Ieri sera – per quanto mi
sforzassi di evitare il tema – si è parlato di Vendola, delle sue risate e
telefonate.
Un caro amico, un primario
ospedaliero che stimo, totalmente alieno dai maneggi di potere, interviene a
parziale giustificazione: “Se vuoi fare cose utili, a volte, bisogna evitare
con l’interlocutore potente lo scontro frontale e non guasta sintonizzarsi
sulla sua lunghezza d’onda”. Racconta: “A me è capitato, diversi anni fa, di
dover parlare con l’amministratore dell’Azienda sanitaria, persona che
conoscevo dal tempo dell’Università e che profondamente disistimo come manager
e come uomo. Costui – forse per rompere il ghiaccio – mi ha chiesto ‘Ti sei
trombato la pasionaria?’. Parlava di
una amministrativa che lavora da noi, di una signora assai piacente che aveva
fama di sollazzarsi con tutti i maschi disponibili dell’ambiente. Risposi no e,
richiesto del ‘come mai’ aggiunsi che mi faceva schifo. Non spiegai che a farmi
schifo non era la signora in questione, ma la situazione che mi veniva prospettata
e la sua stessa domanda. Non ho voluto maltrattarlo come meritava, ero lì per
una attrezzatura molto importante non solo per il reparto, ma per i malati.
Però, se vi fosse una intercettazione ambientale di quel colloquio, potrei
passare anch’io per un bieco maschilista”. Lascia così intendere che anche le
risate e i complimenti per lo scatto felino dell’Archinà potrebbero rientrare
nella “dissimulazione onesta”.
Di questo tipo di dissimulazione,
caratteristico della società di corte tra l’ultimo Cinquecento e il Settecento,
scrisse un elogio Torquato Accetto, che gli studiosi spiegano con le angustie e
le costrizioni tipica di una ristretta società aristocratica.
Io ho l’impressione che anche nel
mondo d’oggi e particolarmente in Italia la regressione sociale e culturale
seguita al 1989 abbia favorito un ritorno a forme di potere oligarchico. Il
confronto, lo scontro e l’accordo sul governo della cosa pubblica sempre meno
si svolgono nelle piazze (anche mediatiche) e sempre più nel chiuso e nell’opaco
dei Palazzi: è lì che alla fine dei giochi si decide. E questo spiega il
ritorno a pratiche simili a quelle di cui scriveva il Mazzarino nel Breviario dei politici, per di più
ingaglioffite. Quella di Vendola insomma potrebbe essere una forma di
dissimulazione onesta, un attenersi alle regole non scritte di un gioco in cui
lo scontro frontale è perdente e inefficace e in cui l’ipocrisia è una virtù.
Non sono d’accordo.
Il consenso – pur limitato – che
Vendola conservava prima della divulgazione (certo non innocente) di questa
telefonata dipendeva dalla sua “diversità” sottolineata perfino dalla
propaganda (“…oppure Vendola).
Vendola aveva scelto un gioco difficile: stare dentro e fuori, dentro e contro.
Non l’ha saputo condurre. Il duetto con l’Archinà, infatti, non è solo una
caduta di stile, ma sottende l’accettazione sostanziale della politica
oligarchica, una visione élitista che
– del resto – accomuna quasi tutti gli ex comunisti, fondata sulla nozione di "classe
dirigente".
In quest’ottica le classi sociali
e la lotta tra le classi della tradizione socialista sono considerate cosa
secondaria, mentre dirigenti politici, imprenditori, manager, vescovi e
prelati, grandi funzionari, grandi ufficiali, giornalistoni eccetera concorrono
a costituire, tutti insieme, la "classe dirigente". La cosa non
esclude momenti di scontro anche durissimo al loro interno, ma questo fatto non
elimina cortesie e solidarietà di fondo.
In un certo senso sono davvero tutti nella stessa barca, anche se spesso in conflitto non solo di interessi, ma anche di valori. Per esempio guardano tutti con diffidenza a un giornalismo non allineato che pone domande imbarazzanti e complica le cose invece di lasciar lavorare in pace i dirigenti, inclusi quelli buoni che operano per il bene comune. L'idea che uno come Archinà sia "nemico di classe", uno con cui non c'è niente da ridere, mai, neanche quando si è costretti a simulare cordialità, non sfiora neppure i politici da breviario.
In un certo senso sono davvero tutti nella stessa barca, anche se spesso in conflitto non solo di interessi, ma anche di valori. Per esempio guardano tutti con diffidenza a un giornalismo non allineato che pone domande imbarazzanti e complica le cose invece di lasciar lavorare in pace i dirigenti, inclusi quelli buoni che operano per il bene comune. L'idea che uno come Archinà sia "nemico di classe", uno con cui non c'è niente da ridere, mai, neanche quando si è costretti a simulare cordialità, non sfiora neppure i politici da breviario.
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