L’ultima intervista ad Andrea
Zanzotto uscì su “La Stampa”, in occasione del suo novantesimo compleanno e fu
intitolata, per essere in linea con l’attualità politica, Che imbroglio la Padania, aggiungendo che a denunciarlo era proprio
il più padano tra i poeti italiani. Ma l’intervista, di cui riprendo qui un
ampio stralcio, ha anche altri temi, meno legati all’attualità del momento.
(S.L.L.)
«Qui nell'alta marca trevigiana ci
sono piccole zone incontaminate che resistono. Posti dimenticati come
Refrontolo che hanno una felicità in sé e conservano un loro incanto. Ma ormai
non si può più nemmeno pensarlo, il vecchio Veneto. In giro c'è una ferocia
tale che si esprime in un impulso alla velocità, alla fretta...» dice il poeta
Andrea Zanzotto.
Oggi compie 90 anni e per
l'occasione verrà presentato un libro celebrativo intitolato Nessun consuntivo con un saggio di Carlo
Ossola, contenente una lettera del Presidente della Repubblica, Giorgio
Napolitano. Da Pieve di Soligo, da quel mondo collinare che ha fatto da fondale
ai quadri eterni di Giorgione, Tiziano e Tintoretto, poi devastato
dall'industrializzazione selvaggia e dai capannoni del mitico Nord Est, il più
cosmopolita dei nostri poeti continua a guardare alle cose del mondo e a tutti
noi. Non senza rovelli e nuovi spettri. Zanzotto, a casa sua, è seduto al
centro di un piccolo divano, coperto da un berretto rosso e un plaid marrone.
Il suo viso è scavato dall'età e dagli acciacchi, ma gli occhi si muovono
vispi. La testa mobile e curiosa, da indignato cronico.
E' vero che segue da vicino la
crisi finanziaria mondiale? «Questa modernità cannibale mi ossessiona. La
stoltezza che circola si palpa come un vento».
«In questo progresso scorsoio,
non so se vengo ingoiato o se ingoio...», scrisse qualche tempo fa. Aveva forse
previsto tutto? «La mia cultura e' soprattutto letteraria. Per questo mi trovo
a inseguire delle realtà con il dubbio di non raggiungere nessuna e benché minima
formulazione di un quadro attendibile. C'è qualcosa di azzardato e di friabile
in questo nostro presente che sento di non poter controllare».
Se per questo anche gli
economisti non hanno previsto nulla. Zanzotto lei è in buona compagnia...
«Questo è vero. In alcuni momenti credo di poter formulare qualcosa di
abbastanza stabile. Forse è soltanto il potere della poesia a far sì che riesca
a mantenere un contatto con il mondo nonostante il senso di disappartenenza in
cui mi trovo costretto a vivere, anzi a sopravvivere. Ma poi mi accorgo che
anche questa è un'illusione. Tutto è pressappoco e ci si trova con il fumo
nelle mani...».
Lei parla di illusioni. Però le
sue battaglie contro la cementificazione selvaggia che si sta mangiando mezza
pianura del Piave, sono fatti molto concreti. Qui a Pieve di Soligo si
ricordano tutti quella, vinta, a difesa del prato di via delle Mura. Doveva
nascere un mega palazzetto, lei è riuscito a fermare le ruspe... «La mia non e'
una battaglia antimoderna ma un fatto di identità e civiltà. La marcia di
autodistruzione del nostro favoloso mondo veneto ricco di arte e di memorie è
arrivata ad alterare la consistenza stessa della terra che ci sta sotto i
piedi. I boschi, i cieli, la campagna sono stati la mia ispirazione poetica fin
dall'infanzia. Ne ho sempre ricevuto una forza di bellezza e tranquillità. Ecco
perché la distruzione del paesaggio è per me un lutto terribile. Bisogna
indignarsi e fermare lo scempio che vede ogni area verde rimasta come un'area
da edificare».
Un'altra battaglia che combatte
da anni è quella contro l'imbroglio della cultura leghista... «Mi ha fatto
molto piacere sentire il Capo dello stato riaffermare l'unità d'Italia e
liquidare certi giochi di parole che negli anni avevano creato un imbroglio. La
Padania non esiste, il popolo padano neppure. Questa è una storia più che
ventennale di equivoci e spettri. La riaffermazione di Napolitano potrà darci
il senso di una tregua. E sono convinto che piano piano questo fantasma
sparirà».
Eppure nei comuni qui attorno, in
questi luoghi del quartiere del Piave sacro alla patria Moriago e Nervesa della
Battaglia, il Montello degli ossari dove correva la linea del fronte della
Grande Guerra, l'isola dei morti dove il 26 ottobre 1918 gli arditi sfondarono
le linee austriache - la Lega e la sua retorica anti italiana fanno il pieno di
voti da anni, com'è possibile? «Perché esiste una contraddizione molto forte
tra la tradizione dell'Italia una e indivisibile e un paese reale diviso dal
punto di vista economico. Questo dualismo lasciato marcire per anni ha confuso
i piani producendo l'imbroglio di due paesi altri tra loro. Arrivando
all'equivoco padanico […]. La riaffermazione di Napolitano spero dipani anche
questo grande equivoco identitario. Come ci ricorda Gian Luigi Beccaria nel suo
splendido libretto Mia lingua italiana,
per prima è venuta la lingua. Non è stata una nazione a produrre una
letteratura, ma una letteratura a prefigurare il desiderio e il progetto di una
nazione italiana. A partire da Dante, Petrarca e Boccaccio. Naturalmente ci
sono mancanze e ritardi in un processo forse non del tutto riuscito che ha
portato all'Italia unita».
In che senso? «Storicamente le
lingue erano frazionate, c'era una radicalità di dialetti, questo è vero. I
mille sbarcati in Sicilia non si capivano, Cavour e la classe colta piemontese
parlavano francese. Pittoreschi contrasti che però convergevano verso l'unità
del paese, perché la lingua e la nostra tradizione letteraria ci hanno
insegnato cosa significasse essere italiani e non soltanto fiorentini,
lombardi, veneti, piemontesi o siciliani...». Una lezione che i novant'anni di
Andrea Zanzotto, veneto di Pieve di Soligo, la vandea leghista, ricordano a
tutti a futura memoria.
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