Riprendo qui un ampio stralcio da
un articolo di un giornalista scientifico americano che insegna scrittura
creativa al Bennington College, autore – qualche anno fa – di un libro sui
nazisti e la psichiatria, tradotto e pubblicato nel sito della rivista “Le
scienze” il 9 novembre 2013. La versione
originale era apparsa su brainblogger.com l'8 ottobre scorso. (S.L.L.)
Il gerarca nazista Robert Ley guida la visita in una fabbrica tedesca del duca Eduardo di Windsor, già re d'Inghilterra (1937) |
Sei anni fa, mentre facevo una
ricerca sulla vita di uno psichiatra americano che studiò i principali capi
nazisti durante la detenzione e il processo di Norimberga, trovai fra gli
oggetti di sua proprietà una piccola scatola. La scatoletta conteneva diverse
lastre fotografiche, ciascuna delle quali mostrava una sezione trasversale di
un cervello. Le etichette sulle lastre indicavano come ex proprietario del
cervello un certo Robert Ley.
Il nome di Ley era comparso
spesso durante la mia ricerca. Dal 1933 fino alla fine della seconda guerra
mondiale, aveva diretto il Deutsche Arbeitsfront (DAF), un dipartimento del
governo nazista che sovrintendeva alla vita lavorativa dei cittadini del Terzo
Reich. Non riuscivo a immaginare in che modo le immagini del suo cervello
fossero finite in mezzo ai documenti personali e professionali dello
psichiatra, il dottor Douglas M. Kelley. Col tempo l'ho scoperto. E la storia
del destino del cervello di Robert Ley che ho ricostruito rivela molto
sull'interpretazione dei test psicologici che Kelley somministrò a Ley e agli
altri capi nazisti.
Maggiore dell'esercito americano,
durante l'estate del 1945 Kelley era arrivato a Norimberga con l'ordine di
valutare l'idoneità mentale dei leader nazisti a essere processati per crimini
di guerra e crimini contro l'umanità. Oltre a questo, però, Kelley si era
prefisso un compito più ambizioso.
Avendo accesso illimitato a
uomini considerati i peggiori criminali del XX secolo, sperava di trovare un
filo psicologico comune che collegasse i prigionieri, una "personalità
nazista" che potesse spiegare i loro efferati misfatti. Se Kelley fosse
riuscito a identificare un disturbo psichiatrico o un insieme di tratti
psicologici condiviso dai nazisti, sarebbe stato in grado di isolare le altre
persone capaci di commettere crimini orribili che si trovano in mezzo a noi.
Per valutare i prigionieri nazisti, Kelley li
intervistò lungamente, ma usò anche una batteria di test psicologici da poco
venuti in auge, puntando particolarmente sul test di Rorschach, che aveva già
usato e sostenuto negli Stati Uniti fin dagli anni trenta. Nel test di Rorschach
si mostrano ai soggetti immagini di macchie d'inchiostro astratte. Proiettando
nelle immagini le loro fantasie e i loro bisogni, i soggetti descrivono ciò che
vedono. Kelley era stato uno più esperti e abili interpreti americani del test
di Rorschach.
Il test di Rorschach fu
somministrato a quasi tutti i 22 gerarchi nazisti in procinto di essere
processati dal tribunale militare internazionale di Norimberga […] I risultati
più sorprendenti furono però quelli di Robert Ley, che sbagliava i nomi dei
colori, offriva descrizioni confuse e dava risposte incongrue e prive di senso.
Kelley avanzò una diagnosi di danno cerebrale al lobo frontale di Ley, anche se
gli esami fisici del prigioniero non avevano rivelato alcun segno della
presenza di problemi neurologici. Per Kelley, le frequenti esplosioni di rabbia
di Ley in carcere e il suo discorrere illogico rappresentavano un'ulteriore
prova di una lesione al lobo frontale. Unico tra i nazisti incriminati, Ley
avrebbe potuto godere di una dichiarazione di incapacità mentale, ma il medico
non aveva modo di confermare con sicurezza la sua diagnosi.
Niente da fare, almeno fino a
quando Ley non si suicidò nella sua cella il 24 ottobre 1945. Si soffocò con
l'orlo di un asciugamano, la cerniera della giacca e il tubo del suo gabinetto.
Kelley dichiarò che Ley “mi ha fatto un singolare favore personale, perché il
suo era l'unico cervello che ho sospettato avesse un danno organico”. Kelley
chiese a un collega di rimuovere il cervello dal corpo di Ley e lo trafugò da
Norimberga per consegnarlo nelle mani di un amico, Webb Haymaker, un rinomato
neuropatologo dell'istituto di patologia dell'esercito a Washington, DC.
Kelley chiese a Haymaker di
esaminare il cervello per rilevare i segni del danno al lobo frontale che aveva
diagnosticato. Haymaker lo fece e identificò “un processo degenerativo di lunga
data ai lobi frontali” proprio nella regione in cui Kelley aveva previsto la
lesione. […]
Kelley si rallegrò, ma fu una
soddisfazione di breve durata. Haymaker non aveva concluso il suo lavoro con il
cervello di Ley. Due anni dopo, in cerca di un altro parere, inviò i campioni
dell'organo ai patologi della Langley Porter Clinic, a San Francisco. L'esame
non produsse alcuna chiara evidenza di un danno al lobo frontale. In una lettera
a Kelley, Haymaker comunicò la brutta notizia che anomalie cerebrali di Ley
"erano di portata minore rispetto a quanto abbiamo creduto in un primo
momento. Personalmente, penso che forse faremmo meglio a mettere una pietra su
tutto, dato che il grado di cambiamento [nel cervello] potrebbe essere oggetto
di opinioni divergenti”.
A quel punto, lo studio dei
gerarchi tedeschi aveva già provocato a Kelley un discreto stress. I nazisti
non condividevano significativi tratti psicologici ed erano normali, aveva concluso.
Non c'era una personalità nazista. In difficoltà di fronte al suo stesso
verdetto, Kelley rivolse le sue energie alla criminologia, ma cadde in una
spirale di alcolismo, dipendenza dal lavoro ed esplosioni di rabbia. Si tolse
la vita nel 1958 ingerendo del cianuro, proprio come il suo soggetto preferito,
Göring, aveva fatto una decina di anni prima a Norimberga.
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