, richiesto del ‘come mai’ aggiunsi che mi faceva schifo. Non spiegai che a farmi schifo non era la signora in questione, ma la situazione che mi veniva prospettata e la sua stessa domanda. Non ho voluto maltrattarlo come meritava, ero lì per una attrezzatura molto importante non solo per il reparto, ma per i malati. Però, se vi fosse una intercettazione ambientale di quel colloquio, potrei passare anch’io per un bieco maschilista”. Lascia così intendere che anche le risate e i complimenti per lo scatto felino dell’Archinà potrebbero rientrare nella “dissimulazione onesta”.
Di questo tipo di dissimulazione, caratteristico della società di corte tra l’ultimo Cinquecento e il Settecento, scrisse un elogio Torquato Accetto, che gli studiosi spiegano con le angustie e le costrizioni tipica di una ristretta società aristocratica.
Io ho l’impressione che anche nel mondo d’oggi e particolarmente in Italia la regressione sociale e culturale seguita al 1989 abbia favorito un ritorno a forme di potere oligarchico. Il confronto, lo scontro e l’accordo sul governo della cosa pubblica sempre meno si svolgono nelle piazze (anche mediatiche) e sempre più nel chiuso e nell’opaco dei Palazzi: è lì che alla fine dei giochi si decide. E questo spiega il ritorno a pratiche simili a quelle di cui scriveva il Mazzarino nel Breviario dei politici, per di più ingaglioffite. Quella di Vendola insomma potrebbe essere una forma di dissimulazione onesta, un attenersi alle regole non scritte di un gioco in cui lo scontro frontale è perdente e inefficace e in cui l’ipocrisia è una virtù.
Non sono d’accordo.
Il consenso – pur limitato – che Vendola conservava prima della divulgazione (certo non innocente) di questa telefonata dipendeva dalla sua “diversità” sottolineata perfino dalla propaganda (“…oppure Vendola). Vendola aveva scelto un gioco difficile: stare dentro e fuori, dentro e contro. Non l’ha saputo condurre. Il duetto con l’Archinà, infatti, non è solo una caduta di stile, ma sottende l’accettazione sostanziale della politica oligarchica, una visione élitista che – del resto – accomuna quasi tutti gli ex comunisti, fondata sulla nozione di "classe dirigente".
In quest’ottica le classi sociali e la lotta tra le classi della tradizione socialista sono considerate cosa secondaria, mentre dirigenti politici, imprenditori, manager, vescovi e prelati, grandi funzionari, grandi ufficiali, giornalistoni eccetera concorrono a costituire, tutti insieme, la "classe dirigente". La cosa non esclude momenti di scontro anche durissimo al loro interno, ma questo fatto non elimina cortesie e solidarietà di fondo. 
In un certo senso sono davvero tutti nella stessa barca, anche se spesso in conflitto non solo di interessi, ma anche di valori. Per esempio guardano tutti con diffidenza a un giornalismo non allineato che pone domande imbarazzanti e complica le cose invece di lasciar lavorare in pace i dirigenti, inclusi quelli buoni che operano per il bene comune. L'idea che uno come Archinà sia "nemico di classe", uno con cui non c'è niente da ridere, mai, neanche quando si è costretti a simulare cordialità, non sfiora neppure i politici da breviario. 

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