Una buona recensione che fa il
punto su un poeta importante. (S.L.L.)
Pedro Salinas in un ritratto di Marisol Cales |
Con Favola e segno sono ormai quattro i volumi di Pedro Salinas che
appaiono per la cura di Valerio Nardoni presso l'editore Passigli (dopo Sicuro azzardo, Ragioni d'amore e Presagi).
Quattro volumi che sembrano
preludere a un'integrale - possiamo augurarcelo di tutto cuore - del grande
lirico madrileno (1891-1951), che si è invero conquistato un posto particolare
tra chi coltiva la «poesia d'amore». Questa definizione è sin troppo vasta, e
impropria, è una scorciatoia per imporre etichette ai poeti che etichette non
accettano. Ma il mondo va così, e Lorca - ad esempio - sembra noto più che
altro come esperto di corride per aver scritto il Lamento in morte dell'amico torero Ignacio Sánchez Mejías (che, per
inciso, non era un matador
truculento, ma un intellettuale fascinoso e inquieto con la passione della
letteratura, scrittore a sua volta). Anche per Lorca, tuttavia, si è fatto
ricorso all'etichetta «poesia d'amore» (amor oscuro o no che fosse ...), con
prevedibili semplificazioni e sminuimenti a danno del suo genio poetico.
Per Salinas, è accaduto
altrettanto. Austero studioso di letteratura, professore ineccepibile in giro
per il mondo, intellettuale a tutto campo (critico, narratore, drammaturgo,
traduttore della Recherche,
soprattutto poeta), appartenne a quella Generazione del '27 che - in epoca di
nazismi, fascismi e franchismi più o meno incipienti - diede al mondo un
incomparabile florilegio di autori, i «nipoti di Góngora» (Salinas appunto,
Jorge Guillén, Dámaso Alonso, Lorca, Alberti) e molti altri (Bergamín,
Aleixandre, Larrea, Altolaguirre, Cernuda, Prados…). «La più bella poesia
d'Europa», la definì Lorca.
Favola e segno apparve nel 1931, terza prova di Salinas, e
conclusione di un ideale primo periodo tra quelli in cui si usa suddividere la
sua attività lirica: una fase di ricerca, preludio alla completa dischiusura
delle ricchezze poetiche che culminano nella «grande trilogia amorosa», tra il
1932 e il 1939, composta da La voz a ti
debida, Razón de amor e Largo lamento. (Poi, altri versi nel
terzo periodo - quello dell'esilio - e una diversa immagine formale, che trova
la voce più compiuta in El contemplado,
lungo poema in cui Salinas dialoga con il mare di San Juan de Puerto Rico,
città dove venne sepolto nel 1951 dietro sua commossa richiesta).
Nella raccolta si confrontano due
entità, «favola» e «segno», contrastanti e complementari: in Escorial II, ad esempio, si legge «Non
sognare, ma contare», dove appare l'equivalenza tra favola e sogno, tra segno
ed enumerazione. Sempre con l'amore che domina: «Io è te che amo, e te | e te.
| Tre di voi amavo io». Altrove, sintomi di modernità invadente (quasi accenni
a temi del futurismo), come in Underwood
Girls dove le teclas (i tasti
della macchina da scrivere) «sono assopite, tranquille, | loro trenta, tonde,
bianche. | Tutte unite | a sostenere il mondo» e si trasfigurano in ragazze,
anzi «eterne ninfe | contro il grande mondo vuoto».
Nell'ininterrotta declinazione
del suo personalissimo concetto di amore (non facile, non convenzionale), la
realtà pose sul cammino di Salinas un impetuoso incidente: l'incontro, nella
primavera del 1932 a Madrid, con Katherine Prue Reding, leggiadra studiosa del
Kansas, all'epoca trentacinquenne. Un innamoramento travolgente, una storia
d'amore durata due estati e un corso accademico, «un incontro emotivo, allegro,
devastante e triste per entrambi» (scriverà la stessa Katherine), alla quale la
donna pose fine a causa del tentato suicidio di Margarita Bonmatí, moglie di
Salinas.
Di quell'amore, che innescò il
meccanismo compositivo di almeno un capolavoro come La voz a ti debida, si seppe ufficialmente tardi, dopo la morte di
Salinas, e grazie alla regia dell'inseparabile amico Jorge Guillén. Oggi, il
lettore può immergersi in quel mondo appassionato anche consultando le lettere
che Salinas inviò a Katherine (circa metà delle 354 scritte dal poeta è
pubblicata in Cartas a Katherine Whitmore,
Tusquets 2002: un libro imprescindibile nel suo genere).
Non è semplice comprendere perché
un poeta di complessa ispirazione e di rarefatta scrittura come Salinas abbia
poi trovato una schiera di appassionati «consumatori» dei suoi versi. Si rimane
sbalorditi, ad esempio, nello scoprire che un'icona pop dei nostri giorni -
Pietro Taricone - avesse tatuato sul polpaccio sinistro i versi della Poesia 39 (Salinas può permettersi anche
questo, niente titoli e invece numeri, «segni») di La voz a ti debida, che recita: «E io sto abbracciato a te | senza
fare domande, per paura | che non sia verità | che tu vivi e mi ami. | E sto
abbracciato a te | senza guardarti o toccarti. | Perché non debba scoprire |
con domande o carezze | l'immensa solitudine | d'essere il solo ad
amarti».
"Tuttolibri - La
Stampa", 11/09/2010
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